Jacopo Iacoboni, La Stampa 7/9/2008, pagina 5, 7 settembre 2008
La Stampa, domenica 7 settembre Adesso è tutto così lontano e sbiadito che è difficile stabilire quando è cominciato, e quali sono stati i segni
La Stampa, domenica 7 settembre Adesso è tutto così lontano e sbiadito che è difficile stabilire quando è cominciato, e quali sono stati i segni. La canotta di Umberto Bossi ad Arcore. C’è chi dice il proclama del pool di Milano, estate accaldata del ”94. Ovviamente, movenze e sostanza antipolitica del primo Cavaliere (anche dell’ultimo, però). Poi quell’onda che scende e che sale ha vissuto fasi alterne e adesso è tornata a mostrarsi cavallone. Il nuovo populismo. Bandane, canotte, trattori. Sciocchezze, interessi, iperboli. E voti. Ma, dentro, fenomeni molto diversi. Sui tavoli del Pd spunta un sondaggio che dà la Lega al 10 per cento e l’Italia dei Valori oltre il 9, col Pd sotto la soglia minima del 30 per cento. Tonino Di Pietro si scalda se lo si chiama populismo, «io posso anche avere la camicia gualcita, o passare l’estate sul trattore anziché in Sardegna, ma le cose che diciamo noi sono vere o false? E’ vero o falso il conflitto d’interessi del premier? I conti pubblici che vengono truccati? Le leggi per l’impunità? E’ vero o falso che il Cavaliere è un furbacchione e non uno statista? Mi rispondono dicendo che non so stare a tavola; ma qui mica stiamo parlando di posate!». Sostiene Nando Pagnoncelli che l’ondata populista è un fiume carsico in Italia, ma in questa fase torna prepotente per due questioni inevase legate al «grande scontento»: «Una gigantesca questione salariale, cioè la perdita del potere d’acquisto, con il sostanziale impoverimento di vaste sacche di popolazione; e una questione fiscale non certo risolta dalla cancellazione dell’Ici». Due circostanze politiche e sociali che, insieme, possono far decollare rispettivamente Tonino e Umberto. «A noi non risultano per ora risalite nel consenso dell’area dell’ex sinistra arcobaleno, mentre il consenso per Di Pietro si sta impennando anche nelle regioni rosse, e poi in Molise e Abruzzo in forme impressionanti». Guarda caso, là dove si voterà prima ancora delle europee 2009. L’ex pm ne è fiero: «Ho delle ricerche che in Molise danno noi al 30, e il Pd molto, molto più indietro». Sotto il 20, nientemeno. E’ una regione marginale e un caso-limite, o un’istantanea sull’Italia del futuro prossimo? Di Pietro preferirebbe correre da solo alle europee, senza apparentarsi con la lista micromega della società civile: «Il contenitore c’è già, l’Italia dei Valori al 70 per cento è fatta da uomini esterni, ha già candidato indipendenti come Beppe Giulietti o Pancho Pardi. Ed è un partito apertissimo a tutti, siamo pronti a farlo con Flores; tra l’altro non credo che Flores si voglia davvero mettere a fare liste. Perciò dico: usiamo il contenitore che c’è». Ma ha anche l’onestà di scorgere le affinità col Carroccio: «Siamo due Leghe, ciascuno a modo suo. Bossi una Lega del territorio, noi una Lega dei Valori, diffusa più a macchia di leopardo, ma ovunque. E attiriamo anche gente di destra. Siamo i due veri partito del dopo-Muro di Berlino». Sempre che si capisca, è un suggerimento di Pagnoncelli, che «la Lega non è più il partito della paura, ma quello più vicino fisicamente al cittadino». Oppure, l’idea è di Ilvo Diamanti, che «non è questione di populismo, è che l’Italia è sempre più, politicamente, il paese degli outsider, che premia per principio chi sta al’opposizione, la Lega nella maggioranza, Di Pietro nel centrosinistra». L’Italia dei rompiscatole, prima che dei canottieri, dei machi in trattore e, naturalmente, dei bandanati. Già, rompere o no le scatole. Nel Pd la vera dinamica non è (solo) tra veltroniani e dalemiani, quanto - il suggerimento è di Giorgio Tonini - «su come fare l’opposizione, cioè avanzando sempre delle nostre proposte oppure marcando in forma netta la nostra alterità con una serie di no». Con un’aggravante «che va oltre certe piccinerie del gruppo dirigente»: le due idee non corrispondono del tutto a due fazioni, cioè sono mobili. «Sul federalismo fiscale Bersani è stato capofila degli intransigenti, mentre uno come Chiamparino era per concedere un’apertura di credito. Sulla giustizia i più secchi nel dire no sono personaggi come la Finocchiaro». Anna che ancora ieri pronunciava parole come «i giudici non vanno lasciati isolati», tesi non così distante (salvo i modi) dal popolo di piazza Navona. E’ così che un uomo conosciuto un tempo come il re dei riformisti, Pier Luigi Bersani, ora attacca in stile-Tonino: «Una come la Gelmini, diventata avvocato con l’esame in Calabria, non può fare il ministro». «Il dilemma - confida - non è dialogo-non dialogo, ma accordo o disaccordo: se siamo in accordo su un tema, bene, ma se non lo siamo, non dobbiamo aver paura di dirlo!». Specie temendo ulteriori emorragie al nord. Musica per le orecchie dell’Italia dei Valori? Certo gli stili restano diversi; ma accanto al problema eterno di non morire tutti democristiani, c’è ormai chi comincia a temere che il problema 2009 sarà non morire dipietrizzati. Magari con una canotta di seta. Jacopo Iacoboni