Eduardo Lago, la Repubblica 9/9/2008, pagina 39, 9 settembre 2008
la Repubblica, martedì 9 settembre Virtuoso del legal thriller, un genere indissolubilmente legato al suo nome, John Grisham (nato a Jonesboro, Arkansas, Usa, nel 1955) è autore di una ventina di titoli
la Repubblica, martedì 9 settembre Virtuoso del legal thriller, un genere indissolubilmente legato al suo nome, John Grisham (nato a Jonesboro, Arkansas, Usa, nel 1955) è autore di una ventina di titoli. Nel corso degli anni ha venduto più di 250 milioni di copie, guadagnando miliardi di dollari: un fenomeno di marketing studiato da molti, nel tentativo di scoprire il segreto del suo successo, che però continua a sfuggire agli analisti dell´editoria e allo stesso autore. Figlio di un operaio edile che conduceva una vita da nomade, John Grisham si è laureato in Legge e ha esercitato la professione di avvocato penalista, grazie alla quale ha potuto acquisire di prima mano una profonda conoscenza del difficile mondo dei tribunali e dei processi. A trentacinque anni tenta una prima incursione nel campo della narrativa, senza il proposito di lanciarsi in una carriera letteraria. In quel periodo i suoi impegni professionali e quelli legati alla sua attività politica gli impongono una settimana lavorativa di settanta ore, che non lascia spazio ad altre attività. Ma una scena alla quale assiste durante un processo penale lo colpisce profondamente, tanto che per esorcizzarla decide di scrivere un libro. Il libro che cambia il corso della sua vita. Prima che Grisham abbia consegnato a un editore il suo secondo romanzo, Il Socio, qualcuno lo rifila sottobanco a un produttore di Hollywood, che immediatamente ne intuisce le possibilità e offre la somma di 600.00 dollari per i diritti cinematografici. Quando la notizia raggiunge i circuiti editoriali, John Grisham riceve un´offerta milionaria, e il Il Socio non tarda a diventare un mega-bestseller. Corre l´anno 1991. Da allora i romanzi di Grisham vendono in media dieci milioni di copie ciascuno, a un ritmo di almeno un libro all´anno. Molti - e non a caso - diventano soggetti di film diretti da registi del calibro di Sidney Pollack, Alan J. Pakula o Francis Ford Coppola, un fan dell´autore. L´intervista ha luogo nell´ufficio di Grisham, al centro di Charlottesville, una cittadina della Virginia nei cui dintorni lo scrittore conduce una vita molto ritirata. Le sue giornate, programmate al millimetro, sono interamente al servizio della produzione, pubblicazione e marketing dei suoi inesorabili bestseller. John Grisham arriva all´appuntamento in perfetto orario, vestito in maniera impeccabile. un uomo dallo sguardo limpido, che trasmette un´immediata sensazione di semplicità e rettitudine. E perché nessuno possa sentirsi turlupinato, afferma senza equivoci che i suoi libri non sono letteratura, ma intrattenimento di qualità. Qual è il tratto saliente del suo più recente romanzo, The appeal (ndr Ultima sentenza, edito in Italia da Mondadori)? «Di tutti i libri che ho scritto è quello più apertamente politico. Mi sono impegnato a fondo su un tema che non è stato sufficientemente esplorato: quello delle elezioni delle cariche giudiziarie, un tema rovente negli Usa. Queste votazioni, che hanno luogo ogni due anni, sono soggette a ogni sorta di manipolazioni da parte dei politici e delle grandi corporation. La corruzione in questo campo dilaga: un fenomeno che si è acutizzato in questi ultimi dieci anni». Qual è il processo di gestazione di un romanzo di John Grisham? «Dal giorno in cui mi viene l´idea di un libro incomincio a organizzare il materiale, per cui quando mi accingo a scrivere le prime parole del testo so già perfettamente come si svolgerà la vicenda. Nel periodo successivo, che può durare anche vari mesi, mi documento a fondo sul tema; e infine arriva il momento di mettermi a scrivere. Questa fase dura da quattro a sei mesi. I preliminari possono variare, ma il grosso del testo, lo butto giù in 90 giorni circa. Cronologicamente, il piano è sempre lo stesso, e segue da vicino il corso delle stagioni. Sul finire della primavera ho un´idea abbastanza chiara di come si svolgerà la trama, e a quel punto inizio a scrivere: dapprima a un ritmo abbastanza lento - una pagina al giorno, o magari due; poi vado accelerando fino ad arrivare a tre o quattro pagine al giorno. Nel pieno dell´estate passo a una velocità di crociera, e dedico più ore al lavoro, arrivando a una media di 5-7 