Andrea Scanzi, La Stampa 17/9/2008 pagina 34, 17 settembre 2008
Bruno Vespa controlla, meticolosamente, i dati Auditel. «La prima puntata ha fatto meno del solito, quasi il 17% di share
Bruno Vespa controlla, meticolosamente, i dati Auditel. «La prima puntata ha fatto meno del solito, quasi il 17% di share. Il minimo di Berlusconi da me». Eppure c’erano Miss Italia e Valentina Vezzali. «Il lunedì sarà dura, Mediaset ha mandato King Kong e c’era pure L’isola. Contro Mentana sarei andato meglio». Il suo grande avversario. «Enrico si è accorto strada facendo quanto è difficile. Diceva che non avrebbe parlato di cronaca, ora lo fa di continuo; che avrebbe chiamato solo i grandi leader, ora si accontenta di quel che passa il convento. Ha meno vincoli di me, in una tivù commerciale puoi buttarti su una cosa che funziona. Su Grillo, Garlasco e Di Pietro non ha fatto puntate, ma serial». Grillo: «Vespa non inciampa mai, perché striscia sempre». «Sono affascinato da Grillo. Fare i miliardi a spese di chi lo segue, come San Giorgio contro il drago della Casta, non è più un mestiere: è un’arte. Mi criticano da quando sono nato, ma le élite non rappresentano certo le masse». Però la satira individua in lei l’emblema del giornalista sussiegoso con i potenti. «Grillo ormai è un uomo che fa politica violenta. I satirici italiani fanno politica in un altro modo, come la guerra di Von Clausewitz. Io informo. Meno urla, ma miglior servizio al pubblico di un Luttazzi o una Guzzanti. A proposito: ha mai visto nelle interviste tv e sui giornali domande ai politici che io non ho fatto?» Beh, un Santoro appare più incalzante di lei. «Agli ospiti che non gradisce, Santoro fa interrogatori. Non tradisce le sue origini di ”Servire il popolo”. Quando nel ”96 è nato Porta a porta, Samarcanda era al suo apice. Se non c’era il sangue in tv, la gente si annoiava: io ho dimostrato il contrario. Santoro, come Mentana, è bravo. Ma non avrei mai immaginato che uno come Travaglio avrebbe potuto trovare spazio in Rai. Se avessi dato lo stesso spazio a un giornalista analogo, ma di fede politica opposta, mi avrebbero fucilato». Perché Minoli ce l’ha tanto con lei? «Sostiene che non ho mai permesso che Mixer andasse contro Porta a porta, cosa che ribadisco: credo nel gioco di squadra, programmi concorrenti non dovrebbero sovrapporsi. Minoli però dimentica che, quando ha fatto La storia siamo noi, alla presentazione si parlò di ”sfida con Vespa”. Andate a chiedergli com’è andata». Lerner: «Vespa si sente eterno». «Detto da lui fa ridere. Ha cominciato prima di me con Milano-Italia. E nessuno ricorda la sua Pinocchio, nata per distruggermi. Un’idea di Celli, con cui poi mi sono chiarito: gli aveva dato il mandato di stroncarmi. Ma con me Lerner ha sempre perso». Auditel e share non sono gli unici termometri di un programma. «No, ma bisogna essere chiari. Costanzo ha detto alla Stampa che ci ho messo sette anni a raggiungerlo. Falso: come numero di spettatori l’ho sempre battuto, ma andavo in onda un po’ prima. Come share, l’ho battuto dal sesto: non dal settimo. E dopo la stagione 2003-2004 l’ho fatto chiudere. C’era la guerra in Iraq, lui ospitava in registrata i comici: anche sua moglie lo criticò». Il conflitto d’interessi è un problema? « un problema, ma non per l’informazione televisiva. Nessuno può credere seriamente che Berlusconi abbia vinto le elezioni perché ha tre tivù. Nel nuovo libro, che uscirà tra pochi giorni (Un’Italia diversa), racconto quanto in due anni questo Paese sia cambiato, dai rom all’Alitalia. I politici hanno sottovalutato questa rivoluzione silenziosa, Berlusconi no». Era necessario parlare così tanto di Cogne? «Due puntate in meno potevo farle, ma il primo che ha intervistato la Franzoni è stato Costanzo. E anche Mentana ne ha parlato tanto. Per i criminologi, Cogne è stato un evento senza eguali. La puntata in cui raccontammo l’arresto della Franzoni è stata vista quanto quella sull’11 settembre». Lei è juventino, conosce Moggi. Colpevole o capro espiatorio? «Moggi era il numero uno. Come Craxi, ha incarnato un sistema che era marcio ed è stato quello, con la Juve, a pagare per tutti». 16 dicembre 1969, arresto di Pietro Valpreda. «Seguivo le indagini in Questura per il Tg delle 20. Mi informarono che avevano arrestato il responsabile, e questo dissi: ”Hanno preso il colpevole”. La mattina dopo, sui giornali, la parola più buona era ”mostro”. Però, anche qui, si parla solo di Vespa. Ho chiesto scusa a Valpreda, ma in quel momento nessuno era garantista». Come si fa a stare in tivù tutta una vita? «Perché l’unico ”eterno” sembro essere io? Biagi, Piero Angela, Costanzo... I grandi anchorman fanno programmi per decine d’anni. Nel mondo anglosassone è la norma». Biagi, alla fine, in tivù c’era ben poco. «Era tornato con un signor contratto. A suo tempo dissi pubblicamente, e in privato a Berlusconi, che allontanare Biagi e Santoro sarebbe stato un gravissimo errore. Se però avessi fatto ciò che fecero loro e Luttazzi, sarei stato licenziato il giorno dopo». Andrea Scanzi