Luigi Zingales, Il Sole-24 Ore 9/9/2008, pagina 1., 9 settembre 2008
Il Sole-24 Ore, martedì 9 settembre Che anche i liberisti (come me) debbano rallegrarsi perché il Governo americano ha annunciato la maggiore nazionalizzazione che la storia ricordi è un triste segnale di quanto deteriorata sia la situazione finanziaria negli Stati Uniti e di quanti errori siano stati commessi negli anni passati
Il Sole-24 Ore, martedì 9 settembre Che anche i liberisti (come me) debbano rallegrarsi perché il Governo americano ha annunciato la maggiore nazionalizzazione che la storia ricordi è un triste segnale di quanto deteriorata sia la situazione finanziaria negli Stati Uniti e di quanti errori siano stati commessi negli anni passati. Il Tesoro americano ha deciso, domenica scorsa, di assumere il controllo dei due giganti dei mutui: Fannie Mae e Freddie Mac, promettendo complessivamente 200 miliardi di dollari, pari al costo di due anni di guerra in Iraq. Per capire quale sia la tragica sequenza di errori è necessario ripercorrere la storia di queste imprese. Fannie nacque durante il New Deal rooseveltiano con lo scopo di fornire liquidità al mercato dei mutui. Molto prima che venisse di moda la cartolarizzazione, Fannie comparava mutui dalle banche, fornendo loro la liquidità per effettuare nuovi prestiti. Con la diffusione delle cartolarizzazioni, Fannie ha poi assunto sempre più il ruolo di assicuratore di mutui. Nata inizialmente come un’agenzia governativa, fu trasformata in un’impresa privata nel 1968. Per limitarne il potere di mercato, nel 1970 fu creata una società analoga: Freddie Mac. Insieme hanno ora passività per 5.400 miliardi di dollari e garantiscono tre quarti dei mutui americani. Il primo grosso errore fu fatto all’atto della trasformazione di Fannie in impresa privata. Decisa per sottrarre le passività dal bilancio federale, questa privatizzazione fu più un’operazione di finanza creativa, che un trasferimento del rischio e del controllo in mani private. La garanzia governativa sui debiti, esistente quando era un’agenzia federale, venne mantenuta implicitamente anche quando il controllo operativo fu assunto da un management nominato dagli azionisti. Venne così a crearsi una spiacevole situazione i cui i profitti erano privati, ma le perdite a carico del contribuente. Nei quarant’anni che seguirono, nessuno ebbe il coraggio di affrontare la situazione: non Fannie Mae, contenta di potersi finanziare a basso costo a spese del contribuente, e non i vari governi, preoccupati del potere politico di questo colosso. E il secondo grosso errore fu proprio quello di lasciare crescere troppo sia Fannie che Freddie. Se la situazione di duopolio mitigava un po’ il potere di queste istituzioni sul mercato dei mutui, non ne limitava affatto il potere politico. Una delle prime regole che ogni politico imparava non appena metteva piede a Washington era che avrebbe avuto vita breve se si metteva contro Fannie e Freddie. In una democrazia quello che limita lo strapotere politico di alcuni interessi economici è la pressione di interessi contrastanti. Ma la maggior parte del sistema finanziario beneficiava dell’assicurazione sui mutui fornita da Fannie e Freddie. A perderci era solo il contribuente, che pagava per questa assicurazione implicita (purtroppo l’interesse collettivo è sempre la lobby meno potente). Grazie alla loro influenza politica, Fannie e Freddie di fatto si liberarono di qualsiasi supervisione governativa. E grazie alla loro dimensione la garanzia implicita divenne ogni giorno più forte: erano troppo grandi per fallire. Il resto è storia recente. La crisi immobiliare americana ha causato forti perdite a entrambi questi colossi, mettendone in dubbio la solvibilità. Al tempo stesso ha reso la loro sopravvivenza ancora più importante. Senza l’assicurazione fornita da Freddie e Fannie, il mercato dei mutui si fermerebbe, con ripercussioni colossali sull’economia americana e mondiale. Il Governo non aveva altra scelta che intervenire, trasformando la garanzia da implicita ad esplicita. Lo ha fatto a luglio. Ma una garanzia esplicita senza controllo era un assegno in bianco. La scelta di assumere il controllo diretto di Fannie e Freddie, azzerando o quasi il valore delle azioni esistenti, era a questo punto l’unica strada percorribile. Il Tesoro americano ha finalmente preso l’unica decisione ragionevole. Il compito più difficile, ora, è come gestire e ridimensionare queste imprese. Per evitare gli errori passati bisogna seguire due principi. Primo: nel modo finanziario "grande è brutto" o meglio pericoloso. Non tanto per inefficienze economiche, ma per gli effetti politici. Un’impresa troppo grande diventa politicamente troppo influente. E questa influenza diventa irresistibile quando un’impresa raggiunge una dimensione tale da non poter fallire. Bisogna quindi imporre rigidi limiti alla concentrazione, anche quando questo può avere dei costi in termini di riduzione delle economie di scala. Secondo: se un’impresa non può fallire deve essere fortemente regolata o meglio posseduta dallo Stato. Il fallimento è alla base della disciplina di mercato. Senza di esso, non esiste disciplina e l’economia di mercato si trasforma in una frode al contribuente, che assume le perdite ma non beneficia dei profitti. E l’Italia? Per fortuna la situazione immobiliare non è minimamente comparabile a quella degli Stati Uniti e non c’è una tradizione di agenzie governative che assicurano i mutui. Ma questi due principi dovrebbero essere tenuti presenti. Il forte aumento della concentrazione e la tendenza nazionale al salvataggio di qualsiasi impresa ci espone comunque al rischio Fannie Mae in molti settori, a cominciare da quello bancario. Luigi Zingales