Raffaele Panizza, Panorama 18/9/2008, pagina 177, 18 settembre 2008
Panorama, giovedì 18 settembre L’abitino lilla stile impero di Giulietta è talmente scollato, e le trasparenze così evidenti, che vien da domandarsi se Romeo sia più frastornato dal suo destino fatale o piuttosto dalla dolorosa bellezza della soprano georgiana Nino Machaidze, che saltellando qua e là lungo il palco solleva la gonna come una ragazzina ancora inconsapevole dei turbamenti che provoca
Panorama, giovedì 18 settembre L’abitino lilla stile impero di Giulietta è talmente scollato, e le trasparenze così evidenti, che vien da domandarsi se Romeo sia più frastornato dal suo destino fatale o piuttosto dalla dolorosa bellezza della soprano georgiana Nino Machaidze, che saltellando qua e là lungo il palco solleva la gonna come una ragazzina ancora inconsapevole dei turbamenti che provoca. L’opera di Charles Gounod Roméo et Juliette, che ha trionfato a Salisburgo in agosto, col tenore messicano Rolando Villazón nei panni di un Romeo stile Antonio Banderas, ha puntellato l’ultimo piolo della montagna russa hollywoodiana sulla quale il mondo dell’opera ha deciso di buttarsi. Così nei teatri di tutto il mondo spadroneggia una nuova generazione di soprano «cinematograficamente modificate»: magre, modellate da ore di piscina e fitness, spesso e volentieri in scena con tacchi e giarrettiere, o con palpitanti sottovesti alla Basic instinct. Tutte dotate di sito web personale arricchito da foto curatissime. E poi impegni con gli sponsor, eventi di beneficenza, stilisti che le vestono e gioiellieri che le ornano. Più che soprano, vere e proprie figure da soap, come i telefilm patinati a cui potrebbero tranquillamente prendere parte, se la natura non le avesse dotate di una voce melodiosa. Per esempio l’australiana di origini cingalesi Danielle De Niese, indimenticata Poppea in babydoll color madreperla, impegnata a strapazzare come un tappetino d’auto un povero Nerone tra vaporose lenzuola rosse di seta. E nei panni di Cleopatra ha intonato Non disperar ballando come un’attrice di Bollywood. C’è un aneddoto per chi all’opera non ha mai messo piede: è lei la visione che canta Vide cor meum davanti a un estasiato Doctor Lecter nel film Hannibal. Da quel momento, se Nino Machanidze è per tutti l’Angelina Jolie dei teatri, De Niese è l’Halle Berry del melodramma, messa sotto contratto dalla Decca e fresca di pubblicazione dell’album Händel arias. Ancora nessun paragone cinematografico, invece, per la ventottenne russa Olga Peretyatko, fisico procace e capelli corvini che spesso solleticano le fantasie meno filologiche dei registi. «Vivo in Germania, qui costumisti e direttori artistici osano decisamente di più» racconta dalla sua casa berlinese. «Poco tempo fa, per interpretare l’Olympia tratta dai racconti di Jacques Offenbach, sono stata trasformata dal regista in una bambolina, una vera sex machine, esibendomi persino in uno strip tease quasi completo» racconta divertita. Chissà se il prossimo 29 aprile, quando sarà a Bologna per interpretare Gilda nel Rigoletto, il regista Giancarlo Cobelli cavalcherà l’onda mettendo in mezzo al palco un palo da lap dance. Ma i melomani di questa faccenda che dicono? Si dividono, ovvio: «I maligni sostengono che la svolta sexy serva a mascherare la mancanza di grandi voci» insinua il critico Elvio Giudici, curatore per Il Saggiatore di un’ampia raccolta di opere in cd e dvd «ma il motivo vero è un altro: l’aspetto teatrale della rappresentazione lirica sta diventato centrale. Di conseguenza, un’attrice giunonica che si piazza in mezzo al palco come un vigile urbano e attacca a cantare non è più tollerabile». Ma, come accade in ogni rivoluzione, c’è sempre chi