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 2008  settembre 09 Martedì calendario

la Repubblica, martedì 9 settembre Buio. «Questo film è una spada nel cuore». C´è un silenzio spaventoso, dentro il cinema che sembra un cimitero, durante la proiezione che pare un altro funerale

la Repubblica, martedì 9 settembre Buio. «Questo film è una spada nel cuore». C´è un silenzio spaventoso, dentro il cinema che sembra un cimitero, durante la proiezione che pare un altro funerale. Rosetta Marzo nel fuoco della Thyssen ha perso il marito, Rocco. Quando esce in strada, per cercare un po´ di luce e ritrovare il respiro, si appoggia alla cancellata e si piega in due dal dolore, accanto al figlio Alessandro. «Troppo duro, troppo. Come si fa a sentire che loro non avevano più vestiti addosso, non avevano più la pelle, non avevano più la carne?» Il giorno del dolore che non finisce è tutto dentro una sala semivuota, quella dei "Fratelli Marx" di corso Belgio. I venti parenti dei sette morti si siedono vicini, perché insieme forse si soffre meglio. Ma non sette, sei: la mamma e la sorella di Giuseppe Demasi, l´ultimo a morire, non ce la fanno proprio a entrare in quell´obitorio con le poltrone di panno. Laura ha ventidue anni, è piccola, una bambina. Anche più inerme di lei, sua madre. «Non sono stata capace di ascoltare, di guardare. Hanno tolto la voce di mio figlio che grida che non vuole morire e chiede aiuto, di questo ringrazio il regista. Sono venuta qui con Laura per essere proprio sicura che avessero levato quei momenti, però la telefonata al 118 resta: potevano almeno avvertirci, prima». Mimmo Colapresti l´aveva appena incontrata, per spiegare motivi e ragioni. Gli altri arrivano in silenzio, e così resteranno per tutta la proiezione privata (il film, presentato a Venezia, sarà nelle sale venerdì). Madri, padri, mogli, sorelle, figli, zii, cugini. Una minuscola comunità dolente, che però qui rappresenta milioni di persone e migliaia di morti sul lavoro, di lavoro. Nessuno commenta quando partono e si sviluppano le immagini, le crude interviste di Calopresti che entrerà in sala a cinque minuti dalla fine. Gli stringe la mano solo Gigi Santino, operaio, fratello di Bruno, infatti lui avrebbe lasciato anche il terribile urlo: «Così tutti avrebbero capito in quale inferno dovevamo lavorare». Sale un sussulto di lacrime quando Rosina Demasi, dallo schermo, racconta il sogno di Giuseppe: voleva fare l´attore. L´altro pianto, un sottofondo continuo e inconsolabile, appartiene a Tina Ferrara, la moglie di Antonio Schiavone che morì subito, il primo giorno, lasciando lei e tre bambini piccoli. Piange, Tina, e alla fine scappa in bagno, poi esce dal retro. Anche il padre di Rosario Rodinò non regge, e se ne va prima. Rimangono gli altri parenti di Rosario, la zia porta al collo un ciondolo con il nome del nipote e dice: «Il nostro dolore è grande, i morti non ritornano e le aziende pensano solo al guadagno». Suo marito si appoggia alla portiera dell´auto e sembra parlare nel vuoto: «Abbiamo appena visto quello che nessuno dovrebbe vedere, ma l´Italia ha una Thyssen al giorno, si muore in fabbrica e sulle strade, la sicurezza non esiste per nessuno, noi non possiamo fare niente, i politici e gli industriali sì, l´unica speranza è che questa pellicola faccia riflettere». Il regista e i suoi assistenti hanno tagliato, cucito, ripulito. Nel finale del film La fabbrica dei tedeschi non si sente più il grido di Giuseppe Demasi che per due volte, nitidamente, ripete "non voglio morire, aiuto!", però rimangono le altre voci terribili, il senso della morte come presenza fisica, come strazio di corpi, la centralinista del 118 che domanda "ma sono bruciati o carbonizzati?" e l´operaio che spiega come i suoi amici stiano morendo, lì, in diretta. «Abbiamo messo in conto il dolore che il film avrebbe provocato», dice Beppe Calopresti, produttore e fratello del regista, mentre una giovane collaboratrice cerca in ogni modo di far entrare in sala la signora Demasi, «vedrà, signora, questo film le piacerà, anch´io ho perso mia madre, capisco il suo dolore». Una scena molto triste, forse sarebbe stato meglio tagliare anche questa. Durante la proiezione, i parenti hanno un altro momento di fastidio quando sullo schermo compare Antonio Boccuzzi, l´operaio scampato al rogo che ha poi fatto carriera, diventando deputato. Ora è lì, elegante, con una vezzosa sciarpa, e ripercorre i momenti dell´apocalisse. Si capisce che qualcuno non approva. Un´altra presenza che torna più volte è quella di Mimmo Calopresti, che entra in moltissime inquadrature e nel controcampo di parecchie interviste. Coprotagonista, si direbbe. Ma stavolta non parla: «Chiedete ai parenti, oggi è la loro giornata» si limita a borbottare, non riuscendo a nascondere un certo fastidio per la piega che ha preso la faccenda, anche se alla fine tutto torna in pubblicità. «Avrei voluto che il film parlasse più di sicurezza in fabbrica», commenta la cugina di Rosario Rodinò. «Quel tema viene trattato, ma poco». Ora i parenti stanno uscendo dal cinema, sono maschere nella luce fortissima del pomeriggio. «Ma come volete che vada? Male, va» risponde Sabina Laurino, la moglie di Angelo, a un´addetta alla produzione che le aveva posto la sciocca domanda. Anche fuori da questo strano cimitero il dolore non si placa. «Speriamo che almeno serva a qualcosa, alla lunga. Speriamo che colpisca la gente». La mamma di Roberto Scola prova a farsene una ragione: «Si sentono ancora le voci dei ragazzi che muoiono, però non si capisce di chi sono». Fuori, in strada, la più sola rimane Rosina Demasi. «Ho pianto tutto il tempo, lì sotto, con mia figlia. Mi hanno detto che il film è bello, dovrò provare a vederlo, forse si capirà quanto hanno tardato i soccorsi. Quello che però m´interessa, adesso, è che spariscano da Internet le grida di mio figlio: io, quella frase lì non voglio sentirla mai più». Buio. Maurizio Crosetti