Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  settembre 19 Venerdì calendario

L’espresso, giovedì 18 settembre L’Unione europea affamata di gas ci spera ancora, gli esperti lo danno già per mezzo morto

L’espresso, giovedì 18 settembre L’Unione europea affamata di gas ci spera ancora, gli esperti lo danno già per mezzo morto. Il Nabucco, la mega condotta che attraverso il Mar Caspio, la Georgia e la Turchia, dovrebbe portare 30 miliardi di metri cubi di gas dell’Asia Centrale, del Caucaso e del Medio Oriente fino in Austria, tagliando fuori la Russia che oggi è il fornitore di un terzo dei consumi europei, rischia grosso. "Da quando Mosca è entrata in Georgia chi ha più il coraggio di puntare 8-10 miliardi di dollari nel progetto?", si chiede Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. "Siamo bloccati in una contraddizione", aggiunge Susanne Nies, responsabile energia del think tank Ifri ed autrice del libro ’Gaz et Pétrole vers l’Europe’: "Ora il Nabucco appare più necessario che mai per renderci meno dipendenti dalla Russia, ma al tempo stesso la Russia è più che mai presente in Asia Centrale e nel Caucaso rendendo la vita impossibile al Nabucco". Il consorzio che patrocina il gasdotto (composto dalla tedesca Rwe, l’austriaca Omv, l’ungherese Mol, la rumena Transgaz, la bulgara Bulgargaz e la turca Botas) non la pensa così: "La guerra non avrà impatto sul progetto", assicura il portavoce Christian Dolezal, "la prima consegna ci sarà nel 2014: abbiamo molti anni per risolvere le questioni politiche". Ma la strategia di Putin in materia di gasdotti (la sua tesi di laurea è stata appunto sull’utilizzo politico di queste infrastrutture) ha dimostrato che Mosca vuole il controllo delle rotte dell’energia. E che mal digerisce questo progetto fortemente voluto dalla Ue (figura nella lista delle opere prioritarie) e sponsorizzato politicamente dagli Stati Uniti, che non a caso ha appena inviato nella zona il vicepresidente Dick Cheney per ribadire l’appoggio di Washington. Per essere sicuro di blindare il corridoio del Caspio, i russi stanno intervenendo sui paesi dell’area con riserve di gas da vendere. L’anno scorso Gazprom ha siglato accordi con Turkmenistan, Kazakhstan e Uzbekistan per comprare gran parte del loro gas, offrendo per la prima volta le quotazioni più salate che applicano gli europei. Senza gas da trasportare, Nabucco sarebbe condannato a restare al palo. Ma è davvero così? "La Russia vuol far credere che ha comprato tutto il gas turkmeno", dice Francis Perrin, direttore della rivista ’Arab Oil & Gas’, "ma ho l’impressione che il regime turkmeno stia tentennando e che l’ultima decisione non sia ancora stata presa". Che la manovra a tenaglia di Putin e di Alexei Miller, il capo di Gazprom, non sia ancora andata in porto, e che i giochi siano ancora aperti, lo dimostra l’interesse con cui gli stati generali dell’industria dell’energia si sono dati convegno a Baku, capitale dell’Azerbaijan il 9 e il 10 settembre. Geologi, ingegneri, trivellatori di pozzi, esperti di geopolitica, feluche di mezzo mondo e manager di grandi compagnie petrolifere si sono ritrovati nel cuore dell’Asia centrale, per capire che piega può prendere il grande gioco delle fonti di energia che coinvolge i nuovi protagonisti intorno al Caspio. Elemento essenziale che può far decollare uno o l’altro dei tanti progetti di condotte fioriti nell’area. Intanto c’è il gas dell’Azerbaijan, paese che è sotto l’influenza americana. A fine 2007 la Bp, la British Petroleum, attore dominante nell’Azerbaijan, eseguendo delle perforazioni intorno al giacimento di Shah Deniz nel Mar Caspio ha trovato nuove ingenti risorse di gas. Le stime parlano di un possibile raddoppio della produzione, che potrebbe passare da 8 a 16 miliardi di metri cubi l’anno, e non si escludono nuovi giacimenti. Insomma, un gas perfetto per gonfiare almeno parzialmente il Nabucco, permettendo di lanciare l’opera e facendo così