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 2008  settembre 17 Mercoledì calendario

KNOX Amanda

KNOX Amanda Seattle (Stati Uniti) 9 luglio 1987. Studentessa. Il 4 dicembre 2009 fu condannata a 26 anni per l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher (Perugia 1 novembre 2007, vedi anche SOLLECITO Raffaele e GUEDE Rudy Hermann), il 3 ottobre 2011 fu assolta in appello • «Da una parte la studentessa che, a Seattle, consegue bei voti lasciando un ottimo ricordo negli insegnanti, pratica tanti sport, soprattutto football e arrampicate su roccia, dalla morale ineccepibile grazie all’educazione impartitale dai padri gesuiti presso i quali è andata a scuola. Dall’altra, la ragazza spregiudicata, in competizione con la madre, che, appena arrivata a Perugia, ha un rapporto sessuale su di un treno con un ragazzo, tale Federico, conosciuto da poco, e che sul suo blog posta un racconto in cui descrive lo stupro a una donna. È il ritratto di Amanda Knox secondo il quotidiano inglese Daily Mail [...] “Amanda rimase sconvolta quando sua madre Edda, a 39 anni, sposò, in seconde nozze, un ragazzo di 27. A ferirla erano i pettegolezzi che sentiva nel sobborgo di Seattle dove abita la sua famiglia. Da allora Amanda ha sviluppato un’incapacità di avere amicizie femminili diventando molto gelosa di sua mamma”. Ai party universitari è spesso ubriaca e cambia ragazzo in continuazione “per emergere dall’ombra della madre”. Philip Setran, un suo amico dall’infanzia, afferma che “non ha mai avuto vere amicizie femminili, ha sempre e solo frequentato ragazzi”. Quando arriva all’università di Perugia, Amanda si fa subito notare per il suo comportamento sopra le righe. Un compagno di corso dice al Daily Mail: “Sembrava che per lei il massimo del divertimento fosse dar fastidio alle altre ragazze. È una tipa a cui piace parlare molto e ridere dei suoi stessi scherzi”. I giornalisti inglesi hanno rintracciato un altro ex della breve esperienza perugina di Amanda, Daniele Di Luna, un ragazzo di Roma: “Abbiamo fatto sesso una notte, l’avevo appena conosciuta”. Ma non ha voluto aggiungere altro» (“Corriere della Sera” 12/11/2007) • «Era in prima fila, nella classe del corso avanzato di lingua italiana. In prima fila come sempre, anche in quel lunedì 5 novembre. La professoressa dice agli alunni (sono ventisette, arrivano da mezzo mondo) di scrivere una lettera. “A chi volete”, precisa. Amanda Marie Knox [...] scrive alla mamma che sta a Seattle, in America. La sua amica - o forse è meglio dire coinquilina – l’inglese Meredith è stata uccisa da quattro giorni. “Cara mamma - scrive Amanda - sono sconvolta. Non posso pensare che a questo. Mi sento nervosa”. Non c’è il nome di Meredith, nella lettera. Amanda vuole solo fare conoscere il suo stato d’animo. Non parla della ragazza uccisa, solo delle proprie emozioni. “Cara mamma, quello che è successo è tutto un mistero”. I banchi di legno sono antichi, degradanti verso la cattedra e la lavagna. “Quando ho dato quel compito - ha raccontato una professoressa agli inquirenti - sapevo che Amanda abitava con la ragazza che era stata appena uccisa. Me l’aveva detto lei. Ma non sapevo certo che fosse sospettata”. Il giorno dopo, martedì 6 novembre, Amanda non si presenta in classe. Cominciano a circolare le prime voci, poi arriva la conferma: la ragazza è stata arrestata con l’accusa di omicidio. “Come faccio spesso, avevo letto la lettera di Amanda e di altri studenti a tutta la classe. Alcune di quelle frasi, “non posso pensare che a questo”, “mi sento nervosa”, “è tutto un mistero” hanno choccato gli altri allievi, perché tutti hanno pensato a ciò che era avvenuto nella casa di Amanda. Ed è per questo che ho preso la decisione di consegnare la lettera alla polizia”. Sono circolate voci, su questa lettera. Si sussurrava che, il giorno prima dell’arresto, Amanda avesse scritto che il dj Patrick Lumumba (da lei indicato come assassino) fosse totalmente estraneo alla vicenda. Si diceva che ci fossero riferimenti precisi ai responsabili del delitto. “Nulla di tutto questo”, ha sottolineato la professoressa. “Nella lettera non c’è il nome di Amanda e tanto meno quello dei suoi assassini. L’abbiamo consegnata alla polizia solo per un motivo: i periti, gli psicologi o altre figure professionali