Michele Farina, Corriere della Sera 9/9/2008, pagina 17, 9 settembre 2008
Corriere della Sera, martedì 9 settembre Trenta biglietti premio sola andata. Destinazione paradiso boreale: Islanda
Corriere della Sera, martedì 9 settembre Trenta biglietti premio sola andata. Destinazione paradiso boreale: Islanda. Trenta donne e bambini che hanno vissuto per due anni tra i serpenti e gli scorpioni, in un corridoio di deserto che va dal confine iracheno a quello siriano, ieri hanno finalmente lasciato quel maledetto microscopico inferno diretti a Nord. Addio Al Tanf, un posto che suona male in italiano e vederlo è peggio. Il nulla fatto prigione. Estate 50 gradi all’ombra (a trovarla), inverno rigido. Famiglie intere (insegnanti, commercianti, media borghesia) costretti a languire in una linguina di terra ai bordi di una strada, primo ospedale a 400 chilometri. E cara grazia che l’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, ci ha messo subito una pezza tirando su una tendopoli in cui sopravvivere. Finalmente via. In un posto che forse più lontano (dal loro mondo) non si può. Lassù sull’isola dei ghiacci, luogo di culto dei diritti umani. Sbarcheranno a finis terrae, loro che sono partiti dalla terra di nessuno, quel limbo geografico e giuridico tra due posti di frontiera dove 300 palestinesi in fuga dall’Iraq si impantanarono nel 2005 senza venirne più fuori. Damasco (dopo aver ospitato 1,5 milioni di profughi) non ha voluto accoglierne un’altra manciata. Il motivo? In quanto palestinesi, erano pedine utili nell’infinita partita tra arabi e Israele. E se avanti non si andava, tornare a Bagdad avrebbe voluto dire un’incerta odissea burocratica (i 34 mila palestinesi che vivevano in Iraq prima della guerra non ebbero mai passaporto) e una probabile brutta fine: una razione doppia di pulizia etnica, tartassati sia dai sunniti che dagli sciiti per il loro passato di «privilegiati» (in quanto palestinesi il regime fornì loro qualche casa ma soprattutto un posto di riguardo nei discorsi di Saddam Hussein). Così sono rimasti lì, in mezzo, ad aspettare, ad ammalarsi d’asma. Molte vedove con bambini, qualche vecchio ostinato che coltiva verdura impossibile all’ombra del muro con il filo spinato. L’Unhcr ha fatto quanto ha potuto, aprendo anche un tendone scuola per 90 bambini (con 7 insegnanti reclutati tra i profughi). Ma le condizioni di questa gente non sono migliorate di molto. Anzi, la terra di nessuno è diventata sovraffollata: da 300 a 900 rifugiati. Che hanno preferito restare arenati tra Al Tanf e Al Waleed (l’altro campo a ridosso del confine) anche quando in Iraq nell’autunno scorso la situazione è cominciata a migliorare. Non sono gli unici. Delle oltre 151 mila famiglie cacciate dalle loro case a Bagdad solo 7mila vi hanno fatto ritorno secondo i dati del governo. La gente ha ancora paura e in molti quartieri la pulizia etnica è stata efficace e duratura (abitazioni sunnite occupate da sciiti e viceversa). Se non torna chi ha alle spalle una comunità forte, figuratevi i palestinesi. In Iraq ne sono rimaste poche migliaia. Pochi pensano di tornare. I più sfortunati sono quelli che sono partiti senza mai arrivare, gli insabbiati di Al Tanf. Ma anche per loro qualcosa si muove. Piano piano, la tela dell’Onu ha cominciato a dare frutti bypassando la giungla dei conflitti intrecciati (compresa la questione palestinese). Ad aprile i primi 39 profughi hanno ottenuto asilo all’altro capo del mondo, in Cile, dopo aver rifiutato una sistemazione in un posticino si fa per dire tranquillo e al riparo dalle guerre: il Sudan. In confronto l’Islanda e la Svezia (dove dovrebbero presto trovare casa altri 155) sono davvero il paradiso anche per chi ama il sole e non ha mai visto la neve. Nel deserto a ridosso del confine siriano-iracheno restano ancora 2.300 persone. L’Unhcr ha sollecitato la comunità internazionale «con scarsi risultati». Trecento palestinesi sono stati accolti da Brasile e Cile. L’Italia? Nessuna offerta diretta per i dannati di Al Tanf. Nel 2007 hanno fatto domanda di asilo nel nostro Paese 189 iracheni, con un tasso di riconoscimento dell’85% (52% status di rifugiato e 33% come soggetto a protezione umanitaria). Più o meno il tasso di accettazione della Svezia (82%). Con la differenza che le richieste per la Svezia sono state quasi 19 mila. E che i dannati di Al Tanf non hanno passaporto. E chiedere asilo dalla terra di nessuno è più difficile che catturare uno scorpione prendendolo per la coda. Michele Farina