Vittorio Malagutti, L’espresso 25/9/2008, pagina 138, 25 settembre 2008
L’epresso, giovedì 25 settembre La sera di domenica 14 settembre, varcando la soglia di una delle sedi secondarie del ministero del Lavoro, Augusto Fantozzi ha capito una volta per tutte di aver accettato l’incarico più complicato della sua lunga vita professionale
L’epresso, giovedì 25 settembre La sera di domenica 14 settembre, varcando la soglia di una delle sedi secondarie del ministero del Lavoro, Augusto Fantozzi ha capito una volta per tutte di aver accettato l’incarico più complicato della sua lunga vita professionale. A ricordarglielo, tra urla e insulti, c’era una folla di dipendenti Alitalia condannati, nella migliore delle ipotesi, a perdere ricchi benefit e una fetta dello stipendio. Ma Fantozzi, tributarista e cattedratico di fama, già politico e ministro, sa bene che il suo destino prossimo non si gioca sulle barricate delle trattative sindacali. Per lui, l’ex candidato ulivista (elezioni 2001) inviato dal governo Berlusconi a gestire la liquidazione della compagnia di bandiera, il rischio vero è quello delle carte bollate. Delle accuse, che potrebbero approdare in tribunale, di aver svenduto la polpa di Alitalia, di aver steso un tappeto rosso di fronte all’avanzata dei 16 (o forse 18) presunti capitani coraggiosi guidati da Roberto Colaninno e dalla Banca Intesa di Corrado Passera. "Qual è il prezzo giusto?", si chiedono gli analisti. A quanto ammonterà, a giochi fatti, il buco finanziario lasciato in eredità ai contribuenti italiani? E quale sarà invece la somma destinata a soddisfare le richieste di migliaia di creditori, tra cui gli investitori che hanno comprato i bond piazzati nel 2002 dall’azienda tricolore? Tutto dipende da quanto pagheranno Colaninno e soci per entrare in cabina di comando. Poi c’è la cosiddetta bad company, le attività che resteranno fuori dalla Nuova Alitalia. Fantozzi le metterà all’asta nel tentativo di far quadrare i conti. Numeri certi per il momento non ce ne sono. L’offerta della cordata riunita nella Cai (Compagnia aerea italiana) resta sospesa nel limbo delle indiscrezioni. Così come il piano industriale, più volte rivisto per venire incontro alle richieste dei sindacati, è fin qui emerso pubblicamente solo nelle grandi linee. Almeno un punto fermo da cui partire però esiste. Come confermato dallo stesso Fantozzi, il prezzo messo sul piatto dalla Cai si aggira sui 400 milioni. A questa somma andrebbe dedotta la quota di debiti di cui i compratori sarebbero disposti a farsi carico. Insomma, per ora si può ragionare solo su un numero o poco di più. Difficile, quindi, formulare giudizi. Fin d’ora però appare chiaro che uno dei passaggi più delicati dell’intera operazione riguarda la valutazione da assegnare agli slot a disposizione di Alitalia, anche questi destinati a passare alla nuova società. Traducendo dal gergo tecnico, lo slot è l’intervallo di tempo concesso agli aerei di una compagnia per decollare e atterrare in un aeroporto. Con l’aumentare del traffico, questi varchi d’accesso finiscono spesso per diventare merce rara, soprattutto quando aprono le porte allo scalo di una grande città. Ebbene, secondo alcuni esperti il portafoglio di slot a disposizione di Alitalia avrebbe un valore non inferiore a 500 milioni. E c’è addirittura chi arriva a 800-900 milioni. Sarebbe questo, allora, il vero tesoretto della compagnia di bandiera travolta dal dissesto. Un tesoretto destinato a finire sotto il controllo della cordata di Colaninno. Eppure, secondo indiscrezioni, l’offerta targata Cai non assegna alcun valore agli slot. La materia, in effetti, è controversa. L’accesso negli aeroporti, da principio frutto di accordi che coinvolgevano anche le diplomazie degli Stati, non era considerato commerciabile. Di conseguenza agli slot non veniva attribuito un prezzo. L’enorme espansione del traffico ha avuto però l’effetto di cambiare le regole del gioco. E infine nell’aprile scorso, una comunicazione dell’Unione europea ha fissato nuovi paletti in materia. Con questo provvedimento Bruxelles ha liberalizzato il commercio di slot (secondary trading) tra compagnie con l’obiettivo di rendere più efficiente la gestione degli aeroporti e di aumentare la concorrenza tra le linee aeree. In pratica gli slot possono essere scambiati tra di loro oppure comprati e venduti sul mercato. La stessa Alitalia ha già sperimentato i vantaggi del nuovo sistema. Nel dicembre del 2007, quindi ancor prima dell’intervento della Commissione europea, il gruppo all’epoca guidato da Maurizio Prato puntellò il bilancio, mettendo in vendita tre coppie di slot nello scalo londinese di Heathrow. L’operazione, in base al conto economico 2007, fruttò proventi straordinari per 55 milioni di euro. In teoria, una volta preso il