Marco Zatterin, La Stampa 16/9/2008, pagina 8, 16 settembre 2008
La Stampa, martedì 16 settembre Bruxelles. La Sabena entrò in crisi all’inizio degli anni Novanta, proprio come l’Alitalia
La Stampa, martedì 16 settembre Bruxelles. La Sabena entrò in crisi all’inizio degli anni Novanta, proprio come l’Alitalia. E anche il governo belga si precipitò a studiare una soluzione per evitare che la sua compagnia di bandiera continuasse ad accumulare perdite che dovevano essere ripianate coi denari dei contribuenti. Nessuno può dire che agirono bene e che la privatizzazione sia stata un modello. L’azienda passò di mano due volte, fallì, rinacque dalle sue ceneri, per poi cambiare altri due proprietari. L’ultimo, la Lufthansa che l’ha acquistata ieri per «un prezzo massimo di 250 milioni», mette però nel paniere un’impresa sana e snella che produce utili. Vuol dire che alla fine la metamorfosi, a tratti dolorosa, ha funzionato. Certo non è stato facile, il Belgio è un paese ricco di contraddizioni, con una classe politica litigiosa che lo ha tenuto a lungo nella lista dei più indebitati del continente. Eppure quando i cieli europei sono diventati uno spazio unico è stato subito evidente che la piccola Sabena, rinnovata nella livrea biancoazzurra, non avrebbe potuto volare da sola e guadagnare allo stesso tempo. Così il primo cavaliere bianco fu l’Air France che nel 1993 acquisì una significativa quota di minoranza. Una precedente offerta della olandese Klm era stata bocciata dalla componente francofona del consiglio di amministrazione che temeva una egemonia dei fiamminghi. Un caso tipico, da queste parti. I francesi, delusi, se ne andarono in fretta e il governo, che deteneva ancora il controllo dell’azienda di Zaventem, si affidò nel 1995 alla Swissair. Sulla carta pareva un matrimonio perfetto. Gli svizzeri avevano promesso di pompare milioni nella nuova acquisizione, era la loro stella del Nord. Non lo fecero, avevano troppi problemi in casa per pensare ai possedimenti belgi. L’intero gruppo cominciò a correre verso il rosso. Nel luglio 2001 il presidente della casa madre, Mario Corti, si impegnò ad una ricapitalizzazione da 258 milioni mai portata a termine. Il 7 novembre successivo la Sabena effettuava il suo ultimo decollo dall’aeroporto di Bruxelles prima della bancarotta. I sudditi di Alberto II pagarono il conto e una commissione parlamentare decretò che gli svizzeri «avevano saccheggiato la compagnia». La politica aveva chiare responsabilità eppure nessun esponente del governo fu mai chiamato direttamente in causa. Con pensanti tagli occupazionali, la Sabena fu riorganizzata e, in modo non dissimile da quanto pianificato per Alitalia, solo la parte buona fu venduta ad un gruppo di investitori privati. La Commissione Ue chiuse un occhio sulle ingenti iniezioni di fondi pubblici e consentì la nascita della Sn Brussels, un parto con coda legale: con tempismo da lumaca, nel 2006 l’esecutivo belga ha fatto causa al management svizzero. Una successiva inchiesta ha scoperto che alcuni membri del board avevano ottenuto da Zurigo dei ricchi pagamenti alle Bermuda. Lo scorso anno si è consumato l’ennesimo ribaltone. La Sn si è fusa con la Virgin di Richard Branson che l’ha ribattezzata Brussels Airlines, puntando sulla flessibilità dei prezzi dei biglietti e stringendo i posti sino a stritolare i passeggeri. Con questa formula la compagnia nel 2007 ha ottenuto 920 milioni di ricavi e 21 milioni di profitti netti. Un buon bottino secondo la Lufthansa, che prende subito il 45% per 65 milioni e si vota a sottoscrivere il resto nel 2011. Ora nei cieli europei restano tre grandi gruppi (i tedeschi, la British e Air France) più Alitalia. Un assetto che, ovviamente, non è destinato a durare a lungo. Marco Zatterin