Milena Gabanelli, Il Sole-24 Ore 9/9/2008, pagina 15., 9 settembre 2008
Il Sole-24 Ore, martedì 9 settembre Di lui si sa molto poco, se non che ha fatto tornare in attivo un gruppo che stava per portare i libri in tribunale
Il Sole-24 Ore, martedì 9 settembre Di lui si sa molto poco, se non che ha fatto tornare in attivo un gruppo che stava per portare i libri in tribunale. Ma come avrà fatto a quintuplicare il valore delle azioni e risanare i bilanci? Dove sta il trucco? Nella vita di Matteo Arpe, 43 anni, c’è una famiglia di origini modeste, frequenta lo scientifico a Monza, si laurea con 110 e lode alla Bocconi. Non frequenta né il salotto né il giro politico romano. sempre in ufficio o con i suoi due figli. Abita in un appartamento hi-tech che si affaccia su villa Borghese. Immagino nel suo armadio ci siano solo camicie bianche, pantaloni giacche e gilet blu. sempre vestito così! Forse cambia i gemelli ai polsini. Cominciamo dall’inizio. Il suo primo lavoro è in Mediobanca, chi le ha dato una mano? All’epoca, era il 1987, c’era un funzionario, Giorgio Drago, che mi aiutò a fare la parte più pratica della mia tesi e dopo la laurea mi chiese di mandare il curriculum. Entrai a 22 anni nel dipartimento finanza come impiegato di concetto. In 10 anni sono diventato direttore centrale. Stipendio? Un milione e duecentomila lire. Il primo stipendio mi fu dato in banconote, perché non avevo ancora un conto corrente bancario. Quando sono uscito guadagnavo 420 milioni l’anno. Com’erano i rapporti con Cuccia? I rapporti con Cuccia sono nati dopo un paio d’anni e nel ’97-99 erano quotidiani e molto forti. Era una persona capace di un tratto umano piuttosto raro. Ancora oggi vorrei pensare come lui, o cercare di capire come lui pensava... Quando Colaninno meditava di scalare Telecom andò da Cuccia a chiedere un parere, che approvò e indicò in lei la persona che l’avrebbe accompagnato alla Chase Manhattan che prestava i soldi. Quale fu esattamente il suo ruolo? Mediobanca accettò l’incarico con qualche esitazione, si trattava di rompere degli schemi. Io dovevo accompagnare Colaninno e la compagine sociale a effettuare l’operazione sul mercato. Si racconta che quando la Bell raggiunse il suo scopo in Mediobanca volassero i tappi di champagne… L’operazione era stata congegnata come un’offerta pubblica sul mercato, quindi dovevano aderire investitori in tutto il mondo. Quella sera, quando abbiamo avuto la conferma ufficiale che aveva superato il 50%, tutta la stampa era fuori dalla sede di Mediobanca, ma siccome prima di comunicare a terzi bisognava informare Borsa e Consob, Colaninno si inventò di stappare una bottiglia di champagne, e buttare il tappo giù dalla finestra al posto di un comunicato stampa. La Bell è una holding nata a Lussemburgo con lo scopo di portare fuori dall’Italia la società di controllo, per eludere le tasse e la legge sull’Opa (la Consob adombrò l’ipotesi che fosse stata costituita mentre si progettava la scalata); secondo lei era giusto festeggiare con lo champagne? una holding di controllo che consente un’ottimizzazione fiscale. molto frequente. Non si può giudicare un’operazione dalla struttura fiscale che viene creata per effettuarla. Però si può criticare il miliardo di realizzo non tassato. Con Maranghi come andava? La mia crescita professionale è avvenuta sotto l’egida e il controllo di Maranghi. Fu lui insieme a Cuccia a scegliermi come responsabile del servizio finanziario quando uscì il dottor Braggiotti, fino a quando i rapporti si sono incrinati nel ’99. E perché si sono incrinati? Penso che la mia posizione sulla prospettata fusione fra Olivetti ed Edison fosse il vero motivo. Secondo me l’operazione non era presentabile, perché avrebbe creato una catena di controllo di 6 