Mario Baudino, La Stampa 8/9/2008, pagina 33, 8 settembre 2008
La Stampa, lunedì 8 settembre La novità è che Alberto Abasino ha smesso di dire di no. Si lascia docilmente intervistare, persino premiare, e invitare ai festival
La Stampa, lunedì 8 settembre La novità è che Alberto Abasino ha smesso di dire di no. Si lascia docilmente intervistare, persino premiare, e invitare ai festival. Pochi e selezionati, va da sé: tipo Mantova. La sua presenza riveste sempre un certo carattere di eccezionalità, come quella di alcuni stranieri, per esempio Jonathan Safran Foer, gettonatissimo autore di Ogni cosa è illuminata. Il mondo della letteratura è globale, per gli organizzatori di eventi il gioco si fa duro. Qui non hanno mai avuto problemi, ma quest’anno le voci critiche sono state più insistenti. Si è avanzato il sospetto, con conseguenti polemiche, che in fondo tutto ciò stia diventando, alla lunga, noioso, che i festival stiano esaurendo la loro funzione. Mantova risponde coi numeri, sempre molto buoni, e con un entusiasmo collettivo che non sembra dare segni di stanchezza. Ma intanto si trova che è nata una nuova figura di autore: il «forzato», il «professionista». un segno ambiguo, potrebbe essere il simbolo del successo ma anche la prima icona del tramonto. Ha un identikit: è giovane, con almeno qualche libro alle spalle, buona attenzione critica, vendite medie, traduzioni all’estero. Oscilla tra fatica e divertimento, tra entusiasmo e sarcasmo. In ogni caso, non manca un appuntamento. Prendiamo Raul Montanari (ultimo romanzo La prima notte, Baldini Castoldi Dalai). Lui ha un’idea precisa sul motivo per cui i media cominciano ad arricciare il naso: «Il pubblico si diverte, voi giornalisti crepate, e gli autori si stufano». Sicuro? «Bè, diciamo che io sono un tipo scontroso e non amo la compagnia degli scrittori. Messi intorno a un tavolo possono diventare allucinanti». Perchè ci viene, allora? «Lo considero un lavoro. Ne organizzo pure uno, in val Seriana, dal 20 settembre». Sul suo sito tiene aggiornato l’elenco delle comparse in pubblico: da cui si evince che quest’estate non si è mai fermato. «E’ un microfono in più che ti viene offerto. E c’è di mezzo anche un po’ di denaro», dice. Significativo? «Diciamo che, tranne qui a Mantova dove non mollano una lira, cerco di farmi pagare, anzi di farmi dare, relativamente, tanto. Ho una mia tecnica». Rivelabile? «Non segreta. So che se chiedo 500 euro e mi dicono subito ok, ho sbagliato. Devo tenermi alto, lasciare che mi facciano un mucchio di difficoltà, culminare col fatidico: "Fin dove potete arrivare, barboni?" e concludere. Tenga conto che non ho un agente, mi tocca fare tutto da solo». Si diverte? «E’ un modo diverso o parallelo di fare quel che faccio da scrittore: comunicare una visione del mondo. Non è un piacere, però non è affatto inutile». Difende i festival? «Certo. Se fossero inutili morirebbero. il mercato». anche il mercatino, volendo: quello che affascina Gianni Biondillo, architetto-scrittore «forzato» per divertimento, autore di saggi come il recente Metropoli per principianti e romanzi noir (pubblicati da Guanda. L’ultimo è Il giovane sbirro). Si aggira per Mantova con una borsa di «Città e territorio», tenutosi in maggio a Ferrara, e un collarino di «Pordenoneleggere». Deve andare a Arezzo, poi a Como per «Parolario». E’ stato a quasi tutti i festival, non solo italiani. «Ormai, quando non mi invitano, ci resto male. Anzi, lancio un appello a Gavoi e Ravenna: mancate solo voi, chiamatemi». Ricorda il primato gastronomico di Cuneo e il folle divertimento della «Semana negra», in Spagna. Mantova gli piace. «So che cosa trovo ai festival: il mondo dei lettori. Che sono belle persone, gradevoli, pulite: ti danno la sensazione di un Paese più civile». Biondillo è un entusiasta. Anche un po’ egoista, magari? «Lo ammetto, molti di noi diventano "autori" passando per i festival, come del resto accade per Internet. Qui in più c’è il contatto fisico. Forse il fenomeno è saturo, forse la «bolla» finirà per scoppiare e molte manifestazioni cadranno». Nell’attesa, perché fasciarsi la testa? «I festival servono agli scrittori. Sul piano umano, dico». Non al pubblico? «Quel che ti serve degli scrittori è già nei libri. Non so esattamente che cosa vuole un lettore, quando va al festival. So quelche ci trovo io». Le basta? «Eccome. Senza contare che si torna poi a casa con marmellate e gadget. Le mie bambine ne sono entusiaste». Mario Baudino