Antonio Massari, LA Stampa 20/9/2008, pagina 18, 20 settembre 2008
La Stampa, sabato 20 settembre Quindici morti ammazzati, un suicidio, otto innocenti in carcere: se dice il vero, non solo il tunisino Ezzedine Sebai entrerà nel (macabro) pantheon dei criminali, ma v’entrerà sfilando in una galleria d’errori giudiziari
La Stampa, sabato 20 settembre Quindici morti ammazzati, un suicidio, otto innocenti in carcere: se dice il vero, non solo il tunisino Ezzedine Sebai entrerà nel (macabro) pantheon dei criminali, ma v’entrerà sfilando in una galleria d’errori giudiziari. L’agghiacciante sequenza d’omicidi - 15 in soli due anni: 14 in Puglia, uno in Basilicata - farebbe di lui un serial killer da record. Tutte sgozzate, tranne una, le sue vittime erano sempre donne anziane e sole. Ma c’è di più: se Ezzedine dice il vero, per quegli omicidi, 8 persone sono state condannate al suo posto. Una di loro non resiste: Vincenzo Donvito, nel 2005, s’ammazza impiccandosi in cella. Anche Giuseppe Tinelli, condannato e recluso da undici anni, tenta il suicidio. Vincenzo Faiolo è ancora in carcere (altri sono usciti per aver scontato la pena), ed entrambi - che prima avevano confessato e poi ritrattato - ora chiedono la revisione del processo. La data chiave è il 10 febbraio 2005: Ezzedine si presenta da Alberto Nobili, pm della Direzione distrettuale antimafia di Milano, per raccontargli tutta la verità. E’ recluso nel carcere di Opera, condannato per quattro omicidi, ma vuole confessare anche gli altri. Ha saputo del suicidio di Donvito e vuole parlare: «Sono responsabile di altri undici omicidi» dice, e li elenca, uno per uno, fornendo i primi particolari. Entrava nelle loro case per rapinarle: l’istinto omicida scattava soltanto dopo. «Ho ucciso Celeste Commessatti: era il 13 agosto 1995, era una domenica pomeriggio. Ho conosciuto in carcere (...) le due persone che furono condannate ingiustamente per questo omicidio: Vincenzo Donvito e Giuseppe Tinelli. (...). Voglio solo dire come stanno le cose, assumermi le mie responsabilità, non ho intenzione d’auto-calunniarmi (...)». Il verbale viene trasmesso alle procure competenti. Altri inquirenti l’interrogano. Ezzedine è un mitomane? Pare di no: «Alla luce dei riscontri - scrive il Gup di Lucera - la sua confessione risulta attendibile». Ma qual è, la sua verità? La verità di Ezzedine sembra spuntare dal suo lato oscuro: tre «voci» gl’irrompono nel cervello e gl’impongono di rapinare e uccidere. E lui le ascolta. Dopo l’arresto per i primi quattro omicidi, e la confessione del 2005, i periti psichiatrici raccolgono le sue testimonianze. Emerge una storia d’alcolismo e abusi, anche sessuali, sin dalla più tenera età. «Mio padre mi massacrava di botte (...) Se non sapevo il Corano, lui e l’Imam mi picchiavano (...) Mi legava a due ganci fuori dalla porta di casa». Con le donne il rapporto s’incrina maggiormente: «Mia madre mi metteva del tabacco in polvere negli occhi per punirmi. E le donne del paese l’aiutavano». Punizioni su punizioni: gli introducono persino del peperoncino nelle parti intime. Da qui un’avversione per le donne, in particolare per quelle «vestite di nero», come spesso accade per le più anziane donne del Sud, quello in cui Ezzedine vive, quando arriva in Italia. Se a 14 anni, in Tunisia, inizia a sentire le «voci» che lo portano a rapinare, è in Italia che quelle «voci» l’avrebbero portato a uccidere. «Le voci sono tre», scrivono i periti, «la prima è un uomo adulto, l’imam; la seconda è un uomo più giovane; la terza è una delle donne che lo picchiavano da piccolo». La presenza delle «voci» che l’hanno indotto ad ammazzare, da quando è detenuto, pare che sia diminuita. Ma non scomparsa. Anche per questo il difensore di Ezzedine, Luciano Faraon, chiede che il tunisino sconti la pena in una carcere adeguato, cioè provvisto di strutture per malati psichiatrici. «Non vogliamo la sua scarcerazione», dice Faraon, che oggi incontrerà Ezzedine nel carcere Siracusa di Augusta. «Chiediamo una cura adeguata alla sua situazione. In carcere Ezzedine ha già subito parecchie violenze: teme per la sua vita, e non possiamo escludere che faccia sciocchezze irreparabili, che tenti il suicidio, oppure che rinunci, dato il suo stato psichico, a proseguire la sua collaborazione con gli inquirenti». Un’ipotesi che fa rabbrividire Giuseppe Tinelli e Vincenzo Faiuolo, detenuti per un reato che, a questo punto, non avrebbero mai commesso, sebbene confessato e poi ritrattato. Per Tinelli, la corte d’appello di Potenza, ha negato la revisione del processo: bisogna aspettare che Ezzedine sia giudicato colpevole, sentenziano i magistrati, rigettando la richiesta dell’avvocato Claudio Defilippi. Non è sufficiente, spiegano, che Ezzedine sia ritenuto attendibile dagli inquirenti. «La sospensione dovrebbe essere un atto dovuto - dice Defilippi - poiché Tinelli e Faiolo possono essere innocenti. Se dovranno scontare la pena, domani, lo faranno. Ma fino all’accertamento della verità, visto che hanno già pagato, e forse ingiustamente, possano riacquistare la libertà». Antonio Massari