Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  settembre 17 Mercoledì calendario

Dieci anni di azzardo morale (e di politica accomodante). Il Sole 24 Ore 17 settembre 2008 Stavolta le autorità creditizie americane hanno staccato la spina

Dieci anni di azzardo morale (e di politica accomodante). Il Sole 24 Ore 17 settembre 2008 Stavolta le autorità creditizie americane hanno staccato la spina. Dopo aver salvato Bear Stearns prima, e Freddie Mac e Fannie Mae poi, hanno lasciato fallire Lehman Brothers. E ieri la Federal Reserve ha lasciato invariati i tassi d’interesse, con una scelta opposta a quella adottata sempre negli ultimi dieci anni, di allentare la politica monetaria per arginare le fasi di più marcata instabilità finanziaria. Le decisioni appaiono coraggiose nel momento presumibilmente più acuto della crisi finanziaria: l’accelerazione finale nel superamento di quello che è stato definito «il decennio dell’azzardo morale», in cui i protagonisti dei mercati venivano incoraggiati ad assumere rischi sempre maggiori, e alla fine insostenibili, nell’aspettativa del supporto della Fed. Stavolta le autorità hanno staccato la spina. Lasciando fallire Lehman Brothers, hanno interrotto una spirale di azzardo morale, o moral hazard, che - dopo il salvataggio, con semplice garanzia pubblica o con soldi veri e propri delle casse federali, di Bear Stearns prima e di Fannie Mae e Freddie Mac poi - rischiava di avvitarsi e addirittura di stimolare richieste da settori fuori della finanza, come l’auto. E ieri la Federal Reserve ha lasciato invariati i tassi d’interesse, con una risposta alla crisi opposta a quella invariabilmente messa in atto negli ultimi dieci anni: allentare la politica monetaria per arginare l’instabilità finanziaria. Qualche commentatore l’ha chiamata la fine di un decennio di moral hazard, perché l’incentivo a cercare sempre nuovi rischi, sempre più insostenibili, nell’aspettativa del salvagente pubblico, ha origini lontane e il suo strumento negli Stati Uniti è stato in tutti questi anni non tanto l’intervento diretto a soluzione delle crisi, cui si è fatto ricorso negli ultimi mesi, ma la politica monetaria. Il primo esperimento risale, se vogliamo, a un passato ancor più remoto, al Black Monday dell’ottobre 1987, quando l’appena insediato Alan Greenspan scoprì che poteva stabilizzare i mercati a suon di dichiarazioni e iniezioni di liquidità. Si trattò di un episodio di breve intensità, rispetto agli standard di oggi, e durata. Il caso che ha dato il via al decennio del moral hazard è invece quello dell’autunno 1998, quando prima l’insolvenza della Russia sul suo debito estero, poi il tracollo di Ltcm, l’hedge "dei premi Nobel", diffusero instabilità a macchia d’olio sui mercati mondiali. La Fed da un lato convocò le grandi banche per liquidare in modo ordinato Ltcm (senza soldi pubblici, allora), dall’altro avviò una serie accelerata di tagli dei tassi d’interesse che allentarono notevolmente le condizioni monetarie. Successo nella stabilizzazione dei mercati, ma probabile avvio della creazione di una bolla sui mercati azionari, perché i bassi tassi alimentarono il boom dei titoli tecnologici e di internet, boom che, come nella crisi attuale, trova peraltro radici anche in criteri di bilancio e regole discutibili. Quando nei primi mesi del 2001 la bolla della Borsa scoppia, la Fed reagisce sempre allo stesso modo, tagli successivi dei tassi, che ricevono un supplemento a fine anno quando, dopo l’11 settembre, si teme per la stabilità dei mercati e per una possibile recessione (che si rivelerà di brevissima durata). Prima che cominci un nuovo ciclo di rialzi siamo a metà del 2004 e per anni i tassi d’interesse reali restano negativi. Sui mercati finanziari si diffonde l’idea del "Greenspan put", cioè che quando le cose cominciano ad andar male, si può contare sull’opzione Greenspan, che il presidente della Fed li sostenga abbassando i tassi. Sono le condizioni, anche psicologiche, necessarie a gonfiare un altra bolla, questa volta nel mercato immobiliare e nei prodotti finanziari correlati, e a provocare il rialzo esponenziale delle materie prime. Il boom delle commodities, dice l’economista Guillermo Calvo, si spiega così, assai meglio che invocando la speculazione. L’effetto ritardato di una politica monetaria eccessivamente espansiva, scrive l’economista del Fondo monetario, Noureddine Krichene, ha condotto a una vasta espansione di tutti i tipi di credito, senza alcuna attenzione per la solvibilità. Quando nell’estate dell’anno scorso la crisi, inizialmente dei mutui subprime, poi di tutta la finanza, deflagra, la risposta principale della Fed, ora guidata da Ben Bernanke è, non sorprendentemente, il ribasso a tappe forzate dei tassi d’interesse. La lezione di questo decennio è che una politica monetaria indebitamente accomodante genera bolle. Finora, i banchieri centrali hanno sempre rifiutato di fare dei prezzi degli asset (azioni, case, materie prime) uno dei fari della loro azione, per la difficoltà nell’identificare la formazione di una bolla e per i rischi insiti nei tentativi di sgonfiarla o farla scoppiare. Certamente, soprattutto in questo ultimo anno, hanno imparato che da questi mercati vengono segnali che le autorità monetarie non possono permettersi di ignorare. Alessandro Merli