potranno analizzare ogni parola per comprendere le ragioni profonde dello scritto e magari trovare tracce che noi non riusciamo a vedere. E anche noi ci interrogheremo per capire chi fosse davvero questa ragazza”. Amanda, all’università degli stranieri, piaceva a tutti. “Uno studente non si mette in prima fila per caso, e Amanda lo faceva sempre. Sembrava una ragazza carina e pulita. Parlava di Seattle, la sua città, che è gemellata proprio con Perugia. Aveva promesso di fare un lavoro sulla sua città, per parlare della storia e delle sue attrattive. Ma purtroppo non è riuscita a consegnarmelo. Ricordo un’altra caratteristica della ragazza: era sempre puntuale, alle 9 del mattino era lì prima di tutti. E sapevamo che lavorava fino a tardi, come pierre nel pub di Patrick. Dava lezione di chitarra a una ragazza del Kazakistan ed anche in questa attività era sempre puntuale, alle sette di sera”. Nella lettera di due pagine, oltre all’angoscia “per ciò che è successo”, Amanda parla alla mamma anche delle cose di tutti i giorni. “Spero che quando mi verrai a trovare potremo andare assieme a comprare i vestiti nuovi”. “Anche in quel giorno angoscioso - dice la professoressa - Amanda si proiettava verso il futuro. ‘La mia storia non è finita’, ha scritto verso la fine della lettera, e questa frase dovrà essere interpretata dagli psicologi. A noi, nel momento in cui ha consegnato il compito, ha detto che la lingua italiana le piaceva proprio, che aveva già imparato tanto e che era contenta perché erano previste tante altre lezioni. Una ragazza carina e pulita, ma purtroppo sappiamo che dietro le facciate si possono trovare sorprese che fanno star male”» (Jenner Meletti, “la Repubblica” 14/11/2007) • «“Quella sera mi pare che sono stata a casa di Raffaele e credo che abbiamo cenato verso le 11. Dopo cena ho notato sangue sulla mano di Raffaele, ma ho avuto l’impressione che il sangue fosse proveniente dal pesce”. Amanda Knox scrive il suo memoriale il 6 novembre mentre aspetta di essere trasferita in carcere. Il racconto è confuso, ma sembra avere uno scopo preciso: alimentare i sospetti sul suo fidanzato. Perché quello che emerge leggendo le dichiarazioni della ragazza statunitense accusata insieme allo stesso Raffaele Sollecito e Rudy Hermann Guede di aver violentato e ucciso Meredith Kercher, è la volontà di indirizzare le indagini verso altre persone. Poco prima ha accusato Patrick Lumumba di essere l’assassino, ha detto di non ricordare se Raffaele fosse presente, ha giurato di trovarsi in un’altra stanza. Adesso, però, chiede carta e penna e dà una nuova versione. Comincia tutto alle 23 del 5 novembre, Amanda è in questura per un nuovo interrogatorio. La polizia ha scoperto uno scambio di sms con Lumumba. Lei, seduta su una panca accanto a un’agente, parla subito di “tutti gli uomini che sicuramente conoscevano Meredith”. Indica “le strade dove abitano disegnando strade e punti di riferimento sul suo quadernone, nonché le utenze cellulari”. Una lista precisa che, si scoprirà soltanto in seguito, comprende anche persone che la stessa Amanda trascinerà poi nell’inchiesta: “Peter, uno svizzero che frequentava certamente Meredith e più volte è venuto a casa nostra; Patrick, il proprietario del pub ‘Le Chic’ dove lavoro, sicuramente la conosceva, io non so però dove abita; Ardak, un nordafricano; Yuve, un algerino che saltuariamente lavora a ‘Le Chic’; Spyros, un greco di cui ho soltanto il cellulare; Shaky, un marocchino che lavora in una pizzeria e frequenta le discoteche e i pub dove andiamo”. Descrive Rudy senza nominarlo: “C’è un ragazzo di colore, basso, che gioca a basket nel campo di piazza Grimana, che una volta è venuto a casa dei ragazzi che abitano sotto di noi e quella volta c’era anche Meredith”. Poi si concentra sul suo fidanzato: “So, perché me lo ha confidato lui, che in passato faceva anche uso di cocaina e acidi... Raffaele ha problemi di depressione e tristezza”. Nell’interrogatorio Amanda racconta di essere stata nella casa del delitto. Accusa Patrick. Il magistrato ordina i fermi. È l’alba. Qualche ora più tardi, la ragazza scrive le quattro pagine “che tutti i poliziotti devono leggere”. “È dopo tutte le ore di confusione che sono venute fuori le risposte. Quella sera sono stata a casa di Raffaele