Vittorio Sabadin, La Stampa 18/9(2008, 18 settembre 2008
Se lo domandano tutti, dopo l’asta di Sotheby’s che ha permesso a Damien Hirst di raddoppiare in soli due giorni il suo patrimonio, aggiungendo circa 100 milioni di sterline (125 milioni di euro) al conto in banca: il tradizionale mercato dell’arte è finito? Le gallerie e i mercanti possono chiudere bottega, perché d’ora in avanti gli artisti venderanno direttamente ai collezionisti le loro opere? Molto nervosi alla vigilia dell’evento, sia Hirst che i responsabili di Sotheby’s hanno tirato un grande sospiro di sollievo quando hanno visto che non c’era alcun problema a piazzare a decine di milioni di sterline lo squalo nella formaldeide e persino le cicche che forse lo stesso Hirst aveva fumato e spento nel suo studio, ordinate in fila per diventare un’opera
Se lo domandano tutti, dopo l’asta di Sotheby’s che ha permesso a Damien Hirst di raddoppiare in soli due giorni il suo patrimonio, aggiungendo circa 100 milioni di sterline (125 milioni di euro) al conto in banca: il tradizionale mercato dell’arte è finito? Le gallerie e i mercanti possono chiudere bottega, perché d’ora in avanti gli artisti venderanno direttamente ai collezionisti le loro opere? Molto nervosi alla vigilia dell’evento, sia Hirst che i responsabili di Sotheby’s hanno tirato un grande sospiro di sollievo quando hanno visto che non c’era alcun problema a piazzare a decine di milioni di sterline lo squalo nella formaldeide e persino le cicche che forse lo stesso Hirst aveva fumato e spento nel suo studio, ordinate in fila per diventare un’opera. Lo straordinario successo dell’evento (solo cinque lotti su 223 sono rimasti invenduti) fa pensare a molti che sia cominciata una nuova epoca, ricca di soddisfazioni per tutti. Ma Oliver Baker, l’esperto di arte contemporanea di Sotheby’s, è prudente: «Credo che i mercanti continueranno ad essere importanti per noi come lo sono sempre stati. Il loro ruolo è indispensabile per continuare ad allevare artisti e ritengo che l’asta di lunedì e martedì sia stata un caso unico, possibile solo con le opere di Damien Hirst. però ancora troppo presto per valutare la portata e le conseguenze di questo evento». Ian Peck, chief executive di Art Capital Group, una delle merchant bank più importanti nel mondo dell’arte, è invece convinto che altri seguiranno presto l’esempio di Hirst. «I mercanti tradizionali hanno di che preoccuparsi. C’è una nuova categoria di collezionisti super ricchi che sembrano impenetrabili alle crisi finanziarie. Gli americani sono stati sostituiti da acquirenti europei, asiatici e mediorientali che spendono qualunque cifra nell’arte come investimento di lungo periodo». Se prima dell’asta Damien Hirst suscitava poche simpatie, dopo ne ha raccolte anche meno. Lunedì, mentre i registratori di cassa di Sotheby’s continuavano a incamerare decine di milioni di sterline, migliaia di impiegati licenziati da Lehman Brothers lasciavano piangendo gli uffici della City con i loro oggetti in uno scatolone. Il contrasto tra il vitello d’oro nella formaldeide e il crollo delle borse mondiali era troppo stridente per non fare gridare allo scandalo. Secondo Robert Hughes, forse il più grande critico d’arte vivente, l’unico aspetto straordinario dell’asta è stata la sproporzione tra le quotazioni di Hirst e il suo talento. «E’ essenzialmente un pirata - ha scritto sul Guardian - la sua abilità è stata quella di ingannare moltissime persone legate al mondo dell’arte, convincendole dell’importanza delle sue presunte idee». In fondo, Hirst ha applicato al mercato - cancellando i mediatori - gli stessi principi che applica alle sue opere, nelle quali ha deciso di riempiere il vuoto esistente tra la realtà e la sua rappresentazione: lui non dipinge uno squalo, te lo vende proprio. «Ma si prova più eccitazione a guardare un merluzzo sul banco del pesce di Harrod’s - dice Hughes -. Gli squali sono tra le più belle creature del mondo e bisogna essere vittima di una forma