varie, 18 settembre 2008
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Gardini Fausto
• Milano 8 marzo 1930, Forte dei Marmi (Lucca) 17 settembre 2008. Tennista. Vinse sette volte il titolo italiano di singolare: ininterrottamente dal 1951 al ”55 e poi nel 1961 e ”62. Quando si ritirò la prima volta, a 25 anni, era numero 5 del mondo. In Coppa Davis disputò dal 1952 al 1963 38 incontri, con 29 vittorie, poi capitano non giocatore sette volte, tra il 1972 e il 1975. La sua vittoria più importante arrivò nel singolare degli Internazionali d’Italia, nel 1955, dove battè in finale Beppe Merlo • «[...] era come Jimmy Connors: un guerriero. Non sapevi come e perché, ma tirando fuori l’anima e trascinando il pubblico, veniva fuori dall’inferno. E così faceva diventare popolare il tennis in Italia, scavalcando, nel Dopoguerra, l’etichetta di sport d’elite. Orgogliosissimo e umanissimo [...] quel ghigno che lo aveva reso celebre almeno quanto la foto di quando strinse forte in bocca una pallina come volesse mangiarla, in faccia a Beppe Merlo, che si ritirò, nella finale degli Internazionali d’Italia del ’55. Poi si accendeva nel ricordo, che cominciava sempre da quel nomignolo: ”Vampiro. Mi chiamavano il Vampiro del Porro Lambertenghi [...] Mi piaceva pure. Ma lei davvero si ricorda, lei davvero sa che certi avversari avevano paura di venire a giocare la Davis a Milano?”. Due carriere Gardini aveva lasciato il tennis a 25 anni, da numero 5 del mondo, e l’aveva ripreso a 30, di nuovo da protagonista. Andò a lavorare nel mulino del suocero, a Vercelli, per soldi; tornò a Milano per amore, del tennis, e anche per lavoro (grazie a quel mecenate dello sport di Giovanni Borghi che lo assunse). E rivinse subito gli Assoluti, ovviamente nel suo feudo, al Tc Bonacossa di Milano, e incredibilmente contro Nicola Pietrangeli. Il campione baciato dal talento, talmente sicuro di aver ormai in pugno l’anziano avversario, dopo 7 match point falliti, da gridare alla moglie in tribuna: ”Butta la pasta, che è cotto”. Errore madornale, che gli tornò contro come un boomerang insieme al pubblico e a Gardini, diventati tutt’uno, feroci, imbattibili, e vincenti, dopo 4 ore, da 5-3 40-0 sotto. [...] rivelò: ”Sono stato cattivo, agonisticamente parlando, il pubblico mi ha amato perché non mi davo mai per vinto, perché ero uno di loro. Avevo gambe e una volontà insuperabile”. Poi i ricordi: ”Nel ”61, Italia-Svezia a Milano, Pietrangeli che perde, io che sono sotto due set a uno, e al terzo becco un 6-0 che fa male, Sirola che mi butta sotto la doccia gelata, io che torno fuori e a ogni punto alzo il braccio a cielo e la gente mi urla: ”Uccidilo, martirizzalo’. E così batto Schmidt. Anche con l’aiuto del caldo umido di Milano”. Già, la Davis il suo grande amore. Diceva: ”Le polemiche degli azzurri? I giocatori italiani dovrebbero pagare di tasca loro perché la Davis li fa uscire dall’anonimato, visti i risultati dei tornei”. [...]» (Vincenzo Martucci, ”La Gazzetta dello Sport” 18/9/2008) • «Valore assoluto a parte, in tanti anni di frequentazioni tennistiche solo un giocatore mi ha dato l’impressione di avere le stesse risorse agonistiche di Fausto Gardini, ed è stato l’americano Jimmy Connors. I due hanno qualche volta superato i confini delle buone maniere ma nessuno è mai riuscito come loro, a coinvolgere ed a trascinare il pubblico. Fausto aveva tre anni di più di Nicola Pietrangeli. [...]» (Rino Tommasi, ”La Gazzetta dello Sport” 18/9/2008) • «[...] dei lombardi aveva quella particolare capacità di non arrendersi mai, di lottare anche quando la partita sembrava irrimediabilmente perduta. Per questo lo chiamavano il Vampiro. Perché era tosto, tignoso, cattivo e sfiniva gli avversari succhiando via tutte le loro energie. Un Barazzutti ante litteram, imbattibile sulla terra rossa del ”Porro Lambertenghi”, il campo principale del circolo Bonacossa, il tempio del tennis milanese. Gardini è stato uno dei migliori tennisti italiani di sempre, protagonista con Nicola Pietrangeli, Orlando Sirola, Giuseppe Merlo e Sergio Tacchini di una vera età dell’oro. Fece