Giovanni Pons, la Repubblica 12/9/2008, pagina 26, 12 settembre 2008
MILANO
Quasi due mesi di battaglia senza esclusione di colpi hanno mandato in onda il "grande compromesso" che dovrebbe rappresentare la Mediobanca del futuro. Il 23 luglio, infatti, i giornali scrivevano dell´intenzione di Cesare Geronzi e dei grandi soci di piazzetta Cuccia di abbandonare il sistema di governance duale per tornare al più classico sistema tradizionale. A prima vista poteva sembrare una questione di lana caprina, molto tecnica e per addetti ai lavori. In realtà ha scatenato attorno a Mediobanca, come ormai avviene a fasi alterne dalla scomparsa di Enrico Cuccia, un duro confronto tra i principali esponenti della finanza italiana, tedesca e francese. Con un ruolo di primo piano ma rigorosamente dietro le quinte giocato dalla Banca d´Italia di Mario Draghi. Sarebbe stato il governatore, infatti, nella ricostruzione dell´ala geronziana, a piantare paletti pressoché insormontabili al funzionamento del duale in piazzetta Cuccia, un´astiosità che avrebbe addirittura fatto compiere al giurista Piergaetano Marchetti un´inversione a U nel suo giudizio sulla bontà del doppio consiglio. A parere dei manager, invece, la relazione di Marchetti al comitato governance dell´istituto è sembrata un po´ di parte, specie nella questione che riguarda le responsabilità dei consiglieri di sorveglianza. Tant´è vero che i vertici di Intesa Sanpaolo non hanno alcuna intenzione di seguire le orme di Mediobanca.
Certo, il ritorno al tradizionale ha una motivazione di sostanza non di poco conto. Geronzi l´ha toccata con mano quando appena arrivato in piazzetta Cuccia ha dovuto sudare sette camicie e appoggiarsi al concorrente Giovanni Bazoli per far passare la nomina di Franco Bernabè in Telecom. Ad aggravare la situazione la barriera alzata dal consiglio di gestione presieduto da Renato Pagliaro, quasi insormontabile, e la comunicazione con il presidente lasciata alla «educazione» degli interlocutori. Di lì il blitz di Geronzi, con l´avallo dei principali soci e in un primo momento anche di Unicredit il cui presidente, Dieter Rampl, forniva il suo assenso scritto dopo un consulto con Alessandro Profumo. I modi e i tempi scelti dal banchiere capitolino, e forse un po´ di arroganza derivata da anni di incontrastato potere a Roma, suscitavano l´ira degli ex pupilli di Cuccia e Maranghi, che si ritrovavano compatti a minacciare le dimissioni se fosse passata la restaurazione dall´alto. Determinante, a questo punto, la virata di Profumo: spalleggiato da Draghi imponeva una revisione della governance che trovasse pieno consenso del management interno. I contendenti sono poi partiti per le vacanze dopo aver letto una bombastica intervista di Geronzi che pareva puntasse a far dimettere «i ragazzi» ancor prima del confronto settembrino. Mossa che si è però rivelata un boomerang: Profumo è sceso in campo a piedi uniti minacciando lo scontro in assemblea e il risultato del braccio di ferro emerge ora.
Caso inedito in Europa, nel cda di Mediobanca sederanno tutti e cinque i manager di punta i quali faranno parte anche del comitato esecutivo, dove saranno in maggioranza. Questo punto, il più difficile da digerire per Geronzi e gli alleati francesi, ha il sapore del ramoscello d´ulivo che segna la fine delle ostilità. Fiducia incondizionata ai dirigenti che hanno portato grassi utili alla banca in quattro anni; la bacchetta di direttore d´orchestra a Geronzi che passerà la palla al più allargato consiglio di amministrazione ogni qualvolta annuserà la mala parata in esecutivo. E i soci a far da guardiani, pronti a cambiare il management se qualcosa andasse storto. Così sarà fino alla prossima battaglia.
Giovanni Pons