da esca per il gas turkmeno. Non deve stupire quindi che le risorse azere facciano gola ai russi: a luglio Medvedev ha provato a comprare il 100 per cento del gas di Baku, ma senza successo. "Non abbiamo ancora deciso nulla", assicura una fonte diplomatica azera, "stiamo considerando tutte le opzioni". Sul gas di Shah Deniz contano anche gli uomini dell’Igi, consorzio tra l’italiana Edison e la greca Depa, che dovrebbe portare in Puglia il gas che già scorre, anche se in piccole quantità, dal Caspio lungo la rete turca sino alla Grecia. Con la sicurezza della fornitura azera, l’Igi porterebbe 8 miliardi di metri cubi, molti meno dei 30 di cui ha bisogno il progetto Nabucco per stare in piedi. Da dove dovrebbe venire tutto questo gas? Il mega-gasdotto europeo conta in una prima fase di comprare nel bacino del Mar Caspio, da Azerbaijan, Turkmenistan, Kazakhstan e Uzbekistan, e in una seconda fase considera che nei tubi venga convogliato gas iracheno o iraniano. "Anche se la situazione in Iraq è migliorata, è impensabile che il gas iracheno possa arrivare nei prossimi anni fino in Europa", spiega Perrin, "mentre le pressioni statunitensi rendono inutilizzabili le risorse di Teheran. Resta la prima fase, l’unica che potrà permettere di lanciare il progetto". Corteggiare gli azeri, dunque, diventa vitale per gli europei: "Ue e Usa devono accelerare i negoziati per non perdere questa opportunità: l’indipendenza energetica ha un suo prezzo, un prezzo che l’Europa deve dimostrare di voler pagare". Ma lo vuole pagare? Questo punto non è poi così chiaro. "Tocca a noi muoverci", spiega un funzionario della Commissione europea, "ma lo stiamo facendo con poca convinzione, lentamente e in ordine sparso. Facciamo delle bellissime dichiarazioni di unità, ma poi ogni Stato membro va a Baku per cercare di strappare un contratto bilaterale. una processione, ci sono andate l’Italia, la Germania, la Polonia.". E così il gasdotto mette a nudo ancora una volta le debolezze e le divisioni dell’Europa. L’Italia e la Germania, non è un mistero, giocano su più tavoli. Entrambe flirtano con Gazprom: Roma, via Eni, con il South Stream, progetto di gasdotto alternativo al Nabucco; Berlino, via Gerhard Schröder, l’ex premier a cui è stata affidata la rappresentanza degli interessi del North Stream, su questa condotta di 1.200 kilometri e 20 miliardi di euro di investimento che da San Pietroburgo dovrebbe arrivare in Germania via Mar Baltico (un’opera invisa alla Polonia ed ai paesi baltici). Questi due gasdotti hanno in comune due elementi chiave. Il primo, è che non hanno problemi di approvvigionamenti, avendo accesso alle riserve russe, e quindi piacciono molto agli investitori, che odiano le situazioni incerte. Il secondo è un fattore geo-politico, e cioè che entrambi bypassano l’Ucraina. questo paese che attualmente smista l’80 per cento del gas russo all’Europa: una prerogativa che a Gazprom non va più bene e che vuol fare di tutto per smontare o per lo meno ridurre. Il North Stream, infatti, dovrebbe portare in Europa 55 miliardi di metri cubi di gas, di cui 45 sostituiranno la fornitura che passa dall’Ucraina; il South Stream, che dovrebbe portare sotto il Mar Nero in Turchia e poi in Bulgaria fino a 30 miliardi di metri cubi di gas, sostituirà una quota di 20 miliardi di metri cubi che oggi transitano sempre dall’Ucraina. Morale: la Russia uscirà pure isolata internazionalmente dalla crisi in Georgia, ma le sue contromosse sul fronte dell’energia appaiono vincenti. E all’Italia, cosa conviene di più? " da dieci anni che si dice che dal Caspio deve venire l’energia che ci dovrà affrancare", dice Tabarelli, "ma finora è arrivato assai poco. L’Eni ha adottato la strategia di legarsi ai russi? Finora ha pagato", conclude. Infatti l’Eni è diventato anche il primo operatore del gas in Europa. Difficile che qualcosa si muova senza il suo via libera. Anche in materia di gasdotti. Alberto D’Argenzio e Paola Pilati