Note: [1] Fl. Po., Il Messaggero 20/9; [2] Federico Rampini, la Repubblica 20/9; [3] Carlo Leone Del Bello, il manifesto 20/9; [4] Vittorio Zucconi, la Repubblica 20/9; [5] Galapagos, il manifesto 20/9; [6] Massimo Gaggi, Corriere della Sera 20/9; [7] Dom, 20 settembre 2008
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 22 SETTEMBRE 2008
Per buona parte della scorsa settimana, molti hanno dato per imminente la catastrofe finanziaria. Flavio Pompetti: «La mano degli speculatori si era impadronita delle borse, e la volontà di realizzare guadagni a qualunque costo stava spingendo il gioco al ribasso su società altrimenti sane come la Goldman Sachs e la Morgan Stanley». Venerdì, d’improvviso, i mercati finanziari di tutto il mondo sono stati presi dall’euforia. Il cambio di direzione è stato scatenato dall’annuncio di un maxifondo americano che, accogliendo i titoli ”tossici”, consentirà alle istituzioni bancarie e finanziarie di riprendere il sostegno all’attività produttiva, sul punto d’essere travolta dalla crisi partita dai mutui subprime. [1]
Quello messo a punto negli Stati Uniti è il più vasto piano di salvataggio dei mercati finanziari mai realizzato dalla Grande Depressione degli anni Trenta. [2] Carlo Leone Del Bello: «Il piano prospettato da Henry Paulson, segretario del dipartimento del tesoro, è semplice, e ricalca quello messo in piedi da George Bush padre per risolvere la crisi delle casse di risparmio nel 1989. Sostanzialmente, il governo creerà un fondo con cui acquistare tutti i titoli derivati dalla cartolarizzazione dei mutui. Gli stessi titoli che ora sono invendibili, impossibili da valutare, e che quindi sono parcheggiati nei bilanci delle banche, paralizzandone l’attività creditizia. In pratica una gigantesca - e costosissima - discarica». [3]
Tutta la spazzatura nascosta nelle banche, nelle assicurazioni, negli hedge funds, sarà riciclata finendo a carico di Washington. Federico Rampini: « la ”soluzione finale”: non c’è voragine di perdite bancarie troppo ampia da non poter essere scaricata sul bilancio federale. Quanto può costare una promessa del genere? Fino a 800-1000 miliardi di dollari: questa è la valutazioni degli attivi ”malsani” custoditi dalle istituzioni finanziarie. E che in futuro diverranno proprietà dei contribuenti». [2] Vittorio Zucconi: « una gigantesca ”operazione Alitalia” fondata sullo stesso balordo, ma ormai inevitabile principio del ”privatizzare i profitti” e ”statalizzare i debiti”. Con, alle spalle, lo stesso ricatto del fallimento epocale». [4]
L’idea del Fondo circolava da tempo. Galapagos: «Certo, è la negazione del laissez faire, del liberomercato. Ma quando è in gioco la sorte del capitalismo non si guarda tanto per il sottile e lo stato diventa protagonista non lesinando alla finanza quei capitali che se utilizzati in altri tempi per sostenere i bisogni sociali (la casa, su tutti, ma anche istruzione, sanità e pensioni) avrebbero impedito il gonfiarsi della bolla speculativa e il successivo scoppio. Per questo motivo è stato salvato (con 85 miliardi di dollari) il colosso assicurativo Aig. L’alibi: se fosse fallito, milioni di cittadini avrebbero perso la pensione. Privata, ovviamente». [5]
Ormai, si dice a Washington, non c’era più tempo per giudicare se l’operazione fosse morale, se fosse legittimo usare i soldi dei risparmiatori per un maxisalvataggio che non distingue i buoni dai cattivi, gli speculatori dai risparmiatori. [1] Massimo Gaggi: « l’ultima cosa che i parlamentari Usa avrebbero voluto approvare, soprattutto alla vigilia delle elezioni. Perché hanno cambiato idea? Perché nell’incontro di giovedì sera con i leader del Congresso Henry Paulson ha aperto davanti agli occhi dei suoi interlocutori le porte dell’inferno. Lo ha fatto capire il senatore Schumer, raccontando alla fine del vertice che il ministro del Tesoro aveva dato una rappresentazione ”spaventosa, raggelante” di quello che potrebbe avvenire». [6]
Il Congresso sapeva di dover intervenire perché la crisi finanziaria non brucia solo Wall Street, ma anche i risparmi degli americani, le pensioni, il valore delle case. Gaggi: «Voleva, però, prendere tempo, temendo che, con un intervento troppo esteso, la furia del cittadino-contribuente potesse prevalere sul sollievo del cittadino-risparmiatore. Paulson ha illustrato loro una terza dimensione: quella del cittadino spaventato che ritira i suoi risparmi, taglia drasticamente le sue spese (il Pil americano è composto per il 70% dai consumi delle famiglie), rischia di restare senza stipendio». [6]
La riuscita del fondo, che costituisce un’espansione notevolissima della sfera pubblica, è la sfida dei prossimi anni. Domenico Siniscalco: «Traccia una nuova via dell’azione del settore pubblico, non basata sulla regolamentazione, peraltro rivelatasi imperfetta, ma sull’intervento diretto. Eravamo abituati al trionfo del mercato, ci troviamo il governo alle porte. E questa trasformazione segnerà un’altra volta una sfida tra modelli intellettuali e politici diversi, per quanto riguarda il confine tra Stato e mercato». [7]
