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 2008  settembre 16 Martedì calendario

Petraeus va, la sua dottrina resta. Il Sole 24 Ore 16 settembre 2008 Era arrivato alla guida delle truppe americane in Iraq con una missione precisa: interrompere la spirale di attentati contro gli Usa e la coalizione alleata e ricucire i rapporti con un Paese ostile verso un esercito considerato invasore

Petraeus va, la sua dottrina resta. Il Sole 24 Ore 16 settembre 2008 Era arrivato alla guida delle truppe americane in Iraq con una missione precisa: interrompere la spirale di attentati contro gli Usa e la coalizione alleata e ricucire i rapporti con un Paese ostile verso un esercito considerato invasore. Il generale David Petraeus oggi lascia il comando al suo vice Raymond Odierno: la sua missione, almeno in parte, è compiuta anche se il futuro della spedizione in Iraq, e dell’Iraq stesso, resta un’incognita. Petraeus lascia con gli allori conquistati sul campo e una popolarità che ne fanno uno dei leader del Pentagono, e non solo, più influenti d’America. Il settimanale Time, nel 2007, lo ha scelto tra i cento personaggi più influenti del pianeta (con un ritratto scritto da un senatore dell’Arizona, John McCain). Abbastanza forse, per alimentare le voci di ulteriori tappe nella carriera, dopo la guida delle truppe americane in Asia e Medio Oriente, l’incarico a cui è destinato. Compresa, forse, una corsa alla presidenza Usa. Ma non è stato facile per Petraeus. Più volte ha dovuto risalire la china della popolarità e della fiducia. Il momento più difficile è stato politico, prima ancora che militare. Sul finire del 2007, alla guida della "surge", del rafforzamento delle truppe americane in Iraq per ridurre drasticamente le violenze nel Paese, dopo i fallimenti di precedenti comandanti, Petraeus vide la sua strategia messa in discussione dai suoi stessi superiori. Al Pentagono, nonostante la sua reputazione ormai riconosciuta di genio anti-guerriglia, mancava sostegno per la mobilitazione straordinaria di decine di migliaia di nuovi soldati, anzi crescevano le pressioni per un ritiro delle truppe. In soccorso a Petreaus arrivò allora direttamente la Casa Bianca: il presidente George W. Bush gli assicurò il suo personale sostegno. Il messaggio di appoggio giunse fuori dalle vie ordinarie, quasi a sottolineare un conflitto atipico. Ma non per questo fu meno chiaro: fu affidato a un generale in pensione dell’esercito, Jack Keane. L’ex alto ufficiale gli diede fiducia, gli prospettò promozioni e una carriera politica. A Petraeus questo servì anzitutto a superare gli ostacoli interni e a proseguire la missione rafforzato. Oggi si avvera anche la seconda profezia: passerà le consegne in Iraq al suo vice, Odierno, per prendere nelle prossime settimane la testa del Comando centrale delle forze armate, quello che sotto di sè ha Medio Oriente e Paesi asiatici, compresa l’altra, sempre più difficile, guerra in cui è impegnata l’America: quella in Afghanistan. L’episodio di Keane è tra le rivelazioni dell’ultimo volume sulla presidenza Bush di Bob Woodward, il giornalista del Washington Post protagonista del caso Watergate, A war within, una guerra interna. Un racconto che, come suggerisce il titolo, alza il sipario sulle forti tensioni che dentro la stessa amministrazione accolsero la scommessa sulla "surge". Al successo di questa scelta, della sua concezione ed esecuzione, deve ora il suo nuovo ruolo Petraeus: oltre ai gradi militari, indossa ormai il mantello di salvatore della patria. Il destino dell’Iraq e le ragioni della guerra restano più controversi che mai. Ma la strategia sostenuta ed eseguita dal generale ha ottenuto esiti e plausi indiscussi: gli attentati in Iraq sono drasticamente diminuiti e con essi le vittime tra civili e militari americani. Anche se ogni giorno la cronaca registra nuovi episodi: ieri, nella provincia nord-orientale di Diyala una donna kamikaze si è fatta esplodere provocando la morte di almeno venti iracheni. E a Baghdad l’esplosione di due autoboma ha provocato 12 morti e 32 feriti. «Molto resta da fare - ha detto il 55enne generale nelle interviste rilasciate alla stampa internazionale alla vigilia dell’uscita dall’Iraq - stato un lavoro molto duro. Ma credo che abbiamo speranze. Durante il primo mese del mio incarico, ci furono 42 autobombe a Baghdad». Nel febbraio 2007 si contavano 1.500 attacchi al mese contro iracheni o truppe della coalizione. Adesso gli attentati sono scesi ai minimi degli ultimi quattro anni. Petraeus fu scelto nel gennaio 2007 per sostituire il generale George Casey alla guida della missione in Iraq e prendere le redini di un’offensiva con trentamila nuovi soldati americani sul campo. Aveva la carte in regola: era già stato comandante dello Us Army Combined Arms Center e aveva operato in Iraq, alla testa della 101esima divisione aviotrasportata durante l’invasione del 2003. In seguito aveva anche svolto compiti di addestramento delle nuove forze armate locali. E si era distinto come uno dei principali autori del nuovo manuale sulle strategie contro le guerriglie. Proprio queste caratteristiche si sono rivelate la carta vincente: il suo obiettivo è diventato quello di conquistare gli iracheni. I soldati americani hanno ricevuto il mandato di perseguire i terroristi e i membri di Al Qaida ma allo stesso tempo di guadagnare la fiducia della popolazione, con un impegno sul territorio. Una missione fatta di incontri con i capi tribali, basata sulla riapertura delle scuole e su altre attività civili. La strategia di Petraeus può vantare di aver convertito anche il suo successore, Odierno, il generale con la fama di duro che aveva guidato in Iraq la Quarta divisone di fanteria nel 2003, a nord di Baghdad, distinguendosi anzitutto per il ricorso alla forza militare. Petraeus ha saputo destreggiarsi anche tra le tensioni politiche a Washington. Nonostante in passato fosse iscritto nelle liste elettorali repubblicane in New Hampshire, si era definito un repubblicano del nordest, moderato, nella tradizione di Nelson Rockefeller. Il suo motto, ricavato da un libro di Samuel Huntington, The Soldier and The State è emblematico di questo suo modo di pensare: gli ufficiali devono agire da professionisti imparziali. Ed essere superiori alle critiche, soprattutto a quelle, feroci, degli oppositori alla guerra. In questo, Petraeus è stato molto aiutato dalla sua cifra intellettuale - un recente sondaggio delle riviste Foreign Policy e Prospect l’ha definito uno dei cento «intellettuali» di maggior spicco al mondo. La sua dissertazione per il dottorato all’Università di Princeton, presso la Woodrow Wilson School of Public and International Affairs, era intitolata, "Le forze armate americane e le lezioni del Vietnam". Probabilmente, in futuro, potrà scrivere della lezione dell’Iraq. E applicarla dalla sua nuova plancia di comando, con cognizione acquisita sul campo. Marco Valsania