Giulia Niccolai, l’Unità 15/9/2008, pagina 21, 15 settembre 2008
l’Unità, lunedì 15 settembre Diario dell’occhio di Marco Belpoliti (Ed. Le Lettere, 28,00), raccoglie cento testi che lo scrittore/critico scrisse su Alias dal 1998 al 2003 per la rubrica dello stesso nome, con lo stratagemma innovatore di recensire un libro partendo dall’analisi della copertina; dunque dall’ispirazione del grafico (per poi risalire al significato dell’opera), dall’attenzione al colore, ai caratteri tipografici ecc
l’Unità, lunedì 15 settembre Diario dell’occhio di Marco Belpoliti (Ed. Le Lettere, 28,00), raccoglie cento testi che lo scrittore/critico scrisse su Alias dal 1998 al 2003 per la rubrica dello stesso nome, con lo stratagemma innovatore di recensire un libro partendo dall’analisi della copertina; dunque dall’ispirazione del grafico (per poi risalire al significato dell’opera), dall’attenzione al colore, ai caratteri tipografici ecc. Scrive Belpoliti nella sua prefazione: «Con il Diario dell’occhio ho voluto rendere merito ai grafici… far capire che il libro lo si comprende anche attraverso il loro lavoro che somiglia, credo, a quello del recensore. Ecco il punto: recensire chi non viene mai recensito; e dunque recensire come non si era mai recensito (presunzione!)». Non v’è dubbio che si respira una nuova aria in queste recensioni che molti ricorderanno, certo non per la loro presunzione, ma perché risultano straordinariamente soddisfacenti per il senso di completezza e compiutezza che trasmettono. Difficile è capire il perché. Salvo pensare che la nostra coscienza intellettuale sia effettivamente matura per quella commistione di generi e quella liberalità tra le arti auspicata a suo tempo dai Futuristi e di cui si discute usando il termine di Intermedia. Belpoliti sostiene anche che Diario dell’occhio gli ha indicato la strada per «uscire dalla letteratura occupandosi di letteratura» e il libro dà un contributo fondamentale al compito che si presenta oggi alla letteratura: quello di configurarsi una buona volta, territorio aperto e interdisciplinare. Ma a questo punto mi sento sfidata a recensire Diario partendo dalla sua veste grafica e iniziando dal «fuoriformato» della collana diretta da Andrea Cortellessa: cm. 28 x 14; sfondo bianco, nome dell’autore in nero, titolo in rosso ma con i caratteri che non sono allineati su una linea immaginaria alla base (come sempre avviene), ma beccheggiano, un po’ su, un po’ giù, come barchette sull’acqua. Un po’ più in basso del centro pagina, un grande occhio disegnato a pennarello sottile, con un’espressione interrogativa e appoggiato a una mano sinistra, come solitamente, i pensatori ritratti in fotografia, appoggiano la guancia. Dunque l’occhio diventa simbolo dell’intero volto, è «la parte per il tutto», e sotto di esso la mano destra scrive con un lungo pennarello. Il progetto grafico è studiopaola, il disegno dell’occhio di Vito Roma e sul retro ci sorride il volto di Marco Belpoliti con barba di due giorni, visto da Tullio Pericoli. All’interno della copertina, sollevando il risvolto, appaiono, coloratissimi, i dorsi dei libri recensiti, anch’essi però appoggiati un po’ più su, un po’ più giù, senza avere una base in comune, bensì allineati, come si dice in termine grafico: all’occhio! Secondo la sensibilità del grafico. con questo gioco di parole che possiamo spiegare ulteriormente il titolo del libro? Comunque, ciò che sorprende è l’associazione mentale che questi libri hanno per noi: ce l’hanno sorprendentemente ma inequivocabilmente con le note musicali di un pentagramma! Ecco, d’un solo colpo soddisfatti vista, udito, tatto e odorato - per chi non si sogna di leggere una parola, se prima non ha annusato tutto il libro, sfogliandone le pagine. Ma mi arresto qui perché in Diario dell’occhio sono visibili a colori tutte le copertine analizzate da Belpoliti e questo non sarà il nostro caso. Le recensioni sono brillanti, profonde e felici. Vorrei citare brevemente quella a Nuovo commento di Giorgio Manganelli, che ricorda come lo scrittore, entusiasta dell’immagine di Takahashi Shohachiro che Giulio Bollati aveva trovato per la sua copertina, scrivendo il proprio risvolto, invita il lettore a considerare il suo testo «come supporto per la copertina». Che sia stato Manganelli il padrino in pectore di tutta l’operazione? Giulia Niccolai