livelli e portava in capo a Mediobanca il controllo indiretto di Telecom grazie alla partecipazione in Compart, quindi all’ex gruppo Ferruzzi. Chi decise poi di non fare l’operazione fu la proprietà. Quindi, nel 2000 da Mediobanca passa a Lehman; con quale incarico e con quale stipendio? Prima di passare a Lehman sono stato 4 mesi senza un impiego; non riuscivo ad immaginare un mio collocamento professionale fuori da Mediobanca, dopo 13 anni era una seconda famiglia, fu sicuramente un trauma psicologico. Quindi pensai di prendermi un periodo di tempo con i miei figli, allora molto piccoli. Entrai in Lehman come responsabile di una divisione Europa. Il mio stipendio era di 10 volte superiore a quello in Mediobanca. Un passaggio che cambia la vita. In Mediobanca il detto era: «I posti che ti pagano di più sono quelli che ti danno di meno». Ambientarsi a un nuovo metodo di lavoro non fu facile. L’anno dopo è approdato a Banca di Roma, quanto ha lasciato sul campo? Una riduzione del 70% dello stipendio, ma la sfida era importante. Come avvenne l’ingresso in Banca di Roma? Per un suggerimento che diede Colaninno a Geronzi. All’epoca Banca di Roma operava un continuo turnover, perché viveva una situazione di grave difficoltà. Entrai come direttore generale, per poi diventare amministratore delegato di Capitalia nel 2003. Il 2003 è anche l’anno in cui Capitalia fa il primo utile, come avete fatto? Con un piano di completa ristrutturazione avviato un anno prima. Ovvero: non fare aumenti di capitale e avviare un piano di dismissione di attività che ci permetteva di compensare le perdite che emergevano nel risanamento della banca, che capitalizzava 2 miliardi di euro. La banca ce l’ha fatta senza chiedere soldi a nessuno, ha ritrovato l’orgoglio aziendale e decuplicato il suo valore. Nel bilancio 2003 iscrive 45 milioni di capital gain sull’acquisizione di Cofiri, avvenuta però a marzo 2004. Sarebbe regolare? Escludo che sia stata fatta una plusvalenza perché l’abbiamo pagata a patrimonio netto, e fu frutto di un accordo preso con i soci che vendevano. Quando arrivai, Cofiri era già una società che andava venduta, quindi non so le motivazione sottostanti. Secondo Gabrielli (presidente di Cofiri) Cragnotti gli avrebbe chiesto di alleviare i debiti con Capitalia. Gabrielli si oppone e da quel momento viene messo con le spalle al muro ed è costretto a vendere. Le quote degli altri due soci, Merloni e Angelucci, vengono rilevate in cambio di azioni MCC, sapendo che entro sei mesi il loro valore sarebbe cresciuto al punto da farli diventare azionisti ed entrare nel patto di sindacato, garantendo il sostegno a Geronzi nei momenti difficili. una lettura che può avere un senso? Può sembrare verosimile ma non è vera. Io non ho mai incontrato Gabrielli. Cofiri aveva un grosso problema di consistenza e di attività, quindi non sono mai intervenuto nella discussione tra i soci, ma solo per trattare i termini di acquisto su una decisione a vendere già presa. Quando è entrato in Banca di Roma, sapeva chi rappresentava Geronzi nel mondo finanziario italiano e dei suoi legami con l’ambiente politico romano? Io sono il prodotto di una realtà e di un modo di far banca completamente diverso, comunque il mio ruolo era quello di ricreare le condizioni di economicità e di rilancio in momenti molto difficili. Ero il più giovane amministratore delegato di un gruppo bancario in Europa; mi bastavano le mie responsabilità, senza andare ad approfondire quelle altrui sul passato. Questo mi è costato un avviso di garanzia. Il 2003 è anche l’anno in cui i Ds saldano i loro debiti con Capitalia, scontati del 50%... Cuccia scherzando diceva: chi scappa con la cassa compie un peccato veniale, chi passa informazioni compie un peccato mortale. Ma