Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 21/9/2008, 21 settembre 2008
Centinaia di miliardi di dollari. Per salvare gli Usa dalla bancarotta dell’industria finanziaria, la Casa Bianca annuncia l’intervento più oneroso della storia
Centinaia di miliardi di dollari. Per salvare gli Usa dalla bancarotta dell’industria finanziaria, la Casa Bianca annuncia l’intervento più oneroso della storia. Poiché il Tesoro i soldi non li ha, tre sono le domande: a) di quanto stiamo parlando; b) chi pagherà e quali nuovi diritti si creeranno in capo al pagatore; c) se il crollo sia dovuto a truffe dei banchieri o errori dei governanti e delle autorità di controllo o alla fisiologia di un modello sbagliato. La misura globale dell’intervento non è ancora chiara. Secondo le indiscrezioni, il disegno di legge stanzia 700 miliardi. Un banchiere della Lehman Brothers con il quale abbiamo parlato, ne ritiene necessari almeno mille. Fermiamoci qui. E, per ragionare, stiamo a 700 miliardi. A questi, però, vanno aggiunti uno zoccolo di prestiti della Federal Reserve alle banche in crisi, gli oneri del salvataggio di Bear Stearns e delle nazionalizzazioni delle assicurazioni Aig e delle agenzie dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac. E così siamo a 1200-1300 miliardi. Salvare la finanza sta costando il 9-10% della ricchezza prodotta in un anno dall’intera economia americana. Se a consuntivo sarà il 7-8%, perché si recupera qualcosa, o il 12-13% a causa di altre batoste, cambia poco. Per avere un’idea di che cosa si tratta, dobbiamo immaginare un governo italiano che vari una finanziaria con impegni di spesa fino 150 miliardi di euro per evitare l’ipotetico tracollo di Intesa, Unicredito, Mps e compagnia. In quel caso diremmo, come certi vecchi comunisti, che i banchieri- finanzieri sono compagni che sbagliano ma l’idea è giusta? Credo di no. Se accadesse, altro che Alitalia. Tornando al reale: in prima battuta, i soldi al Tesoro americano li daranno i risparmiatori, domestici e non, che sottoscriveranno emissioni aggiuntive del debito pubblico. Non bastasse, e già non basta se si guarda all’ampliamento della base monetaria in atto da tempo, sarà la Federal Reserve a comprare i nuovi titoli pubblici con carta moneta stampata per la bisogna. Alla fine, pagherà il contribuente. E il debito pubblico americano crescerà oltre i 15 mila miliardi ai quali è già arrivato con la nazionalizzazione di Fannie & Freddie: un’enormità visto che il Pil Usa viaggia sui 13 mila miliardi. La finanza pubblica americana è messa come quella italiana del 1992. Con una differenza: l’Italia era caduta per un eccesso di Stato; gli Usa per la ragione opposta. Le vie d’uscita saranno diverse, perché diversa è la forza dei due paesi e l’origine dei sottoscrittori del loro debito: nazionale quella dell’Italia d’allora, internazionale quella americana. Ma chi paga il conto di questa crisi matura il diritto a chiedere la revisione del capitalismo finanziario. Questa volta non ci sono Enron o Parmalat. Il danno è venuto dall’ applicazione di un modello legittimo, l’economia del debito. E allora vietare le vendite allo scoperto in Borsa appare un rimedio modesto e già visto. Se stiamo al livello degli avvenimenti, si dovrà vietare di assumere rischi non calcolabili in modo decente. La conseguenza? Un’industria bancaria che prosegue, la finanza che cede lo scettro e torna ancella della produzione e della distribuzione.