Giornali Vari, 18 agosto 2008
Anno V - Duecentotrentatreesima settimanaDall’11 al 18 agosto 2008Georgia La guerra in Georgia è finita senza essere finita
Anno V - Duecentotrentatreesima settimana
Dall’11 al 18 agosto 2008
Georgia La guerra in Georgia è finita senza essere finita. I russi hanno accettato il cessate il fuoco, ma non si sono ritirati dal Paese e anzi hanno continuato a sparare e a tenere a bada i suoi abitanti. Lasciando Igoeti hanno fatto saltare un ponte, Gori è quasi una città disabitata (60 mila profughi almeno solo qui e ridotti alla disperazione), le truppe stanno, ancora mentre scriviamo, a 45 chilometri dalla capitale. Di fatto, il Paese è occupato ed è facile prevedere che sarà tenuto in scacco il più a lungo possibile. Il presidente Medvedev ha garantito che le truppe avrebbero cominciato a ritirarsi martedì 19 agosto a mezzogiorno. Ma altri esponenti russi hanno subito precisato che «questo dipende anche dai georgiani, che frappongono ogni tipo di ostacoli». Il bilancio della guerra resta fino a questo momento di duemila morti - molti dei quali giacciono ancora sul terreno - e centomila profughi. Gli interventi umanitari risultano estremamente difficili. Sciacalli e banditi imperversano.
Tregua Questa cosiddetta tregua è stata resa possibile da un piano in sei punti di Sarkozy in cui si prevede che tutti ritornino alle posizioni di prima e che si apra un tavolo internazionale di dibattito sulla situazione. Il piano è stato scritto in modo abbastanza generico per consentire a Mosca di accettarlo. Sarkozy, presidente di turno della Ue, è andato in Russia apposta e ci teneva a far la figura del pacificatore che in pochi minuti risolve un nodo molto intricato. Ma, a quanto si capisce, le interpretazioni su ciascuno dei sei punti sono già contrastanti e - come capita quasi sempre - la versione in russo non è perfettamente coincidente con quella che si legge nelle capitali del mondo. Il nodo non sembra troppo risolto, alla fine.
Responsabilità Dal punto di vista diplomatico la situazione è al momento questa: Bush, che non è intervenuto e a quanto pare non può intervenire, tuona che i confini della Georgia devono restare intatti, che quindi Abkhazia e Ossezia del Sud non si sognino di dichiararsi indipendenti, che senza un ritiro immediato delle truppe i rapporti tra Stati Uniti e Russia saranno compromessi per sempre. Ha sostenuto queste sue minacce con un’ulteriore apertura di tipo militare a quella fascia di paesi che furono parte integrante dell’Urss oppure retti da governi fantoccio filosovietico (Ucraina, Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia). La guerra ha infatti avuto l’effetto di terrorizzare queste repubbliche, le quali si sono rivolte agli Stati Uniti per chiedere ancora più protezione. La settimana scorsa la Polonia s’è precipitata a firmare l’accordo per lo scudo spaziale, che permetterà agli Stati Uniti di piazzare dieci missili intercettori sul suo territorio, ma ha preteso, prima, anche una batteria di patriot e il rammodernamento del sistema di difesa. Gli ucraini hanno lanciato questo appello: «Siamo pronti a collaborare con chiunque ci aiuti a impiantare un sistema di difesa antimissile». una preghiera rivolta agli Stati Uniti senza che gli Stati Uniti, per prudenza, siano nominati. I russi hanno risposto che «la Polonia apre la possibilità di un attacco militare contro il suo territorio. Questo, al cento per cento» (generale Anatolij Nogovozyn) e facendo sapere che doteranno la flotta di stanza nel Mar Baltico di testate nucleari. Il Times, seguito da tutti i giornali del mondo, ha dichiarato che è ricominciata la guerra fredda.
