Massimo Gaggi, Corriere della Sera 18/9/2008, pagina 5, 18 settembre 2008
Corriere della Sera, giovedì 18 settembre New York. Nell’Asia orientale e nel mondo arabo i fondi sovrani reinvestono gli enormi surplus di valuta accumulati con le esportazioni di prodotti industriali, servizi e petrolio
Corriere della Sera, giovedì 18 settembre New York. Nell’Asia orientale e nel mondo arabo i fondi sovrani reinvestono gli enormi surplus di valuta accumulati con le esportazioni di prodotti industriali, servizi e petrolio. L’Europa sta ragionando sulla proposta Tremonti di creare un suo maxifondo per rilanciare gli investimenti in infrastrutture. Anche gli Usa dovranno probabilmente dotarsi di una sorta di fondo sovrano, ma di tutt’altra natura: un’agenzia federale chiamata a rastrellare le obbligazioni «tossiche» che stanno affondando banche e finanziarie. Le rileverà pagandole con titoli garantite dall’«aquila federale» e le terrà in portafoglio fino a quando i mercati si stabilizzeranno e questi titoli - che oggi nessuno vuole - troveranno di nuovo dei compratori. Insomma un fondo che, anziché investire ricchezza prodotta in eccesso, assorbirà risorse dalle tasche dei contribuenti; e che non cercherà di realizzare profitti, ma solo di limitare e diluire le perdite che pesano sulla finanza americana e mondiale. Non è l’incubo costruito a tavolino da un narratore di novelle «noir», ma la proposta estrema dei «grandi vecchi» dell’economia Usa - dagli ex governatori della Federal Reserve Volcker e Greenspan agli ex ministri del Tesoro Summers e Brady - secondo i quali è rimasto un solo modo per evitare il «meltdown » del sistema finanziario: creare uno strumento simile alla Resolution Trust Corporation, l’agenzia istituita vent’anni fa per gestire transitoriamente la crisi delle S&L, le casse di risparmio. Oggi si tratta di ripulire il mercato dalla mole dei titoli che in questo momento sono considerati carta straccia e che stanno trascinando a fondo non solo gli operatori da tempo in difficoltà, ma anche corazzate che sembravano inattaccabili. Perfino Goldman Sachs, la regina di Wall Street. Basta vedere quello che è accaduto ieri: un evento storico, senza precedenti, come il salvataggio di un gigante assicurativo da parte della Banca centrale Usa, è stato interpretato dai mercati alla stregua dell’intervento di un camion dei pompieri chiamato a spegnere gli incendi di una città ormai divorata per metà dalle fiamme. La fiducia reciproca tra i banchieri è crollata a zero: nessuno presta più nulla a nessuno. Lo Stock Exchange ha perso un altro 4%, ma, soprattutto, è partito l’attacco a due istituti fino a ieri considerati assai solidi come Morgan Stanley e Goldman Sachs. Incredibile: sono con le spalle al muro anche banche che fino all’anno scorso distribuivano bonus di decine di migliaia di dollari non solo ai manager, ma anche a segretarie e uscieri. E Nouriel Roubini, l’economista che «annuncia sventura» da due anni, ma le cui previsioni si sono rivelate fin qui fondate, afferma nel suo sito (RGEmonitor.com) che le due ultime «investment bank» rimaste indipendenti, non potranno sopravvivere senza fondersi con altre istituzioni finanziarie. Il fondo di salvataggio proposto da Volcker e da altri economisti spaventa a morte la Casa Bianca e il Congresso, visto che quello che si delinea è un intervento gigantesco e che gli oneri si scaricheranno comunque sui cittadini, sotto forma di tasse o di maggiore inflazione prodotta da massicce emissioni di titoli del debito pubblico. Roba «radioattiva» in qualunque momento, ma soprattutto alla vigilia di una tornata elettorale. Oltretutto mancano i tempi tecnici per la presentazione, la discussione e l’approvazione di una nuova legge, visto che il Parlamento chiude fra due settimane per prepararsi alle elezioni del 4 novembre. Alla ripresa, però, il tema sarà ineludibile. Ne è convinto, ad esempio, il presidente della Commissione Finanze della Camera, Barney Frank, che ha convocato per la prossima settimana una serie di audizioni su questo tema. Ma anche i liberisti del «Wall Street Journal» sposano ormai apertamente il modello «S&L», essendo arrivati alla conclusione che non ci sono vie alternative praticabili. Massimo Gaggi