Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 19/9/2008, pagina 26, 19 settembre 2008
Corriere della Sera, venerdì 19 settembre Passasse l’idea dei Cobar dei carabinieri veneti, il capitano Bellodi, «biondo e ben rasato» che veniva da Parma e non alzava la voce ma «era la legge, quanto la morte paurosa», farebbe più fatica a diventare il protagonista del «Giorno della civetta» di Sciascia
Corriere della Sera, venerdì 19 settembre Passasse l’idea dei Cobar dei carabinieri veneti, il capitano Bellodi, «biondo e ben rasato» che veniva da Parma e non alzava la voce ma «era la legge, quanto la morte paurosa», farebbe più fatica a diventare il protagonista del «Giorno della civetta» di Sciascia. La proposta dei rappresentanti dell’Arma nordestina di dare ai militari veneti ufficiali veneti è infatti, giusta o sbagliata che sia, il rovesciamento di un principio antico e consolidato. Quello che voleva, semmai, l’opposto. E cioè che l’unità del Paese fosse perseguita anche mischiando gli italiani in divisa. Cosa che portò l’alpino asiaghese Mario Rigoni Stern a raccontare ne Il sergente nella neve di tre tenenti: il lombardo Cenci, il marchigiano Moscioni, il siciliano Sarpi. Sintesi formidabile, col contorno del «Maestrino» terrone e del polentone Giuanin («Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?»), di come lassù tra le nevi della Russia il Paese, anche al di là dei dialetti che venivano parlati nelle trincee, fosse uno e uno solo. Come una sola è l’immensa scalinata del sacrario di Redipuglia che porta incisi i nomi delle decine di migliaia di soldatini sardi e piemontesi, liguri e pugliesi, toscani e molisani, morti tutti insieme nella Grande Guerra. I carabinieri veneti, sia chiaro, sostengono di avere avuto buone ragioni per avventurarsi in questa sortita che da un paio di settimane sta incendiando il dibattito sui giornali locali, tra le forze politiche e soprattutto nei blog dove chi è in divisa, e resta soggetto alla rigidità dei regolamenti, ha la possibilità di dire la sua più o meno protetto dall’anonimato di Internet. Dicono che il loro disagio, al di là della goccia che ha fatto traboccare il vaso (la mancata concessione d’una onorificenza a un mi-litare per un «errore/svista» dell’amministrazione centrale romana senza che i delegati sindacali capitolini si facessero carico di correggere l’ingiustizia, riparata soltanto attraverso un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica) ha radici profonde. E che la mancata tutela del militare inizialmente derubato del premio al quale aveva diritto è stata solo l’ultima conferma di come i «sindacalisti » nazionali dei carabinieri siano diventati sempre più distanti e «distratti» («una volta eletto il Cocer, ciao ciao, ci vediamo fra quattro anni») e incapaci di tutelare i colleghi sparsi per la penisola. Ma soprattutto quelli del Nord. Eccolo, il nodo più spinoso: giurano che esiste una questione settentrionale anche, incredibile ma vero, nel mondo dell’Arma. Dovuta al fatto che, come spiega la delibera 190 del Consiglio di Base di Rappresentanza del 10 giugno scorso, passata sotto silenzio, l’arruolamento dei carabinieri (scelta confermata nell’ultima Finanziaria) avviene sempre di più attraverso la «ferma» volontaria nell’esercito. Un passaggio che di fatto, secondo gli inquieti rappresentanti dei «cc» veneti, starebbe «meridionalizzando» il corpo sempre di più. Senza che neppure vengano prese in considerazione alcune proposte. Come la delega ai comandanti locali ad assumere direttamente «almeno il 50 per cento» dei nuovi militari. Così da avere negli uffici e sulle auto di pattuglia persone che meglio conoscono il territorio. Del resto, dicono, così era una volta: «La Bassa Padana, col vecchio sistema di arruolamento, quello da noi richiesto, era un bacino di utenza notevole per l’Arma». «Che storia è mai questa: carabinieri leghisti? », saltò su qualcuno, preoccupato all’idea che vada in pezzi anche uno degli ultimi simboli dell’unità del Paese. La delibera 190 passata quasi sotto silenzio era però solo un petardo di assaggio. La bomba sarebbe arrivata, come dicevamo, col documento numero 203. Dove, oltre alla diffida ai rappresentanti capitolini del Cocer «a parlare in nome di tutti i carabinieri perché quelli del Veneto non sono presenti», c’è l’appello di cui dicevamo all’inizio. Appello votato quasi all’unanimità dai delegati dei carabinieri veneti (un astenuto, su tredici) e impostato su rivendicazioni un tempo impensabili: «In Veneto deve essere inviata una classe dirigente "veneta" che, pur amando la patria nella sua interezza e unione, sia interessata a difendere anche la propria terra e i propri paesani dalla delinquenza, anziché considerare il Veneto "terra di conquista" e di transito da sfruttare per soli fini personali e familiari ». «Il fatto è che il Cocer viene eletto attraverso un meccanismo perverso e superato che favorisce le regioni con più carabinieri e maggiore organico, in particolare quelle del Sud, e quindi noi siamo destinati a "perdere" comunque in termini di rappresentanza», ha spiegato un delegato a Monica Andolfatto, del Gazzettino. « una minchiata e lo dico da carabiniere», è sbottato subito il deputato Filippo Ascierto, di An. «Di fronte a queste uscite sono perplesso e preoccupato non tanto per i contenuti ma per il solo fatto che avvengano», ha sospirato il governatore Giancarlo Galan. «Se all’interno dell’Arma dei carabinieri si verificano polemiche di questo genere, contrapposizioni di questo genere, c’è da stare più che preoccupati». Al di là dell’immediato consenso della Lega, che per bocca del senatore Paolo Franco sostiene che «anche in un apparato dello Stato importantissimo come l’Arma i rapporti organizzativi devono essere rivisti in un’ottica federalista e di rappresentanza territoriale », la sortita dei «carabinieri del leòn», come qualcuno li ha subito ribattezzati, segna comunque una svolta epocale. la rottura di un tabù. Che aveva fatto dell’Arma uno dei pilastri dell’unità nazionale. Capace di imporsi, dopo essere stata fondata nel 1814 come gendarmeria reale sabauda, come un punto di riferimento di tutti gli italiani. Capace di uscire indenne, decennio dopo decennio, dalle polemiche sulla ferocia della guerra al brigantaggio meridionale e poi sulla cieca disciplina con cui sparavano sui soldatini pazzi di paura che non avevano il coraggio di andare all’assalto sul Carso o sull’Ortigara e ancora sulla collaborazione offerta ai fascisti e ai nazisti nel rastrellamento degli ebrei e infine sulle ambiguità nei giorni del «piano Solo» e del tentato golpe del generale Giovanni Di Lorenzo. Capace di offrire esempi straordinari di eroismo, come Salvo D’Acquisto. E straordinari servitori dello Stato come Carlo Alberto Dalla Chiesa e tanti altri morti sul fronte della mafia, della ’ndrangheta, della camorra. Come andrà a finire? Mah... L’unica speranza è che una vicenda come questa non venga liquidata come un mal di pancia destinato ad essere riassorbito. Magari, fosse solo un mal di pancia... Gian Antonio Stella