Valerio Castronovo, Il Sole-24 Ore 11/9/2008, pagina 13, 11 settembre 2008
Il Sole-24 Ore, giovedì 11 settembre La crisi nel Caucaso ha congelato per il momento la visita del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a Mosca per sancire il "partenariato globale" con la Russia (dall’energia all’aerospaziale, dalle automobili alle navi multifunzionali, dall’alta tecnologia alle infrastrutture) annunciato dal ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola
Il Sole-24 Ore, giovedì 11 settembre La crisi nel Caucaso ha congelato per il momento la visita del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a Mosca per sancire il "partenariato globale" con la Russia (dall’energia all’aerospaziale, dalle automobili alle navi multifunzionali, dall’alta tecnologia alle infrastrutture) annunciato dal ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola. Ma, a giudicare dall’apprezzamento del presidente russo Dmitrij Medvedev per la "posizione equilibrata" dell’Italia sulla questione georgiana, nonché dai rapporti di amicizia fra il nostro capo del Governo e Vladimir Putin, sembra che questa possa essere la volta buona per uno sviluppo programmato su vasta scala delle relazioni economiche italo-russe. Risalgono infatti ai primi anni 20, agli esordi della "Nuova politica economica" varata da Lenin, le iniziative intraprese a tal fine dalle due parti, benché la Russia dei Soviet non fosse ancora riconosciuta a livello internazionale. I dirigenti comunisti erano al corrente dell’ottima qualità dei carri militari acquistati in Italia durante la Grande guerra dallle autorità zariste. E la nostra industria, alle prese con la riconversione post-bellica, era alla ricerca di adeguati sbocchi di mercato. Fu la Compagnia italiana commercio estero (Cice), sorta a Milano nell’aprile 1921, per iniziativa di Franco Marinotti e patrocinata da Senatore Borletti, a dare il via alle trattative con i sovietici. Mosca era riuscita a siglare accordi commerciali con la Germania, ma non con altri Paesi occidentali, riluttanti ad allentare il "cordone sanitario" attorno alla Russia bolscevica. Per aprire un’altra breccia contro l’embargo, i russi confidavano nel Governo di Roma, presieduto da Giovanni Giolitti, in quanto, a loro giudizio, l’Italia era schierata nel Consiglio economico dei Paesi dell’Intesa "a sinistra" rispetto alla Francia "a destra" e alla Gran Bretagna "al centro". Sta di fatto che, anche per affrancarsi dalla "schiavitù di un cambio esoso" per l’acquisto di materie prime negli Stati Uniti, come ci si lamentava da parte italiana, erano stati incoraggiati i negoziati della Cice con la Delegazione commerciale russa a Roma, con il plauso dei socialisti riformisti e della Confederazione generale del lavoro. Ma fu Mussolini a dire l’ultima parola decidendo di ripristinare le normali relazioni diplomatiche con Mosca. Il 19 novembre 1923 aveva espresso in un colloquio con un plenipotenziario sovietico, Vaclav Vorovskij, l’intenzione dell’Italia «d’avvicinarsi pienamente alla Russia», giacché «il potere sovietico» era «ben saldo»: purché da Mosca non ci si intromettesse negli «affari interni italiani»; aggiungendo che la sua politica estera non sarebbe stata «guidata da una chiacchiera umanitaria», ma «da interessi reali», per cui era pronto a «riconoscere de jure il Governo sovietico». Come poi avvenne nel febbraio 1924. La Russia intendeva importare camion e trattori agricoli, impianti elettromeccanici e tessuti; l’Italia a sua volta aveva bisogno di nafta e cereali: fu così che l’interscambio andò intensificandosi. Successivamente, durante la "Grande crisi" degli anni 30, risultò provvidenziale per la Fiat l’appalto, da parte dell’Urss alla Riv e alle sue consociate, delle attrezzature per la costruzione di una fabbrica di cuscinetti a sfera nei pressi di Mosca, la più grossa al mondo. Del resto, per Stalin risultava meno ingombrante la presenza in Russia dei tecnici torinesi rispetto a quella dei loro concorrenti americani; Mussolini, dal canto suo, aveva tagliato corto con la Banca d’Italia, restia ad accordare alla Fiat anticipi sulle forniture all’Urss, affermando: «I Soviet hanno sempre pagato, è inutile imbottirsi di garanzie suppletive». Alla fine della guerra, il ministro per la Ricostruzione nel Governo Parri, Meuccio Ruini, era dell’avviso che lo sviluppo di buone relazioni commerciali con l’Urss sarebbe stato un «importante contrappeso alla penetrazione del capitale inglese e americano nell’economia italiana». La stessa opinione aveva espresso nel novembre 1946, quando il Pci era ancora al Governo, in un colloquio con l’ambasciatore Michail Kostylev: tanto da suggerire al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi di pagare in prodotti della nostra industria le riparazioni di guerra a Mosca per far così conoscere in Urss quanto fossimo bravi in certi settori d’attività. A sostegno dell’economia italiana erano poi sopraggiunti, gli aiuti del Piano Marshall; e solo dopo i primi segnali di distensione fra Est e Ovest si era tornati a guardare verso il mercato sovietico, grazie anche ai canali aperti a Mosca da Piero Savoretti. Ma era stata la visita ufficiale in Urss del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi nel febbraio 1960, ancorché si fosse sfiorato un incidente diplomatico, a rompere il ghiaccio: tant’è in novembre l’Eni di Enrico Mattei s’era garantito l’acquisto del 20% del fabbisogno nazionale di petrolio a prezzi inferiori a quelli delle "Sette Sorelle". Erano poi seguite varie commesse alle imprese italiane, dopo un’esposizione a Mosca dei loro prodotti, inaugurata nel giugno 1962 da Kruscev. Finché il Governo sovietico aveva siglato nel maggio 1966, sotto l’egida di Alexej Kossighin, il maxi-accordo con la Fiat per la costruzione di Togliattigrad : il «più grande affare del secolo», come lo definì Averell Harriman, già ambasciatore americano al Cremlino. Da allora, a parte una temporanea gelata dei rapporti bilaterali dopo l’installazione nel 1983 dei missili Nato a Comiso (dovuta peraltro al mancato smantellamento degli "SS20" sovietici), si sono avvicendati con esiti alterni vari progetti di collaborazione con Mosca prima e dopo il crollo dell’Urss. Oggi, mentre sono cresciuti gli investimenti di gruppi russi in Italia, non soltanto l’Eni e la Fiat continuano a fare da battistrada nelle relazioni economiche con la Russia; anche l’Enel in campo energetico e numerose aziende italiane hanno inaugurato o consolidato, gareggiando con quelle tedesche, una loro "Ostpolitik". Valerio Castronovo