Europa L’Europa, che aveva inizialmente dato l’impressione di comprendere le ragioni di Mosca (effettivamente assediata dalle armi americane), s’è via via irrigidita e da ultimo la Merkel, in visita a Tbilisi per sostenere il piano Sarkozy, ha dichiarato che se la Georgia vuole entrare nella Nato «è liberissima di farlo». A quello che si capisce, sarà l’Italia ad opporsi e con un argomento semplice: per essere ammessi nell’Alleanza atlantica non bisogna avere conflitti etnici al proprio interno. Si deve ricordare che se un membro della Nato è attaccato, tutta l’Alleanza deve mobilitarsi e mandar soldati. Ma anche se si resta fuori dalla Nato, nulla impedisce a uno Stato di trasformarsi - militarmente parlando - in una mega-base americana. Infine, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud si proclameranno quanto prima indipendenti e la comunità internazionale, che non ha fatto una piega quando la dichiarazione di indipendenza l’ha fatta unilateralmente il Kosovo ai danni della Serbia, non potrà farci niente.
Bossi Bossi, nel tradizionale discorso ferragostano di Ponte di Legno, ha detto di voler rimettere l’Ici, perché è una tassa coerente col federalismo fiscale. L’origine di questo dietro-front è abbastanza evidente: i comuni, privi di soldi dopo i tagli di Tremonti, premono perché gli si diano risorse. Il ministro dell’Economia non ha risposto, l’opposizione ha imputato alla maggioranza uno stato di confusione mentale, gli alleati di Bossi hanno fatto spallucce dichiarando che, una volta varato il famoso federalismo fiscale, si potrà anche riconsiderare una tassa sui patrimoni immobiliari a favore dei comuni. Di questa legge sul federalismo fiscale, scritta da Calderoli insieme a un mucchio di esperti e che verrà in calendario a metà settembre, ha dato un’anticipazione Repubblica: le tasse non si pagheranno più a Roma, ma al proprio Comune, alla propria Provincia o alla propria Regione. Gli ambiti dell’imposizione per i tre enti locali saranno: gli immobili per i Comuni (riecco l’Ici), le automobili per la Provincia, tutti i ”servizi alla persona” (espressione da chiarire) per le Regioni. A quanto pare l’Irpef, cioè la tassa sul reddito trattenuta direttamente dai datori di lavoro, continuerà ad affluire al centro. Il che conferma le indiscrezioni che volevano questo federalismo leghista come molto leggero.
Cattolici ”Famiglia cristiana”, settimanale dei paolini, ha di nuovo attaccato il governo, tacciandolo di razzismo per la storia delle schedature dei rom, definendo ”ridicoli e inutili” i soldati per le strade, sancendo che «L’industria vola, ma sui precari e i contratti è refrattaria. La ricchezza c’è, ma per le famiglie è solo un miraggio». Il suo editorialista Beppe Del Colle s’è poi augurato che da noi «non stia rinascendo sotto altre forme il fascismo». La presa di distanza secca del Vaticano (Famiglia «non ha titolo per esprimere né la linea della Santa Sede né quella della Conferenza episcopale italiana. Le sue posizioni sono responsabilità esclusiva della sua direzione») ha confermato che il gioco è anche molto interno alla realtà politica cattolica. Il punto di riferimento della sinistra credente sarebbe il cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi: a metà luglio Gianfranco Bottoni, il sacerdote che a Milano si occupa di ecumenismo, parlando dal pulpito aveva definito ”fascista” la chiusura della moschea di viale Jenner. Il ministro Maroni aveva protestato e Cossiga aveva commentato così: «Considero il Cardinale Tettamanzi un bravo prete, un modesto teologo e un pastore un po’ avventato, non molto dotato di potestà di governo tanto da aver scelto, per la sua Curia, alcuni monsignori cretini e imprudenti». Il presidente emerito dice di aver consigliato a Berlusconi di chiedere la rimozione di Tettamanzi e, in caso di rifiuto, di sospendere alla diocesi di Milano la quota statale dell’8 per mille. Il Papa, parlando domenica, ha poi provato a mediare ammonendo i fedeli contro «il nuovo razzismo» ed esortando a rispettare «il dovere dell’accoglienza».