Sollecito, ma non ricordo... forse ho fatto l’amore con lui... Ho fumato della marijuana con lui e potrei essermi addormentata. Una cosa che ricordo è che ho fatto la doccia con Raffaele, e questo potrebbe spiegare come abbiamo trascorso il tempo. In realtà non ricordo esattamente che giorno fosse, ma ricordo che abbiamo fatto la doccia e ci siamo lavati per parecchio tempo. Lui mi ha pulito le orecchie, mi ha asciugato e spazzolato i capelli”. Poi smentisce quello che ha appena affermato davanti al pubblico ministero e cioè di aver portato Patrick da Meredith: “Ho ricevuto un suo sms. Mi diceva che non era necessario che andassi a lavorare quella sera perché non c’era nessuno. Adesso ricordo anche di avergli risposto ‘Ci vediamo. Buona serata!’, e questo per me non significa che lo avrei incontrato immediatamente”. Parla del sangue sulla mano di Raffaele. Poi continua: “Ho seri dubbi sulla verità delle mie dichiarazioni perché rese sotto pressione di stress, choc e perché ero esausta. Mi era stato detto che sarei stata arrestata e messa in prigione per trent’anni. Quando non ricordavo le cose sono stata colpita in testa, ma capisco lo stress della polizia... Ho avuto un flash e vedo Patrick in immagini confuse. L’ho visto vicino al campetto di basket, vicino alla porta di casa. Mi sono vista rannicchiata in cucina perché nella mia testa ho sentito Meredith gridare. Le cose mi sembrano irreali come in un sogno. Non so se è successo o se è un sogno... Non ho mai chiesto a Raffaele di mentire per me. So che Raffaele ha fornito prove contro di me, affermando che sono uscita da casa sua la notte dell’omicidio. Non penso che Raffaele ha ucciso Meredith, ma penso che sia spaventato come me. E adesso tenta una via d’uscita prendendo le distanze da me... Voglio che sia molto chiaro che quegli avvenimenti mi sembrano più irreali di quanto ho dichiarato prima e cioè che io stavo a casa di Raffaele”. Poi lei stessa riconosce che il suo racconto non regge: “Tutto quello che ho detto sul mio coinvolgimento nella morte di Meredith, sebbene contrastante, è la migliore verità che sono stata in grado di pensare. Mettetela così: voi pensate che quello che io credo sia accaduto... C’è una cosa che dentro di me penso sia vera, ma c’è un’altra possibilità che potrebbe essere vera. Onestamente non so quale sia quella giusta”. Sembra un delirio. “Io so di non aver ucciso Meredith. Nei flash vedo Patrick come l’assassino, ma il modo in cui la verità appare nella mia mente non c’è nessun modo di appurarla, perché non ricordo con certezza se c’ero. Io chiedo: chi è il vero assassino perché credo che potrei essere usata come testimone che condanna. Perché Raffaele ha mentito (oppure, per voi) Raffaele ha mentito? Perché penso a Patrick? È affidabile la prova che io mi trovavo a quell’ora nel luogo del crimine? Ci sono prove che condannano Patrick o un’altra persona?... Vi prego, non prendetevela con me, sto facendo del mio meglio. Se vi sembra che nel mio racconto ci sono parti che non hanno senso, chiedete. Credetemi, anche se capisco i motivi per cui non lo fate”. Il giorno dopo Amanda torna a casa “a farmi la doccia, non ho pensato che qualcuno fosse stato ucciso”. Lo scrive dopo aver confessato di essere stata nella villetta al momento dell’omicidio. Forse è proprio per crearsi l’’alibi che quella mattina aveva chiamato più volte Meredith al cellulare. Lo racconta alla polizia Alessandro Biscarini. Nel giardino della sua casa sono stati buttati i telefonini della vittima. “Alle 11,45-12 il secondo cellulare ha squillato più volte, sia in giardino sia in casa. Mentre squillava ho guardato il display e ho visto apparire il nome Amanda”» (Alessandro Capponi Fiorenza Sarzanini, “Corriere della Sera” 22/11/2007) • « È difficile immaginarla come una fredda assassina quando varca la soglia del Tribunale accompagnata da due guardie penitenziarie. Difficile credere che abbia ucciso l’amica per pochi soldi, e chissà quali contrasti. Eppure la procura dice che è lei, Amanda Knox, quella che ha organizzato tutto. [...] Erano così diverse lei e Mez. Si erano conosciute rispondendo a un annuncio per una camera in affitto, avevano culture e abitudini opposte, ma per un po’ - gli amici dicono - sono andate d’accordo. [...]» (C.Man., “Il Messaggero” 17/9/2008).