è vero o no che è stato fatto uno sconto del 50% sul loro debito? Non intendo rispondere, ma è normale che nei periodi di difficoltà si facciano sconti... Gli immobili dei Ds sono stati acquistati dagli Angelucci con i soldi prestati dalla sua banca... Io non ho seguito la partita degli Angelucci sugli immobili. Quale fu il ruolo di D’Alema in tutta questa partita? Non ho intenzione di parlare di persone o singoli fatti. Quali sono invece i suoi rapporti con il mondo politico? Con alcuni, pochi, di conoscenza e di stima, ma non è mai stata la mia acqua. Quando Capitalia godeva di pessima salute lei ha comprato azioni di tasca sua. Quanto? uando ci fu l’avviso di garanzia al presidente, il titolo crollò. Il segnale che volevo dare era che io credevo nella banca e comunicai al mercato che ogni anno avrei investito metà del mio stipendio netto in azioni di Capitalia. Insieme a me hanno investito anche altri manager. All’epoca dei noti crack, avete rimborsato 40 milioni di perdite ai correntisti che avevano investito nei bond Cirio, Parmalat, Giacomelli; lei ha detto: «Per interrompere una catena che riduceva la fiducia dei clienti nei confronti della banca». Lodevole, però eravate anche la banca più coinvolta, vuol dire che Banca di Roma andava oltre quella che era la sua mission. Avevamo meno del 7% della quota di mercato del credito italiano e oltre il 30% delle sofferenze. Dopo 5 anni - sono dati ufficiali - la qualità dei crediti era tra le migliori del Paese, che vuol dire ridare competitività al territorio, anziché deformare la concorrenza. Mi spiego: se due imprenditori vogliono comprare lo stesso asset e uno sa che ottiene 100 e rimborserà 50, per lui l’effettivo costo dell’operazione è 50, per l’altro il costo è 100. Quindi vincerà sempre quello che ha ottenuto il credito in maniera sbagliata. Ci furono anche delle erogazioni non autorizzate, che proprio lei denunciò alla procura di Roma. Che cos’era successo esattamente? L’ispettorato interno ha rilevato che c’erano alcuni dipendenti della banca che avevano forzato i sistemi di controllo e avevano erogato all’esterno 200 milioni di euro non supportati da alcuna delibera. Non era possibile fare questo senza la compiacenza di qualche importante funzionario della banca, in questo caso erano più soggetti che sono stati identificati e licenziati. In casi del genere le azioni le concordava con Geronzi? Nel caso specifico Geronzi sapeva del problema, ma non ha seguito i dettagli delle azioni di recupero. Nel processo Parmalat ha un rinvio a giudizio. La questione riguarda le acque minerali Ciappazzi, un’azienda che non aveva neanche la licenza per imbottigliare, che Tanzi compra da Ciarrapico (molto esposto con Banca di Roma). La contropartita sarebbe un prestito a Parmatour. Ma la società è decotta e lei perciò si rifiuta. In sua assenza viene fatto un prestito a Parmalat, ma lo stesso giorno i soldi transitano sul conto Parmatour. Veramente lei non ne sapeva niente? Non partecipai né a riunioni né a delibere perché in quel periodo ero in giro per l’Europa e negli Stati Uniti a presentare il primo piano industriale. Comunque l’accusa contro di me è di non aver impedito a terzi di commettere i reati ipotizzati. Sono certo che dal processo emergerà la verità. Nel 2006 mentre Geronzi è fuori dalla banca per un provvedimento d’interdizione relativo al crack Parmalat, lei blocca una presunta scalata di Intesa. Esattamente che cosa è avvenuto? Di fronte a continue indiscrezioni e al mercato in preda alle speculazioni, abbiamo comprato il 2% dell’altra banca. La verità però è stata deformata e questo acquisto è stato presentato come un atto volto a proteggere la mia posizione. L’operazione per la quale avevo deleghe sufficienti fu invece da me rimessa