Il nuovo mercato avrà per protagonisti i governi e la banche centrali? Guido Rossi: «Con l’intervento pubblico i nuovi azionisti delle grandi istituzioni finanziarie stanno diventando, loro malgrado, i contribuenti. Specie quelli americani. Certo, gli Usa potranno esportare un po’ di debito pubblico, ma il grosso del conto lo pagheranno i loro cittadini. Che il capitalismo si stia paradossalmente trasformando in socialismo non lo dico mica io. Legga il Financial Times, giornale non propriamente marxista: ”Si è finanziarizzato il capitalismo e adesso si socializza la finanza”. Più chiaro di così!». [8]
Il nuovo fondo sarà disegnato sul modello della Resolution Trust Company (Rtc) del 1989. [7] In attività per una decina di anni, costò ai contribuenti americani 400 miliardi di dollari. [9] La spesa non sarebbe l’unica differenza tra vecchio e nuovo piano. Rampini: «Alla fine degli anni Ottanta il governo prese in mano il controllo delle banche fallite. Oggi - almeno nelle intenzioni della Casa Bianca - lo Stato si limita a ”ripulire” le banche di tutti i loro attivi scadenti e invendibili, senza un rinnovamento altrettanto drastico dei gruppi dirigenti e delle regole di governance. Solo le perdite verranno nazionalizzate. un difetto grave rispetto ai salvataggi di Fannie, Freddie e Aig, dove almeno i top manager sono stati sostituiti. Nel piano Paulson lo Stato diventa padrone solo dei guai, senza alcuna garanzia di risanamento del sistema». [2]
Da anni le piazze affari assomigliano alle sale illuminate a giorno dei più grandi casinò. Loretta Napoleoni: «Il mercato gioca contro il banco, il sistema capitalista occidentale, e questa volta il banco per evitare che si smetta di giocare si è addossato le perdite dei grossi giocatori. Da troppo tempo, si perde, si rilancia, indebitandosi eccessivamente. Così, società rispettabili, come la Lehman Borthers, falliscono nottetempo a causa della voragine che l’azzardo ha scavato nelle loro finanze. Contro ogni dollaro di beni in portafoglio la banca ne aveva presi in prestito trenta. Come è possibile?». [10]
Le società di rating, il cui compito è di valutare la liquidità dei giocatori, non hanno fatto il loro lavoro. Napoleoni: «Non si sono accorte che nei bilanci il dare era mascherato in avere grazie all’uso dei derivati, gli effetti speciali della finanza creativa. Così, si sono concesse preziose fiche a chi non aveva soldi per acquistarle. In realtà sono i proprietari del casinò, le autorità monetarie occidentali, che hanno delegato il controllo di chi era ammesso in sala ad altri giocatori, le società di rating. Ma quei banchieri erano cosi eleganti e arrivavano in elicottero o in jet privato con al seguito servitori e signore ingioiellate, sembravano tanto rispettabili!». [10]
Serve un’autorità finanziaria indipendente e sovrannazionale, che sia in grado di occuparsi di mercati ormai globali dove la fantasia non conosce limiti. Rossi: «Noi siamo spaventati dalla crisi dei subprime. Ma che cosa pensare dei cosiddetti ”credit default swaps” gli strumenti derivati che scommettono sul fallimento di aziende o interi Stati? George Soros calcola che ne circolino per 45 trilioni di dollari, ma potrebbero essere di più. Ci sono addirittura amministrazioni comunali italiane che hanno scommesso sull’insolvenza della Repubblica». [9]
Ciò che sta accadendo cambierà l’economia americana? Allen Sinai, tra i più stimati analisti di Wall Street: «Da questa crisi noi americani usciremo molto cambiati. Stiamo cominciando ad apprendere la cultura del risparmio della spesa, e per noi questa sarà una lezione di umiltà». [11] L’economista Robert Engle, premiato col Nobel per i suoi studi sulle oscillazioni di Wall Street: «Ci sarà molta pressione per avere più regolamentazione, le banche dovranno imparare dai loro errori perché questa è la legge: quando pagano i contribuenti, le regole sono pesanti». Più vincoli significano meno crescita? «Ci sarà meno crescita prodotta da Wall Street, oltretutto non ho molta fiducia quando intervengono i regolatori pubblici. Di solito esagerano». [12]
Non si uscirà dalla crisi finché al sistema finanziario non affluirà una gran quantità di nuovo capitale privato. Francesco Giavazzi: «Dubito che ciò accadrebbe in un mondo in cui la politica diffondesse sfiducia verso il mercato e imponesse regole volte a impedirne il funzionamento. Chi oggi rivendica il diritto della politica di scrivere nuove regole per i mercati finanziari dovrebbe ricordare che fino a poche settimane prima della crisi i politici ritenevano che la maggior area di rischio nei mercati fossero i fondi hedge, una delle istituzioni che ha meglio retto alla crisi». [13]
Gli strumenti finanziari che consentono di diversificare il rischio non sono il cancro del capitalismo. Francesco Giavazzi: «Un grande proprietario agricolo può usare la sua ricchezza per far fronte ad una cattiva stagione, ma un piccolo coltivatore quando il raccolto va male, può solo tirare la cinghia. I mercati finanziari sono innanzitutto un’opportunità per i poveri. Basta chiedere ad un agricoltore indiano che cosa significa per lui poter vendere il suo prodotto su un mercato a termine e così assicurarsi contro fluttuazioni nel prezzo. Certo, questi strumenti debbono essere regolati e comunque non sostituiranno mai le assicurazioni pubbliche (ad esempio contro la disoccupazione). Ma appunto: regolati, non vietati». [13]