Federico Rampini, la Repubblica 19/9/2008, pagina 9, 19 settembre 2008
la Repubblica, venerdì 19 settembre Bisogna risalire al Blitz su Londra, il bombardamento ordinato da Hitler nel ´41 che parve annunciare lo sbarco tedesco in Gran Bretagna
la Repubblica, venerdì 19 settembre Bisogna risalire al Blitz su Londra, il bombardamento ordinato da Hitler nel ´41 che parve annunciare lo sbarco tedesco in Gran Bretagna. Il panico sul mercato del credito ha raggiunto livelli che non si erano più visti dai giorni più bui della Seconda guerra mondiale. Di fronte al crollo di tanti patrimoni la fuga dei risparmiatori verso un «rifugio sicuro» - come i buoni del Tesoro americani - ha prodotto un risultato incredibile: i rendimenti sui Treasury Bonds degli Stati Uniti sono crollati (0,03% i buoni trimestrali) al livello più basso dai tempi dei raid aerei della Luftwaffe sulla capitale inglese. Questo fuggi fuggi verso la sicurezza infligge dei danni incalcolabili non solo alle finanze ma all´economia reale. Nessuno si fida più della solvibilità della controparte: i prestiti fra banche in Europa e negli Stati Uniti sono quasi congelati. La paura dei crac a catena sta intaccando per la prima volta il valore dei fondi comuni monetari: sono investimenti considerati liquidi quasi come dei conti correnti, tranquilli, «da buon padre di famiglia». Dall´epicentro originario di Wall Street il disastro si è dilatato sprigionando conseguenze sul tenore di vita di intere nazioni. I tassi sui mutui sono rincarati anche in Italia. La recessione americana ha bloccato la crescita europea, colpisce le prospettive di chi cerca lavoro. I fondi pensione, ormai diffusi nel mondo intero compresa l´Italia, sono esposti a perdite pesanti che ridurranno il tenore di vita dei futuri pensionati. Anche i risparmiatori più cauti sono vulnerabili: la «finanza esoterica» ha infilato i suoi titoli - spazzatura ovunque, gli inviti alla calma dei nostri banchieri e dei nostri assicuratori vanno presi con beneficio d´inventario; sono validi solo fino alla prossima sorpresa. Il Welfare semi-privato si morde la coda: i fondi pensione per tamponare le loro perdite hanno speculato al ribasso nel tentativo di recuperare qualcosa nel crollo generale. Così sono diventati parte di quella «orda selvaggia» che ha contribuito al crac: la banca d´affari Morgan Stanley ha dovuto contattare direttamente i gestori delle maggiori casse previdenziali americane, per scongiurarli di cessare le puntate ribassiste contro il suo titolo. La speculazione al ribasso è nel mirino delle autorità di Borsa, a cominciare dall´organo di vigilanza di Wall Street, la Securities and Exchange Commission (Sec). Nell´emergenza la Sec ha varato nuove regole contro la «vendita allo scoperto» (l´operazione in cui un investitore prende in prestito un´azione che non ha per venderla subito, poi ricomprarla in futuro scommettendo che costerà meno, e restituire il prestito guadagnando sulla differenza). Le misure tecniche per scoraggiare la speculazione ribassista sono state invocate dall´American Bankers Association e da diversi politici del Congresso di Washington. Tutti a caccia degli «untori», gli avvoltoi che si avventano su nuove prede da scarnificare tra le grandi banche quotate in Borsa. Ma la speculazione al ribasso in questo contesto è fisiologica e inarrestabile. Dov´erano invece l´associazione dei banchieri, dov´erano i legislatori del Congresso, quando i loro interventi avrebbero potuto colpire le cause primarie di questa crisi? Nel disastro globale di questi giorni ciò che sconcerta è la totale assenza di misure preventive. Questa crisi, nella sua forma acuta e palese è ormai vecchia di 15 mesi: il collasso dei titoli legati ai mutui subprime iniziò a fine giugno del 2007. Inoltre c´è chi l´aveva arrivare molto prima, e non si tratta di «profeti» eterodossi e marginali ma di protagonisti