nelle mani del cda, ponendo l’unanimità - che ci fu - come condizione per effettuarla. Il presidente non c’era, ma non credo che abbia appreso la notizia dai giornali. Febbraio 2007: Geronzi, attraverso il presidente del patto di sindacato, chiede le sue dimissioni, perché? Avviene a valle di una seconda sospensione per la condanna nel processo Bagaglino, e secondo normativa spetta ai soci deliberare la riammissione. Uno dei pretesti fu il timore che io sobillassi quella parte di investitori internazionali con i quali ho un ottimo rapporto, che ha sempre supportato la banca e vedeva in tutte queste vicende qualcosa di assolutamente anomalo e inusuale, per intervenire e votare contro il patto di sindacato. Cosa che non è successa. Lei non ci ha neanche provato a parlare con i soci? Avevo parlato con i soci per cercare di mantenere una situazione di stabilità. Per stabilità s’intende che Geronzi doveva star fuori o che doveva star dentro? Era chiaro che Geronzi tornava dentro, ma bisognava evitare eventuali uscite dall’azionariato, che avrebbero certamente danneggiato l’azienda. Quindi Geronzi la costringe ad andarsene perché teme che sia lei a voler far fuori lui? Non è il tipo da temere queste cose. Credo che la ragione fosse dovuta al fatto che stava già pensando all’aggregazione e voleva avere la discrezionalità al 100 per cento. Era evidente che in questo piano la mia presenza non era funzionale all’obiettivo. Capitalia non c’è più, Geronzi chiede pieni poteri, come avevano Cuccia e Maranghi. Secondo lei vuol fare a Milano, con il blasone di Mediobanca, quello che faceva a Roma? Secondo me la questione di Mediobanca non è l’alternativa fra monistico o duale. Il ruolo storico di Mediobanca è quello di essere il contraltare della politica nel sistema, quindi il tutore del sistema privato italiano. Bisogna assicurare che Mediobanca sia effettivamente il contraltare della politica, cioè indipendente. Quando è uscito si è portato a casa 30 milioni, è il prezzo per tenere la bocca chiusa? stato semplicemente applicato il contratto stipulato 6 anni prima, senza altre clausole. Il contratto diceva che in caso non fossi stato confermato nel mio ruolo, non per mia mancanza, avrei avuto un certo numero di annualità. Se però si preferisce costruire l’immagine di una persona attaccata al denaro, bisogna evitare di ricordare che quando sono arrivato ho rinunciato al 70% del mio stipendio e, qualche anno dopo, a un intero piano di stock option per darlo al mio management. Avevo anche rinunciato, a febbraio, alla prima richiesta di dimissioni, a una cifra più alta per continuare insieme a tanti altri l’esperienza di Capitalia. Come li utilizza tutti questi soldi? Li ho reinvestiti per creare una nuova azienda, insieme a gran parte del management di Capitalia e ad altri professionisti che condividono gli stessi valori. La sua nuova vita si chiama Sator, che si occupa di asset management, private equity e real estate. Come va? Sono molto soddisfatto. Stando fuori da certe logiche, abbiamo creato un’azienda che è stata valutata 250 milioni di euro. La filosofia comune delle diverse attività è investire, gestire e creare valore in aziende, con gli stessi principi che abbiamo sempre utilizzato. Abbiamo raggiunto gli obiettivi annunciati e collocato una quota del capitale, in un contesto di mercato molto difficile e senza il supporto di una parte del sistema, che anzi avrebbe preferito che non ce la facessimo. Si riferisce sempre a Geronzi? Sono certo che non è responsabile del mio marketing. Quali sono gli investitori? Molti fondi pensione, fondazioni e investitori professionali italiani e internazionali. Poi ci sono i soci, italiani e internazionali, che ci danno un supporto importante. Sono soddisfatto. Le è stato