parte di una grande squadra di Coppa Davis, nonostante i problemi avuti con la federazione e un ritiro durato dal ”55 al ”61, senza però giocare nessuna delle due finali che l’Italia conquistò nel ”60 e nel ”61, entrambe perdute contro la straordinaria Australia di Laver, Emerson e Fraser. La rivalità più accesa con Pietrangeli, romano, più talentuoso, che batté due volte ai campionati italiani, nel ”61 e nel ”62; l’avversario preferito Merlo, vittima nella finale degli Internazionali del 1955, la prima giocata tra italiani, la vittoria più preziosa di Gardini, ottenuta, appunto, per sfinimento al quarto set quando Merlo si ritirò sul punteggio di 6-6 dopo aver vinto il primo e il terzo set. [...] Conquistò per sette volte anche il titolo di campione italiano, quando quel titolo era un titolo serio, non un ripiego per chi non vedeva palla fuori dai confini patri. Poi fu manager e scrisse due manuali sul tennis. [...]» (Domenico Calcagno, ”Corriere della Sera” 18/9/2008) • «La morte di Fausto Gardini, mio amico, mio partner di doppio negli anni giovanili, mi ha raggiunto sulle tribune del Tennis Club di Todi, mentre osservavo due ragazzi disputare un torneo Challenger. Sono rimasto bloccato a guardarli, giovani, spensierati, mentre si esaltavano, si disperavano, per un punto felice, per un errore. Eravamo così, mi son detto, quando a sedici anni, nel lontanissimo 1946, io ero il più promettente ragazzino italiano, e ad un torneo nel quale ero favoritissimo giunse ad iscriversi uno sconosciuto magro da far paura, col naso schiacciato da pugile, una sola racchetta malcordata, una Maxima, mentre io, signorino, possedevo due Maxplay con corde Babolat. Mi batté, quel tipo, capace soltanto di un terribile diritto che pareva un uncino, mi batté con una grinta che non avrei mai posseduto, e che, a tutta prima, non me lo rese certo simpatico. Imparai via via a conoscerlo, e non riuscii a non apprezzare molte sue qualità, anche bizzarre, come la volta in cui si offrì al circo Togni nel tentativo di divenire acrobata. Finimmo per divenire amici, quando io mi convinsi ad accettare la sua superiorità senza rancori, e Fausto mi propose allora di divenire suo partner di doppio. Insieme avremmo vinto a mani basse due campionati italiani juniores, e realizzato, sempre tra i giovani, due record internazionali quasi incredibili : 14 vittorie su 15 Fausto, 13 su 15 io. Il distacco tra noi aumentò, come quel fenomeno divenne numero 1, mentre io traccheggiavo intorno al 10. Lui esordiva in Davis, e io lo guardavo con amichevole invidia dal primo rango del Porro Lambertenghi, il campo milanese sul quale divenne praticamente imbattibile. La sua ascesa, che l’avrebbe portato ad una vittoria nei campionati internazionali d’Italia, contro quell’altro genio di Beppe Merlo, venne incredibilmente interrotta da una storia d’amore per una delle più fascinose debuttanti della Milano bene, Liliana Forti. Il padre di questa, facoltoso imprenditore, concesse la figlia a condizione che Gardini abbandonasse il gioco, allora dilettantistico, e si presentasse quotidianamente in ufficio in doppio petto. Simile vicenda tolse Fausto dai campi per quasi sei anni. Il giorno seguente la morte del suocero tiranno, Fausto si presentò al mattino al tennis club Milano, e in un solo anno non solo ritornò in Davis, ma ebbe a battere il divo Nicola Pietrangeli in una delle finali dei campionati nazionali più incredibili tra quante ne abbia viste, in cui ebbe ad annullare una decina di match point. Se quella incredibile parentesi non ne avesse interrotto troppo a lungo la carriera, starei ora a compiangere un tennista non inferiore a Pietrangeli e Panatta. Addio, Fausto» (Gianni Clerici, ”la Repubblica” 18/9/2008) • «[...] Alto, ossuto, con la faccia da Cristopher Lee che si scavava nella sofferenza e un tennis di grande resistenza imperniato su un diritto tutto ”di spalla”, con le sue rimonte e le sue esultanze crudeli sapeva entusiasmare il pubblico rompendo lo stereotipo chic del tennista tutto eleganza e fair-play. [...]» (Stefano Semeraro, ”La Stampa” 18/9/2008).