centrali del sistema. Warren Buffett, il secondo miliardario più ricco degli Stati Uniti, gestore del colosso finanziario Berkshire di Omaha, nel 2002 dichiarava: «I titoli derivati sono armi di distruzione di massa». Sul sistema di regole e controlli aggiungeva: «Nessuna banca centrale ha il compito di prevenire i crac a cascata nei derivati e nelle assicurazioni». Dunque uno dei finanzieri più influenti del pianeta, regolarmente chiamato a testimoniare al Congresso e al Senato di Washington nelle audizioni sulla politica economica, aveva avvisato i guardiani del mercato. Più esplicito di così non poteva essere. Quelle parole oggi suonano come un terribile atto di accusa per governi, banche centrali, authority di vigilanza. Negli Stati Uniti e in Europa. Nulla è veramente cambiato nell´architettura portante della finanza globale, dal 2002 a oggi. Nessuna riforma radicale è stata varata neppure negli ultimi 15 mesi, quando la crisi era ormai visibilissima e stava dispiegando i suoi effetti letali, dapprima al rallentatore, poi in una sequenza sempre più frenetica di catastrofi. Dare addosso alla speculazione ribassista oggi è una misura patetica, un´autentica presa in giro: è il malato che in un impeto d´ira spezza il termometro che gli sta indicando la sua febbre. Ben altri sono i limiti che andavano decisi. Il mondo dei derivati è rimasto un universo parallelo, un sistema bancario-ombra dove non vigono le stesse regole e gli stessi controlli imposti all´attività creditizia ordinaria. Gli hedge fund continuano a essere una giungla selvaggia. I titoli strutturati, i misteriosi contratti di copertura dal rischio-fallimento che hanno travolto il colosso Aig, tutto questo bubbone è stato lasciato ipertrofizzare. I banchieri centrali si incontravano nei convegni dell´Fmi a Washington, o della Bri a Basilea, e si scambiavano dotte relazioni sulla «necessità» di correggere le falle del sistema. Di quegli studi sono pieni gli archivi delle banche centrali. Compresi i lavori della task force sui rischi sistemici guidata dal nostro Mario Draghi. Ma le conseguenze concrete finora sono state pressoché nulle. Abbiamo una finanza globale ma non abbiamo una vigilanza globale. I gestori di patrimoni immensi hanno continuato a operare in zone grigie di lassismo, irresponsabilità, impunità. I mercati sono interconnessi a livello planetario, ma le regole e i controlli sono un paesaggio frammentario e balcanizzato. Il panico di questi giorni è un terribile fallimento delle autorità di sistema, che paghiamo tutti. Anche nelle colpe vi è una gerarchia e un ordine. Il primo imputato è l´establishment americano, da Wall Street alla classe politica legata a filo doppio agli interessi delle grandi lobby del denaro. L´America vive da anni sotto l´egemonia culturale di uno slogan che fu lanciato da Ronald Reagan, poi ripreso dai Bush padre e figlio, infine riciclato con ardore dal duo McCain-Palin in questa campagna elettorale: «Lo Stato non è la soluzione dei problemi, lo Stato è il problema». E´ questa l´ideologia che ha teorizzato i benefici del laissez-faire. E´ stata fatta propria anche da Alan Greenspan, al timone della Federal Reserve per ben 17 anni, il massimo teorico della capacità dei mercati di autoregolarsi. Greenspan ha continuato a difendere quell´ideologia fino a poche settimane fa, salvo improvvisamente cambiare tono e definire la crisi attuale come «la più grave da un secolo». Il suo successore e l´Amministrazione Bush ora nazionalizzano a tutto spiano. Questa crisi travolge le ideologie e sposta di colpo il terreno su cui si combatte la battaglia presidenziale americana. Ma il 4 novembre è lontano; il gennaio 2009 in cui il nuovo presidente Usa assumerà i poteri è lontanissimo. Di qui ad allora il bilancio dei danni potrà essersi aggravato. L´Europa e il resto del mondo non possono permettersi di aspettare. Federico Rampini