esagera: «Più di un direttore artistico me l’ha confessato: se oggi mi trovassi davanti alla nuova Montserrat Caballé, non saprei cosa farmene» conclude Giudici. Anche l’agente teatrale Saverio Clemente sottoscrive in pieno: «I direttori ormai te lo dicono chiaro e tondo: trovacele brave, ma che siano carine». E se le cose stiano o no davvero così si può domandare a Marco Tutino, che nei panni di sovrintendete al Teatro Stabile di Bologna ha già promosso più di un’eresia, almeno secondo i più conservatori, per esempio, affidando a Lucio Dalla la regia di L’opera da tre soldi. «Non vedo cosa ci sia di male» risponde da Santander. «Se una è cicciottella, le si consiglia una bella dieta, tutto qui». Nemmeno a provocarlo, a dirgli che il suo Der Vampyr che aprirà a Bologna la stagione con le splendide Carmela Remigio e Donata D’Annunzio Lombardi sembra animato più da uno spirito di casting che di cast, Tutino si scalda: «E perché dovrei? Nell’Ottocento la figura del vampiro era legata all’erotismo, e servono interpreti in grado di incarnarlo... Nessuno si stupisce se il cinema è pieno di attrici sexy e brave, giusto? Non si vede perché all’opera non debba valere la stessa regola». Tempi duri per le fiammiferaie. Remigio, talentosa interprete di origine pescarese che farà la parte di Malwina, lo ammette candidamente: «Sì, è successo, mi sono trovata a un provino con una collega molto brava, ma alla fine sono stata scelta io perché ero la più bella. Da quel giorno l’altra non mi ha più rivolto la parola». La tendenza è questa. E per fortuna: la svolta sensuale ha fatto sì che in paesi come Austria, Spagna e Germania il pubblico dell’opera sia ormai di vent’anni più giovane di quello che affolla le sale italiane. E in più le «soaprano» portano pubblico e sponsor. L’esempio più vistoso è la russa Anna Netrebko, 36 anni, bellezza marziana tra le file storicamente poco fruttuose del canto lirico, momentaneamente fuori gioco per una gravidanza ma considerata la diva che ha fatto da spartiacque tra le epoche. Paragonata più volte ad Audrey Hepburn per grazia e sensualità, inclusa nel 2007 dalla rivista Time tra i 100 personaggi più influenti del pianeta, e da Playboy nel numero di marzo dedicato alla musica, ha concluso contratti milionari con Rolex (orologi), Chopard (gioielli), Bmw (automobili) e Zac Posen (abiti). In Austria, dove vive, si è prestata allo spot tv dell’acqua minerale Vöslauer. Vestita spesso da Roberto Cavalli agli eventi mondani, ha venduto 2 milioni di dischi (appena pubblicata per la Deutsche Grammophon l’ultima raccolta di arie, Souvenirs) e dato vita a personaggi dalla carica erotica rivoluzionaria. Come Manon, trasformata in una sorta di killer in reggicalze (ormai di culto l’aria nella quale, in sottoveste nera di pizzo, benda il tenore Roberto Alagna e gli accarezza il petto villoso). Oppure la Traviata in abitino rosso e tacco 12, circondata da una schiera di maschi adoranti che le porgono calici di champagne. «Sono fotomodelle con voci da angelo: per dive di questo livello nel mercato di oggi le possibilità commerciali sono infinite» riassume l’agente newyorkese Bruce Zemsky della Zemsky and Green, da oltre 30 anni nel business. E questo è il modo glamour per dirla. Ma ce n’è anche un altro, volendo: «Siamo alla dittatura delle bonazze, cari miei» graffia Katia Ricciarelli, sollecitata sul tema. «Io preferisco una Caballé cicciona nei panni della Norma, piuttosto che una belloccia in guêpière». Ma alla fine anche lei ammette che certe cantanti oversize, che per anni hanno calcato le scene, hanno causato più di un’incoerenza nelle trame: una Bohème di 110 chili che muore di tisi, grazie alle bonazze, non dovremmo vederla più. Raffaele Panizza