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 2008  settembre 12 Venerdì calendario

La Stampa, venerdì 12 settembre Ora che un regista ha finalmente trovato per lei un ruolo da protagonista, Annie non sa più di essere stata la Girardot

La Stampa, venerdì 12 settembre Ora che un regista ha finalmente trovato per lei un ruolo da protagonista, Annie non sa più di essere stata la Girardot. Da tempo l’Alzheimer s’è portato via ogni suo ricordo e, piano piano, pure il dispiacere di scoprire che si è la Girardot fino a quando sono gli altri a ricordarselo, poi si torna a essere una qualunque Annie, non più giovane, non più bella, non più sana, non più capricciosa, piuttosto in balia dei capricci altrui; una alla quale nessuno invia più un bel copione, una fuori ruolo. Ma poco prima che si spegnessero le ultime tremolanti fiammelle della coscienza, la sua e quella degli altri, forse appena un attimo prima che la storia di Annie Girardot virasse verso un finale malinconico e comune (la malattia che uccide la memoria, la disattenzione degli altri che ti consegna alla solitudine), qualcosa di specialmente crudele, o intollerabilmente grandioso, è accaduto. Un regista è tornato a bussare alla porta di Annie che non sapeva più di essere la Girardot, e tra le mani aveva un copione. Una di quelle storie assolute che l’anziana attrice aveva aspettato invano per quindici, lunghissimi anni. La storia di una donna un tempo bella e splendente di fascino e intelligenza, che si decompone - prima la mente, poi il corpo - sotto l’occhio impietoso delle telecamere. Otto mesi di agonia non inutile, dal momento che quelle immagini serviranno - ma serviranno? - a sensibilizzare l’opinione pubblica su un morbo che continua a colpire milioni di persone in tutto il mondo. Se Annie avesse ancora saputo di essere la Girardot, avrebbe magari firmato risoluta il contratto che le veniva sottoposto, caldeggiato da un gruppo di amici e familiari riuniti intorno al suo letto, la figlia Giulia Salvatori in testa. Sarebbe stata forse fiera dell’opportunità che la vita le aveva riservato: un’ultima grande prova d’attrice grazie alla quale averla vinta sulla malattia che per anni lei aveva combattuto e a tratti beffato con tutta la grinta di cui era capace; avrebbe, forse, potuto apprezzare, non senza la civetteria propria di molte persone anziane, la difficile grandiosità del ruolo che le veniva finalmente proposto, segno che il mondo tornava a ricordarsi che lei era la Girardot. Di lei che, mentre il mondo del cinema lentamente la dimenticava, ancora si sforzava di scavare nella memoria per ricordarsi chi fosse Alain Delon. Ma sono in molti a temere che quel cenno d’assenso alfine abbozzato dopo aver ascoltato più volte la domanda che le veniva rivolta con la complicità di coloro che avrebbero dovuto prendersi cura di lei, altro non sia che una battuta suggerita (pessima battuta, in tal caso), o il frutto di un cinico errore di doppiaggio compiuto in fase di post-produzione. Il documentario-choc di Nicolas Baulieu, che i francesi vedranno il 21 settembre su Tf1, racconterà dunque la perdita di memoria e l’esistenza svuotata di senso, la sofferenza del corpo e la sua infinita vulnerabilità, la bellezza che dovrebbe sfiorire con grazia e invece può decomporsi all’improvviso, sgangheratamente, la fine di Annie Girardot che non sa di essere la Girardot. Nessuna di queste cose, in teoria, dovrebbe essere tabù, perché inutile e ingannevole, e persino impietoso, è distogliere lo sguardo dalla vita che sfiorisce. Ma non sapremo mai se quell’interpretazione è l’ultimo regalo di una grande attrice e d’una creatura splendente, o - come appare più probabile - il furto scellerato compiuto ai danni di un essere umano. Se Annie, prima di scordarsi d’essere la Girardot, ma dopo aver già constatato che sei la Girardot fino a che gli altri se lo ricordano, ha avuto il tempo di scoprire qual è oggi la crudele condizione che questo mondo-reality ti impone per uscire dall’oblio e tornare a essere quello che eri: consegnare te stesso al grottesco e al miserabile che fanno ascolti, consegnare al pubblico lo spettacolo d’un uomo che, in qualche modo, come tutti, infine muore. Chissà se Annie ci teneva veramente, a uscire da quell’oblio. Stefania Miretti