Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 13/9/2008, pagina 25, 13 settembre 2008
Corriere della Sera, sabato 13 settembre MILANO – Poiché il codice di procedura della vita (diversamente da quello penale) non contempla la prescrizione, dieci testimoni, due indagati e un avvocato hanno fatto in tempo a morire prima che «il processo del casinò di Montecarlo» annegasse ora in appello, a 16 anni dagli arresti del 1992, proprio nella prescrizione per i superstiti imputati di riciclaggio
Corriere della Sera, sabato 13 settembre MILANO – Poiché il codice di procedura della vita (diversamente da quello penale) non contempla la prescrizione, dieci testimoni, due indagati e un avvocato hanno fatto in tempo a morire prima che «il processo del casinò di Montecarlo» annegasse ora in appello, a 16 anni dagli arresti del 1992, proprio nella prescrizione per i superstiti imputati di riciclaggio. Una beffa nella beffa. Perché la prescrizione in Appello, dal punto di vista dell’accusa, a malapena raddrizza e giustifica lo spaventoso ammasso di carte e di tempo dispiegato nei tre lustri di uno dei molti processi dell’epoca sulle infiltrazioni della criminalità organizzata; mentre, dal punto di vista delle difese, lascia l’amaro in bocca agli imputati, che in primo grado nel 2006 erano invece stati assolti in Tribunale dall’iniziale accusa di associazione a delinquere con i narcotrafficanti turchi arrestati nel 1991 in un hotel milanese con 800 milioni di lire dell’epoca in contanti. Se nel 1992 il caso aveva destato notevole eco era stato anche perché, oltre alla consueta sfilata di cantanti, attori, calciatori e industriali nelle scomode vesti di giocatori alle prese con opachi prestiti di soldi, fra gli arrestati dalla polizia c’era anche un’amica del principe Ranieri, la responsabile delle pubbliche relazioni all’Ufficio Fidi del Casinò di Montecarlo Maddalena Motto. Qui i clienti firmavano un assegno in bianco e un «assegno» interno per la cifra che decidevano di prelevare: l’assegno in bianco veniva restituito se il giocatore vinceva, oppure in caso contrario veniva compilato con la cifra perduta. La funzionaria pagava i giocatori vincenti staccando assegni dai propri conti e sfruttando a proprio favore il rapporto di cambio applicato dal Casinò tra franco e lira: una prassi che, su un giro d’affari di 45 miliardi l’anno, le garantiva ricchi bonus. Stando agli arresti del giugno 1992, nel denaro del gioco veniva confuso quello del traffico di droga, frazionato attraverso la consegna in prestiti usurari ai vari giocatori con i quali gli indagati erano in contatto: e con il ricavato degli assegni ricevuti dai giocatori si formava la provvista destinata poi a rifornire di denaro pulito i trafficanti di droga, sicché in definitiva gli imputati erano accusati d’essere i cassieri di una organizzazione criminale gravitante all’epoca attorno a Umberto Orio. Il tutto «dal 1990 al 1996» e «in Milano, Svizzera, San Marino, Monaco, Sanremo, Fossano, Torino e altrove ». Ma sugli arresti del 1992 il dibattimento di primo grado comincia solo nel 2002. Perché? Nel flipper impazzito delle questioni di competenza territoriale, Milano dispone gli arresti per riciclaggio, ma nel 1992 il Tribunale del Riesame boccia questa formulazione giuridica e ritiene che, se mai, la contestazione debba essere associazione a delinquere. La competenza passa a Sanremo, dove però altre modificazioni nella struttura dell’accusa la dirottano su Torino. Qui il flipper non si ferma, ma anzi si dipinge di grottesco, rispedendo la competenza là dove tutto era cominciato: a Milano. Il processo di primo grado impegna 50 udienze dal 2002 alla sentenza assolutoria del gennaio 2006, che l’accusa impugna nell’appello celebrato due anni dopo, nell’aprile 2008, con accusa e difesa a ruoli curiosamente invertiti sull’inaffidabilità (per l’accusa) o affidabilità (per la difesa) di Orio, non proprio «collaboratore di giustizia» ma nel frattempo «dichiarante». Ormai, però, in 16 anni molti mancano all’appello: non solo due degli iniziali indagati, ma anche dieci di coloro che comparivano nelle sterminate liste testi, e pure un difensore, tutti morti mentre il processo rimbalzava qua e là. Fino alle sentenza d’appello, che gli imputati (sfiniti) rinunciano a impugnare in Cassazione benché appena 9 righe di motivazione cancellino la loro assoluzione dall’associazione a delinquere perché «gli elementi indiziari sono indicativi di un’attività di mero riciclaggio di denaro». La stessa ipotesi che nel 1992 era stata prima formulata e poi bocciata. Che ora riappare «più aderente alla realtà processuale». Ma «in ordine alla quale è operante la prescrizione riguardo a fatti risalenti agli anni 1991 e 1992». Luigi Ferrarella