controllo della ex compagnia di bandiera, anche Colaninno potrebbe seguire le orme del suo predecessore. Tanto più che la Nuova Alitalia, opportunamente ridimensionata, abbandonerebbe molte rotte nazionali e internazionali. Gli slot in sovrannumero potrebbero quindi essere ceduti incassando risorse preziose per il rilancio. In prospettiva si profilano affari d’oro, almeno sulla carta. L’accesso agli scali europei, del Nord Africa e del Medio Oriente è valutato complessivamente tra 250 e 400 milioni. Ciascun diritto di atterraggio e decollo tra Linate e Fiumicino, la rotta di gran lunga più redditizia per Alitalia, può valere fino a 3 milioni di euro. E Fantozzi? Anche il commissario, con l’obiettivo di realizzare il massimo possibile dalla liquidazione, potrebbe scegliere di valorizzare il tesoretto ai prezzi di mercato. E allora Cai dovrebbe pagare di conseguenza. In poche parole 400 milioni non sarebbero sufficienti per comprare la polpa dell’azienda di Stato. La questione degli slot è all’attenzione anche degli esperti di Banca Leonardo, l’istituzione finanziaria nominata dal governo come perito indipendente incaricato di valutare gli asset da cedere. Il tempo stringe, però. Se una compagnia smette di volare, gli slot si azzerano automaticamente. Questo è quanto accade, per esempio, se per un certo periodo di tempo non viene coperta una certa rotta. Oppure, ovviamente, in caso di fallimento. Quindi, come concorda la maggior parte degli esperti, i nuovi padroni di Alitalia erediteranno, in tutto o in parte, anche i diritti di atterraggio e decollo. Ma per averli dovranno pagare. Alla fine, quindi, Colaninno potrebbe essere costretto a rivedere al rialzo la sua offerta. Un’altra questione scottante è quella degli aerei. Alla luce delle poche indiscrezioni che filtrano sui contenuti del piano Fenice, gli obiettivi della cordata degli acquirenti appaiono chiari. Fondere Air One, che dispone di velivoli più moderni ed efficienti, con il meglio della flotta targata Alitalia, che controlla in totale 173 aerei, di cui 99 di proprietà e il resto in leasing. Nel 2009 la nuova compagnia avrà così un totale di 137 aerei, destinati a salire a 153 entro il 2013, di cui solo una ventina destinati ai collegamenti intercontinentali. Almeno un centinaio di questi aerei sarà affittato in leasing, mentre il resto saranno in proprietà. In particolare: la AirOne di Carlo Toto dovrebbe cedere in affitto almeno 25 dei propri aerei, mentre per un’altra trentina si limiterebbe a girare alla cordata Cai il contratto di leasing. L’unica offerta di acquisto vera e propria riguarderebbe una quarantina di aerei attualmente in carico ad Alitalia, che ne trasferirebbe alla società di Colaninno altri 50 di quelli adesso in leasing. Gran parte della flotta della nuova compagnia verrebbe quindi presa in affitto e questo servirebbe a limitare l’esborso di capitale da parte degli acquirenti. Risultato finale: al liquidatore Fantozzi resterebbero da vendere gli aerei più antiquati, quelli, in sostanza, più difficili da piazzare sul mercato. il caso, ad esempio, degli MD80, reduci almeno da un paio di decenni di onorato servizio sulle rotte di medio raggio in Europa e in Italia. Al 31 marzo scorso, come segnala la relazione trimestrale della società, Alitalia disponeva di 73 aerei di questo tipo, di cui 43 di proprietà, 29 in leasing e l’ultimo a noleggio. Alcuni di questi sono stati messi a terra con i tagli di rotte varati con il nuovo orario estivo e di sicuro non troveranno più spazio nella flotta della nuova compagnia, così come altri della stessa categoria. Il loro destino è quindi nelle mani del liquidatore che cercherà acquirenti in giro per il mondo. Non sarà un’impresa facile. Gli MD80 sono considerati aerei d’altri tempi. Se non altro perché hanno consumi di carburante superiori anche del 30 per cento ad altri velivoli con caratteristiche simili. Piazzarli uno per volta, spiegano gli esperti del settore, è già un’impresa. Se poi qualcuno deve venderne uno stock di alcune decine, siamo di fronte a una vera mission impossible. Di sicuro calano, e di molto, i prezzi che è possibile spuntare. Per ciascun esemplare di MD80 si potrebbe arrivare ad incassare non più di 5-6 milioni di euro. Fantozzi però sembra ottimista. Quegli aerei "sono molto richiesti e non avremo difficoltà a venderli", ha dichiarato il commissario in una recente intervista. Gli esperti interpellati da ’L’espresso’ la pensano diversamente. Gli scarti della cordata acquirente, che si deprezzano di settimana in settimana, rischiano di restare a lungo negli hangar della vecchia compagnia. Di questo passo non sarà facile soddisfare la lunga fila dei creditori di Alitalia. A meno di non bussare alla porta di Cai e far pagare caro il tesoretto degli slot. Vittorio Malagutti