ipnotica di snobismo culturale per spendere milioni di sterline per un terzo di tonnellata di squalo in decomposizione». Matthew Collings, autore di numerosi e apprezzati trattati di storia dell’arte, ritiene che quanto accaduto da Sotheby’s non abbia nulla a che fare con l’arte. «Ci sono forze dietro a Hirst che hanno interesse a mantenere le sue quotazioni. E’ meglio parlare di investimenti, non di arte». Anna Somers Cocks, già curatrice del Victoria & Albert Museum e una delle più ascoltate esperte d’arte del momento, non è così negativa. «Hirst - dice - ha fatto un’ottima operazione di marketing, presentando opere che in parte erano state pensate apposta per acquirenti mediorientali o asiatici e nel momento giusto: l’esperienza ci dice che il mercato dell’arte reagisce sempre con ritardo alle crisi finanziarie. Non mi scandalizzo per le sue opere: sono ideali per tutti quelli che pensano che la storia dell’arte sia cominciata nel 1945 e che investire in un’opera sia qualcosa solo un po’ più impegnativa dello shopping. Ci sono tanti soldi in giro e molta gente disposta a spenderli». In mezzo a tante polemiche, l’artista inglese ribadisce le sue convinzioni: «Mi ispiro - ha detto - a Goya e Raffaello, che lavoravano per denaro. So che molti hanno ancora in mente uno stereotipo di pittore con i pantaloni bucati e macchiati di vernice, ma quei tempi sono finiti. Quanto alle critiche di Hughes, lui fa parte di una vecchia guardia che non si adatta alle nuove idee. E sono sicuro che ha pianto, quando è morta la regina Vittoria». [FIRMA]ROCCO MOLITERNI E’ una bufala: l’operazione mi sembra pilotata, credo ci sia un accordo a livello internazionale per tenerla su»: così sbotta Tucci Russo, uno dei maggiori galleristi italiani di Arte Povera (ma nella sua «scuderia» ci sono anche Cragg, Long e Buren) alla notizia che Damien Hirst ha stracciato ogni record di vendita. «Hirst - aggiunge - è stato molto bravo a fare il manager di se stesso ed evidentemente al pubblico è piaciuto anche questo atteggiamento. Lui è cresciuto grazie a una figura come Saatchi che non definirei collezionista ma mercante. E in questo modo il mercato diventa più importante dell’arte. Paradossalmente Hirst ora potrebbe non produrre più nulla». Di tutt’altro parere Renato Cardi, il gallerista milanese che tra i suoi artisti ha proprio Hirst (ad Artissima dell’anno scorso ne portò un’opera da 3 milioni di euro): «Dalla Cina al Sud America ci sono nel mondo tanti nuovi ricchi disposti oggi a investire nell’arte, e questo spiega il successo di un’operazione come quella di Hirst. Sono persone che non rischiano su giovani promesse ma sono disposti a spendere cifre molto alte per artisti ormai consolidati come Hirst, Warhol e Basquiat. Certo come gallerista dovrei dispiacermi del fatto che in questo modo salta la percentuale del ”concessionario”, ma in realtà la cosa importante è come il mercato ha risposto alla provocazione di Hirst, che peraltro ha destinato in beneficenza parte dei suoi introiti». L’arte diventa così un bene rifugio per investitori delusi dai vari crac finanziari? «Io - risponde il gallerista napoletano Alfonso Artiaco -, se da un lato sono contento che si estenda l’interesse intorno all’arte contemporanea, anche grazie alla genialità di una simile operazione di marketing, dall’altro temo l’ingresso di poteri finanziari forti in questo settore. Se la banca Lehman avesse investito in arte e oggi il suo fallimento immettesse sul mercato una serie di opere a prezzi stracciati, che cosa accadrebbe?». Disincantato il commento di Massimo Minini, il gallerista bresciano di artisti come Vanessa Beecroft. «Più che di mercato in questo caso parliamo di Supermercato. Hirst è stato abile e non mi spaventa che abbia saltato le gallerie, queste non c’erano 200 anni fa e probabilmente non ci saranno fra 200. Mi preoccupa che ormai nessuno, compresi gli stessi artisti, si interessi ai contenuti di un’opera ma si chieda solo se funzionerà o meno sul mercato».