varie, 12 settembre 2008
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Adichie Chimamanda
• Ngozi Enugu (Nigeria) 15 settembre 1977. Scrittrice • «[...] è nata sette anni dopo la fine della guerra del Biafra [...] scrive in inglese [...] (pronuncia: cimamànda adìci) [...] Ha la pelle di un colore caldo e scuro, una bella faccia, delle fattezze africane pronunciate, è alta, florida, intelligente e insofferente. Ha anche un radar sintonizzato sui pregiudizi altrui e uno sguardo che dice: attenzione, non vengo da un villaggio, sono nata nell’upper class della Nigeria. Suo padre insegna statistica all’università di Nsukka, lei ha studiato medicina in Inghilterra, antropologia e scienze politiche in America, ha insegnato creative writing a Princeton [...] il buon esordio di L’ibisco viola (edito in Italia da Fusi Orari, Premio Commonwealth e selezione all’Orange Prize) [...] turbolento successo di Metà di un sole giallo [...] bestseller negli Stati Uniti. Turbolento perché la secessione dei musulmani della regione del Biafra dal resto della Nigeria cristiana, dopo il colpo di stato militare del 1966, è una ferita ancora aperta nella storia dell’Africa e un richiamo internazionale allo spettro della fame, con quei bambini dal ventre gonfio che nessuno ha più potuto dimenticare. ”Il Biafra è un argomento ancora molto controverso in Nigeria”, spiega Chimamanda. ” una parte della storia del Paese che non ci viene insegnata a scuola e che ha la capacità di sollevare ancora molto risentimento e rabbia. Me ne sono accorta intervistando la gente, quando chiedevo cos’era successo a loro e alle loro famiglie, pochi anni prima che nascessi”. Nei tre anni di massacri e carestia (1967-1970) seguiti al tentativo di indipendenza del Biafra, Chimamanda Adichie ha perso i nonni, alcuni parenti, e molti amici di famiglia. ”I miei genitori hanno perso tutti i loro beni, come gran parte delle famiglie Igbu” (l’altra etnia dominante è quella Yoruba). ”Ancora oggi mia madre vede dei bei bicchieri sulle riviste e dice: Oh, questi li avevamo anche noi... Mio padre invece ha perso tutta la sua biblioteca, tanto che a guerra finita i suoi amici che vivevano all’estero lo hanno aiutato mandandogli moltissimi libri. E mi commuove, oggi, quando apro un volume della sua biblioteca, vedere che porta le iniziali di qualcun altro”. Metà di un sole giallo, che prende il titolo dalla bandiera del Biafra, è un romanzo d’amore e di guerra. D’amore, perché segue la vicenda di due sorelle gemelle, Olanna e Kainene, che in modi diversi – una bellissima, intellettuale, laureata a Londra e destinata alla carriera accademica; l’altra bruttina, sexy, intelligente, sarcastica e destinata a mandare avanti le industrie del potentissimo padre – mettono in gioco i propri sentimenti per uomini che le meritano poco. Olanna s’innamora di un professore universitario comunista, parecchio più vecchio di lei, le cui roboanti certezze si dissolveranno nei fumi della guerra portandolo alla disfatta emotiva e all’alcolismo. E Kainene si lega a un tragicomico avanzo del colonialismo come l’inglese Richard, che vorrebbe scrivere un libro sugli antichi bronzi Igbu, e che resta invece impigliato nella guerra, a mangiare lucertole arrosto invece di rack of lamb. Alla fine del libro, passata la guerra, Olanna e Kainene non si rivolgeranno più la parola. Ma è anche un romanzo di guerra perché l’autrice, dopo avere introdotto i personaggi all’inizio degli anni ”60, in un momento in cui sono ottimisti e ragionevolmente felici, con un balzo temporale ce li mostra qualche anno più tardi, quando i bambini dei campi profughi hanno già il ventre orribilmente dilatato, e madri disperate fuggono in treno portando nel paniere le teste mozzate dei figli. ”Dopo tre anni di orrori il Biafra fu sconfitto. Il problema naturalmente era il petrolio. Nessuno voleva rinunciare al petrolio che si trovava in quella regione. E così la Nigeria tornò a essere una sola. [...]”. Metà Kainene e metà Olanna, Chimamanda Adichie dà l’impressione di essere una donna scettica e romantica insieme. ”Sono cresciuta cattolica e vado ancora a messa talvolta”, risponde quando le chiediamo se sia religiosa. ”Credo in Dio, credo nel Bene, ma non credo nella religione come valore positivo. E considero alla stregua di fede religiosa anche la superstizione, che ha una parte molto importante nel mio libro. Per quanto mi riguarda, credere nel potere di uno stregone o in quello di un dio cattolico, non fa una grande differenza”» (Livia Manera, ”Corriere della Sera” 17/6/2008).