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 2008  settembre 18 Giovedì calendario

Già lunedì 15 ottobre, quando la Federal Reserve abbandona al suo fallimentare destino la Lehman Brothers, una domanda serpeggia maliziosa: la banca centrale sta finalmente tagliando le unghie ai robber bankers o più semplicemente non ha abbastanza soldi per salvare l’ultracentenaria stella di Wall Street? Due giorni dopo, la nazionalizzazione dell’Aig, la grande compagnia di assicurazioni

Già lunedì 15 ottobre, quando la Federal Reserve abbandona al suo fallimentare destino la Lehman Brothers, una domanda serpeggia maliziosa: la banca centrale sta finalmente tagliando le unghie ai robber bankers o più semplicemente non ha abbastanza soldi per salvare l’ultracentenaria stella di Wall Street? Due giorni dopo, la nazionalizzazione dell’Aig, la grande compagnia di assicurazioni. Per evitare il peggio, la Fed presta 85 miliardi di dollari all’Aig avendone in garanzia il capitale. Il finanziamento sarà restituito in 2 anni con il ricavato della liquidazione dell’Aig a cura del Tesoro. Il dubbio che la Fed abbia scelto chi salvare, non avendone abbastanza per tutti e due, diventa più forte. Il 10 settembre, secondo l’ultimo comunicato, la Fed aveva riserve per 900 miliardi di dollari formate da 480 miliardi di titoli di Stato, da poco oro (11 miliardi), da qualche partita minore e poi da prestiti a breve al mercato monetario. Un anno prima, i titoli di Stato pesavano per 790 miliardi su 850 di riserve, e non c’erano prestiti degni di nota. Nelle scorse settimane ne sono stati decisi per 200 miliardi, altri saranno nel frattempo rientrati. La crisi di liquidità, evidentemente, non è finita. Fino al 2007 la Fed era la prestatrice di ultima istanza delle sole banche commerciali ma con questa crisi ha dovuto offrire il proprio ombrello anche alle assai più indebitate banche d’investimento. Il salvataggio della Bear Stearns ne è stata la pratica manifestazione: JP Morgan, banca commerciale e d’investimento, non sarebbe intervenuta senza l’assunzione di 29 miliardi di titoli di cattiva qualità da parte della banca centrale. Allora si disse: inevitabile, altrimenti l’insolvenza di una avrebbe contagiato tutte le banche. Il contribuente paga, ma così si evitano guai ben maggiori. E si stabilizza il mercato. Poi, diversamente da Merrill Lynch che è riuscita a farsi assorbire dalla Bank of America, una grande banca commerciale, la Lehman Brothers non trova compratori. Cinesi e coreani avevano lasciato perdere davanti alle richieste di Richard Fuld, che anche dopo pensava ancora al dividendo. L’inglese Barclays, che ora compra dal fallimento, si è ritirata perché non era riuscita a ottenere la garanzia della Fed. L’ammontare della garanzia richiesta non è noto, ma pare che non si sia nemmeno riusciti a stimare un cifra. E allora, Lehman addio. Perché? Le giustificazioni reggono e non reggono. Fuld sarebbe stato punito perché troppo esoso: contando sull’ombrello della Fed, avrebbe chiesto troppo ai possibili salvatori della Lehman. Sarà. Ma il rischio del contagio? Si dice: questo rischio non c’è più, sono state tessute reti di protezione. Ma allora non si capisce perché la Fed abbia salvato l’Aig finanziandone addirittura la nazionalizzazione. Il rischio di contagio, uscito dalla porta delle banche, rientra dalla finestra delle assicurazioni. E così diventa difficile spiegare perché, a questo punto, la General Motors, cuore di un’economia reale che si dimostra comunque più seria di quella di carta, non abbia anch’essa «diritto» ai 50 miliardi di aiuti che chiede. Stabilire quale rischio abbia riflessi sistemici, e dunque meriti la sospensione delle regole del libero mercato, e quale non abbia riflessi sistemici, e dunque vada lasciato alla selezione darwiniana della specie imprenditoriale, è meno scontato di quanto appaia: dipende dal tipo di comunità nella quale si vive oggi e si vuol vivere domani. L’impressione è che il governatore della Fed, Ben Bernanke, e il segretario al Tesoro, Hank Paulson, ex banchiere di Goldman Sachs, chiedano atti di fede perché stanno vivendo alla giornata. La verità è che i conti di questa crisi non riesce ancora a farli nessuno. A 14 mesi dal suo inizio. Ed è per questo che ancora non si chiariscono i nuovi requisiti patrimoniali per le banche e, a questo punto, per le assicurazioni. Né gli eventuali limiti alle loro operazioni. La controprova è la nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac di cui non è stato ancora chiarito con esattezza chi sarà l’ufficiale pagatore (il Tesoro finanziato dalla Fed? il Tesoro che si finanzia emettendo nuovi titoli direttamente?) né quanto l’ufficiale pagatore dovrà tirar fuori (100, 200, 500 miliardi di dollari?) benché sia ormai evidente che lo stock del debito pubblico americano, consolidando Fannie & Freddie, aumenterà a 15 mila miliardi e arriverà a pesare per il 120% circa del Pil. A questo punto un fatto è evidente: nella buona sostanza, la Fed si è giocata il suo tesoro e con queste risorse può fare poco altro. La nuova domanda è: come ne esce? come si ricostruisce in capo alla banca centrale più importante del mondo quel cuscinetto di riserve per le emergenze che si raccomanda a tutte le banche? Il Tesoro Usa ieri ha risposto: stampando, di fatto, nuova moneta a fronte di nuovi titoli di Stato. Con il tasso di sconto reale già negativo. Forse, non c’è alternativa. Certo non sembra una granché. L’ Italia l’ha già sperimentata. E ha avuto i suoi costi.