proposto di entrare in Alitalia? Sì, qualche mese fa mi è stata fatta una suggestione, nulla di più. Dicono tutti che, per un imprenditore o una banca, entrare nella partita Alitalia sia un affare... Tenuto conto che la nuova società non si accolla i debiti, può essere conveniente. Non è molto usuale separare il pregresso, ma dipende se la bad company sarà in grado di ripianarlo. Il pregresso di Air One sono 600 milioni di debiti che invece si accolla la Newco. Un affare per Toto? Siccome viene conferito anche l’attivo, se la valutazione è corretta non c’è nessun problema. Lei ha guardato i conti di Air One, come sono? Ricade nella vecchia regola sulle informazioni... quello che conta, per il bene del Paese, è il rilancio di Alitalia… Lei conosce bene i mercati esteri, che differenza c’è tra noi e loro? Diciamo così: il sistema estero cerca buoni investimenti, il sistema italiano cerca buoni affari. Mi spiego: l’investimento si ha quando c’è un rischio molto importante e i ritorni sono legati a un medio-lungo periodo, l’affare è subito conveniente con pochi rischi. perché abbiamo una generazione di imprenditori vecchia? Io devo tutto a persone più anziane, penso a Cuccia, che non ha mai visto nei giovani una minaccia. In tutti i sistemi ci sono dei giovani che hanno ruoli di responsabilità e crescono sotto l’egida di persone con grande esperienza. Oggi invece c’è un forte antagonismo generazionale, che racchiude un concetto miope di preservazione del potere. Il potere di un grande vecchio è quello di creare una scuola, crescere validi professionisti che seguono tante strade diverse. Da noi quando le strade si dividono si usa la tecnica del discredito. forse per via di questa osmosi tra classe imprenditoriale e classe politica? Direi che da noi eccelle il desiderio di compiacere la politica, o ai vari poteri, pensando di averne dei ritorni. Succede ovunque, ma altrove la referenza politica è confinata al suo livello di competenza. Quando diventa l’unico driver non ci sono più i requisiti necessari per crescere. Quello che manca in Italia, e vale tanto per i giovani quanto per i più anziani, è un concetto di accountability, ovvero quello che è successo negli ultimi anni viene dimenticato, si riparte sempre da zero. Che cosa non si dovrebbe dimenticare? La meritocrazia ha bisogno di memoria. E in questo devo dire che la stampa è un alleato molto forte. Ci sono periodi di grandi attacchi a un imprenditore, che d’improvviso, il giorno dopo, è dipinto come un ottimo imprenditore e si ricomincia come se nulla fosse successo. E anche l’incentivo per il giovane a far bene, quando questo bene non è riconosciuto, viene meno. Con un quadro del genere, in un periodo di crisi mondiale, come se ne esce? Penso che il problema non sia l’entità della crisi, ma la sua natura. Oggi le economie emergenti, ormai consolidate e competitive, i fondi sovrani in grado di investire grandi capitali su lungo periodo con processi decisionali all’altezza dei migliori modelli occidentali, stanno ridisegnando il sistema. Non è detto che sia peggio, anzi, potrebbe essere un’opportunità. Ma in questa competizione ad accaparrarsi i fattori produttivi per posizionarsi in un nuovo equilibrio duraturo, l’Italia, al contrario di altri Paesi, si dilania in conflittualità interne che interessano solo i protagonisti. Si parla di operazioni di sistema in contrapposizione a quelle di mercato. Per crescere le due forme dovrebbero coincidere. Tornando a lei, sognava per sé questo futuro quando era uno studente? molto meglio di quello che mi aspettavo, perché ho il privilegio di fare quello che mi piace con chi mi piace, questa è una soddisfazione che mi ripaga di tutti gli episodi negativi per i quali ho profondamente sofferto. Milena Gabanelli