Luigi Spaventa, la Repubblica 11/9/2008, pagina 30, 11 settembre 2008
la Repubblica, giovedì 11 settembre è una storia americana: di un´America di cui si narrava giustamente il genio – di intrapresa, di flessibilità, di mobilità economica e sociale – ma si ignorava, o piuttosto si taceva, la sregolatezza
la Repubblica, giovedì 11 settembre è una storia americana: di un´America di cui si narrava giustamente il genio – di intrapresa, di flessibilità, di mobilità economica e sociale – ma si ignorava, o piuttosto si taceva, la sregolatezza. Fannie Mae (così graziosamente ribattezzata in sostituzione di un lungo e noioso nome anagrafico) nasce nel 1938 dai nobili lombi del new deal rooseveltiano. E nasce come agenzia federale con la missione di dare sostegno e respiro al mercato dell´edilizia residenziale: opera all´ingrosso, acquistando mutui, assumendone il rischio e finanziandosi con l´emissione di obbligazioni. Per fare cassa (erano gli anni della guerra in Viet Nam), il presidente Johnson la privatizzò nel 1968. Ad evitare un monopolio legale in mani private, nel 1970 a Fannie viene dato un fratellino, rinominato Freddie Mac e anche esso privato, per fare lo stesso mestiere. Fannie e Freddie sono creature ibride: classificate come "imprese sponsorizzate dal governo" e sottoposte alla supervisione di un ufficio federale, sono tuttavia quotate, senza partecipazione pubblica, e guidate da manager potenti e autoreferenziali. Non godono di esplicita garanzia pubblica, ma tutti assumono che il governo, sponsor, in caso di bisogno le terrà in piedi: questa implicita garanzia consente loro di finanziarsi a tassi più bassi.. In più i due accumulano un forte potere politico, esercitato col bastone della loro potenza finanziaria e con la carota di liberali assunzioni di parenti e famigli di senatori e deputati. Fannie e Freddie cavalcano così, in anni recenti, il boom dell´edilizia residenziale e dei mutui ipotecari: per sostenere la crescita dei profitti degli azionisti (privati) e degli stipendi (stratosferici) dei loro manager, prendono quel che capita, assumendo con disinvoltura rischi sempre maggiori. Nel silenzio delle autorità di vigilanza (catturate dal vigilato e silenti anche quando, un paio di anni fa, si manifestarono irregolarità contabili), il debito ipotecario detenuto direttamente o garantito dai due supera i 5200 miliardi di dollari (pari all´intero debito pubblico e al 40 per cento del PIL degli Stati Uniti) a fronte di un capitale di 81 miliardi. Il giocattolo si rompe con la crisi finanziaria. Aumentano le insolvenze; il mercato rifiuta di accettare qualsivoglia pezzo di carta connesso ai mutui ipotecari e non crede più alla garanzia implicita del governo americano – neppure a un più esplicito impegno assunto nel luglio scorso. Mentre il costo della raccolta si impenna, si manifesta, concreto, un duplice rischio: che, mancando il contributo di Fannie e Freddie (quattro quinti all´inizio di quest´anno) al finanziamento dei prestiti fondiari, la crisi dell´edilizia si trasformi in un crollo; che difficoltà di rimborso del loro debito, collocato in parte notevole presso investitori internazionali, privati e pubblici, provochino una crisi finanziaria devastante. Non vi erano dunque alternative al piano di salvataggio annunciato dal segretario al Tesoro Paulson: con il governo che ricapitalizza nella misura necessaria Fannie e Freddie, espellendone, di fatto, gli azionisti e (finalmente) cacciandone i manager e si impegna al riacquisto delle obbligazioni emesse. Il costo per il contribuente americano è ancora ignoto: nel peggiore dei casi potrà essere di qualche centinaio di miliardi. Questa "lezione americana", che si aggiunge ad altre recentissime o recenti, induce a qualche riflessione. La prima, di ordine generale, la formula Martin Wolf, sul Financial Times: " la riluttanza americana a riconoscere che un rischio socializzato richiede un controllo pubblico ha prodotto non solo uno scandalo, ma un gigantesco pasticcio". La seconda: in Europa la corsa di Fannie e Freddie, si sarebbe fermata ben prima. La Commissione avrebbe fatto valere le regole della concorrenza e del divieto di aiuti di Stato, come quando impose la revoca della garanzia pubblica per le banche regionali tedesche; le autorità nazionali preposte alla stabilità avrebbero avuto qualcosa da dire. La terza riguarda il sistema di regolazione degli Stati Uniti: ritenuto un modello dagli epigoni di Nando Moriconi (impersonato da Alberto Sordi in "Un Americano a Roma"), si è rivelato nei fatti massimamente inefficiente sia per la balkanizzazione della vigilanza (il termine è di Paulson) fra una pletora di regolatori non comunicanti sia per la colposa pigrizia di molti fra questi. Il costo di questi difetti è tanto più grave quando essi si manifestano nel maggior centro finanziario del mondo, poiché le conseguenze si diffondono sull´intero sistema finanziario internazionale. Infine, questo pur necessario salvataggio non consente di prevedere un ritorno alla normalità, intesa come business as usual: meglio così, forse, perché, per conservare quanto c´è di buono nella finanza, il business non può essere quello degli anni ruggenti di inizio secolo. In parafrasi del titolo di un bel libro di Rajan e Zingales, occorre "salvare la finanza dai finanzieri". Luigi Spaventa