Vittorio Sabadin, La Stampa 11/9/2008, pagina 1, 11 settembre 2008
La Stampa, giovedì 11 settembre Quando l’inviato del «Times» Paul Heiney ha incontrato quella mucca pezzata nello sperduto villaggio di Ngungulo, in Uganda, ha riconosciuto nei tratti qualcosa di familiare e non ha rinunciato alla più scontata delle battute del repertorio britannico, sussurrandole all’orecchio: «La nipote di Tutti, suppongo»
La Stampa, giovedì 11 settembre Quando l’inviato del «Times» Paul Heiney ha incontrato quella mucca pezzata nello sperduto villaggio di Ngungulo, in Uganda, ha riconosciuto nei tratti qualcosa di familiare e non ha rinunciato alla più scontata delle battute del repertorio britannico, sussurrandole all’orecchio: «La nipote di Tutti, suppongo». La nonna della mucca, chiamata Tutti, era stata acquistata nel 1994 grazie a una sottoscrizione tra i lettori e spedita in Africa nella speranza che potesse migliorare le condizioni di vita del villaggio. Quattordici anni dopo, il «Times» ha potuto verificare che quella che all’epoca era sembrata a molti una iniziativa stupida e demagogica ha davvero portato ricchezza e speranza in una delle più povere regioni del mondo. Una semplice macchina da latte ha prodotto più benefici di tanti dispersivi aiuti umanitari, diventando protagonista di una storia davvero straordinaria. L’idea era venuta vent’anni fa a una organizzazione di carità, che l’aveva battezzata «Send a cow», «Spedisci una mucca»: se ogni allevatore della Gran Bretagna avesse inviato in Africa una delle troppe mucche gravide che possedeva, le condizioni del Paese sarebbero migliorate nel giro di poche generazioni. Paul Heiney convinse il suo giornale a sostenere il progetto, e i soldi per acquistare una mucca furono raccolti tra lettori inizialmente molto riluttanti. «Quei selvaggi se la mangeranno viva», scrisse uno. Un altro accusò il giornale di crudeltà, perché la povera bestia avrebbe patito le pene dell’inferno nel caldo africano, dimenticando che gli altipiani dell’Uganda hanno più o meno lo stesso clima del Devon. Partita in aereo da Gatwick, Tutti arrivò senza problemi a Ngungulo, scodinzolando e odorando di latte come ogni mucca in buona salute, pronta a compiere il proprio dovere. In pochi giorni, gli abitanti del villaggio capirono che il regalo ricevuto poteva cambiare le loro vite e rivoluzionare il ciclo economico della piccola comunità. Il latte migliorò subito la povera dieta di adulti e bambini, ma quello prodotto in surplus veniva venduto, realizzando così un introito che compensava abbondantemente il lavoro necessario a produrre foraggio per alimentare la mucca. Ma Tutti non forniva solo latte, era capace di ben altro: chili di letame prodotto ogni giorno andavano a fertilizzare i campi, raddoppiando i raccolti di banane e permettendo la crescita di carote e altri ortaggi. Fu quando Tutti partorì un vitello che gli abitanti di Ngungulo capirono l’entità della fortuna che era loro capitata: venne chiamato Jacob e diventò un toro da monta particolarmente dedito al lavoro, visto che in tre anni si accoppiò con 236 mucche. Ognuna delle sue storie d’amore è stata scrupolosamente annotata dalla famiglia Luyombyas, alla quale era stato assegnato. «Quando Jacob arrivò - ricorda ancora il capoclan - eravamo così orgogliosi che tutta la famiglia dormì con il toro la prima notte. E anche la seconda». Grazie a Jacob, i Luyombyas poterono lasciare la loro capanna di fango per una casa di mattoni, «con finestre vere che si chiudono» e riuscirono ad acquistare persino dei letti. La loro salute migliorò e investirono parte dei ricavi in una vecchia macchina per cucire Singer, usata per confezionare uniformi scolastiche da vendere. Da vent’anni, le regole di «Send a cow» sono semplici: il primogenito di ogni mucca ricevuta in dono deve essere obbligatoriamente regalato a una famiglia che non ne possiede, e la bestia, quando è possibile, va consegnata a una madre di famiglia e non a suo marito. Le donne sono infatti più portate a usare i soldi guadagnati con la vendita del latte per migliorare le condizioni della famiglia, mentre non si sa mai quale uso potrebbe farne un uomo. In vent’anni, sono state inviate nella regione circa 300 mucche gravide, le prime delle quali atterrarono nel 1987 all’aeroporto di Entebbe, devastato dalla guerra civile. Grazie a loro, un Paese nel quale ogni coppia ha in media sette figli e i funerali sono così frequenti da essere celebrati tutti insieme il sabato, per non perdere troppe ore di lavoro, è riuscito a migliorare la propria condizione. Migliaia di donne provenienti dai villaggi dell’Uganda hanno affrontato poche settimane fa un lungo viaggio per festeggiare con canti e danze nella città di Mukono l’anniversario di «Send a cow». La loro mucca ha risolto il problema della fame, ha fatto crescere sani i loro bambini, reso più efficienti le coltivazioni e creato comunità solidali dove prima non c’erano. Tutti è morta da tempo, ma i suoi vitelli e vitelle ne continuano l’opera. Decine di bambini sono andati a scuola a sue spese e gli abitanti del villaggio hanno capito grazie a lei che rimboccarsi le maniche resta sempre il migliore modo di cavarsela. «Siamo orgogliosi di te», può dunque scrivere dopo 14 anni il «Times» della sua mucca. Vittorio Sabadin