Stefano Semeraro, La Stampa 13/9/2008, pagina 48, 13 settembre 2008
La Stampa, sabato 13 settembre Uno dei suoi compagni di classe le ha lasciato un pensierino scritto sul diario
La Stampa, sabato 13 settembre Uno dei suoi compagni di classe le ha lasciato un pensierino scritto sul diario. «Ci mancherai, Godzilla». Il «mostro» ha 12 anni, si chiama Jaime Nared, gioca a basket dalle parti di Portland, Oregon, è alta un metro e 85. Ed è una bambina. Carina, per giunta. E con una coda di cavallo che ondeggia sul campo mezzo metro sopra le teste delle avversarie. O degli avversari. La scorsa primavera l’ultimo match che Jaime ha giocato contro le ragazze della sua età è finito 90-7. Michael Abraham, il suo coach a The Hoop, la squadra di una palestra privata che organizza una delle mille leghe di sport giovanile negli States, aveva iniziato a farla giocare anche con i maschi. Non un caso raro, le bimbe di solito maturano fisicamente più in fretta. A maggio, durante un partita Jamie però ha rubato palla, piazzato un assist dietro la schiena ad un compagno di squadra, raccolto il rimbalzo dopo il tiro sbagliato e fatto canestro. 30 punti a referto, alla fine. Qualche giorno dopo i dirigenti del team hanno spiegato a Abraham che no, quella ragazzina non poteva farsela neppure con i maschi. Li ridicolizzava. I genitori non ne potevano più. «Forse non stavo tanto simpatica ai ragazzi del team». Jaime non è solo alta. veloce, agile, sa palleggiare, tirare, andare a rimbalzo, giocare da play e da centro. Molti ragazzini prodigio rischiano di bruciarsi appena fuori dalla pubertà, ma secondo i guardoni professionisti della Wnba e della Ncaa, le maggiori leghe pro e universitarie americane, Jaime potrebbe diventare un crak come Candace Parker, medaglia d’oro a Pechino, la prima donna a schiacciare in una partita di college. «Fare giocare Jaime con le bimbe della sua età è come mettere Shaquille O’Neal in una squadra di Liceo», ha dichiarato Abraham al «New York Times». Fortunatamente per Jaime i suoi genitori sanno cavarsela con i media. Soprattutto quando si tratta di bambini prodigio. Suo padre Greg ha giocato a basket al College ed è stato per otto anni il business manager di Tiger Woods alla Nike, poi ha seguito per un anno l’altra golfista Michelle Wie alla William Morris prima di mettersi in proprio. Cura lui gli interessi della figlia, con regole ben precise: nessun fidanzato fino a 16 anni e non più di due partite di basket al giorno. Anche mamma, Reiko Wlliams, ha un passato da cestista, ed è stata lei a chiamare i media di Portland per difendere i diritti della piccola. «Ho tre figlie», dice mamma Reiko, «E tutto quello che questo mondo maschilista prevede per loro sono abitini rosa e bambole. Loro vogliono giocare a basket. Il mio dovere è aiutarle a ottenere ciò che desiderano». Durante l’estate i Nared sono apparsi sulla Cnn e a «Good Morning America», il caso è diventato definitivamente ingombrante. Jaime ora si allena con le diciottenni alla Oregon High City High School, vuole diventare alta «almeno due metri, portare i tacchi alti, battere mio padre nell’uno contro uno ed essere la prima coach donna nell’Nba». La sua migliore amica è una compagna di squadra, Kailee Johnson, anni 14, un metro e 88 di altezza, «e spero di fermarmi qua», anche se gli esami medici a cui l’ha sottoposta mamma Brittany, ex allenatrice di basket, promettono il contrario. Le compagne le chiamano Shrek e Shaq, o peggio She-Male, transessuali. Jaime, quando non gioca, insieme con Kailee si allena a schiacciare. Prima la palla, poi il mondo. Stefano Semeraro