pagine al giorno. Mantengo questo ritmo per tutto il mese d´agosto, fino alla parola fine. A metà settembre avrò terminato il romanzo che sto scrivendo ora. Una volta ripulito il testo lo lascio riposare, e all´inizio di dicembre, prima di consegnarlo all´editore per la stampa, gli do un´ultima occhiata. Il 27 gennaio uscirà in tutte le librerie del Paese, e la sera stessa andrò a cena con l´editore e col mio agente per fissare la data della pubblicazione del libro successivo, che secondo i miei calcoli dovrebbe uscire nel febbraio 2010. E´ un rituale che non manca mai di ripetersi». Quindi, in questo momento lei si trova nella fase cruciale della scrittura. Mi può descrivere la sua giornata? «Mi alzo prestissimo, alle sei. Prendo un caffè molto carico e mi chiudo nel mio studio. Vivo in campagna, 15 miglia a Sud di Charlottesville, e nel mio ufficio non ho né il telefono né il fax, e neppure Internet: nulla, silenzio totale. Alle sette del mattino mi metto a scrivere a ritmo sostenuto. Ho imparato con gli anni che per me le ore più proficue sono quelle del mattino, tra le sette e le dieci; perciò cerco di approfittarne evitando ogni interruzione. Dopo le dieci la mia mente incomincia a divagare, e alle undici vado avanti praticamente senza più carburante. Solo di rado una sessione di lavoro si prolunga fino a mezzogiorno. Detto così, non sembra che la mia giornata lavorativa sia molto dura; ma di fatto scrivere ininterrottamente per quattro o cinque ore è estenuante». Non si prende mai una pausa di respiro? Si sente sotto pressione? «Non mi posso permettere di fermarmi: tutto andrebbe immediatamente a rotoli. Nel mondo della cultura popolare, così come nel business dell´intrattenimento - che si tratti di cinema, di musica o di sport - tutto funziona per cicli. Non subisco una vera pressione contrattuale, con l´obbligo di produrre con questi ritmi. Me li sono imposti io stesso, per tre buone ragioni: innanzitutto, se non scrivessi non saprei come passare il tempo; inoltre scrivere mi diverte immensamente; e infine i miei libri continuano ad essere immensamente popolari. Se per una qualche ragione le cose dovessero cambiare, smetterei subito di scrivere». Come ci si sente sapendo di avere tanti milioni di lettori in tutto il mondo? «Benché sia passato tanto tempo, non mi sono ancora ripreso dallo stupore. Mi sembra incredibile sapere fin d´ora che il libro che sto scrivendo nell´isolamento del mio studio sarà letto da milioni di persone di ogni età, sparse nei cinque continenti. Li ho sempre presenti, i miei lettori: sono la ragione di tutto questo. E sono incredibilmente fedeli. Ma in qualche modo le loro esigenze mi condizionano. A volte mi viene voglia di sperimentare un altro tipo di scrittura, ma rischio di deludere il mio pubblico. Ho pubblicato molti tipi di libri, compresa anche una storia farsesca sul calcio in Italia; e tutti hanno avuto buoni risultati di vendita, dato che c´era il mio nome in copertina. Ma queste digressioni non hanno mai veramente convinto i miei lettori». Come è iniziata la pioggia dei suoi bestseller? «E´ stato qualcosa di totalmente insperato. Il mio primo libro, Il momento di uccidere, è stato semplicemente ignorato. Ma due anni dopo, nel 1991, quando ho pubblicato Il Socio, le vendite hanno subito raggiunto livelli impressionanti. Ho avuto anche fortuna, dato che in quel periodo il mercato editoriale era alla ricerca di nuovi talenti. Stephen King era in auge da ormai quindici anni, Tom Clancy da dieci, e altri autori di bestseller straordinari quali Michael Crichton e Robert Ludlum erano da parecchio tempo sulla cresta dell´onda. Per l´industria editoriale è fondamentale scoprire ogni due o tre anni una nuova superstar. Nei primi anni Novanta erano tutti - dagli editori ai librai e agli stessi lettori - alla ricerca di un nome nuovo, per cui quando uscì Il socio il momento non avrebbe potuto essere più propizio. Oggi, vedendo le cose in prospettiva, mi rendo conto che la chiave è stata la mia ambizione, unita alla disciplina necessaria per produrre un libro all´anno. A questo riguardo Stephen King, che da parecchio tempo riesce a pubblicare anche due libri in un anno, ha fatto un´osservazione molto interessante: quando uno scrittore arriva a questo punto, i critici rinunciano a occuparsi di lui: è una grande vittoria. Quando l´autore rimane a tu per tu con i suoi lettori, la critica diventa irrilevante». Posso allontanarmi un attimo dai temi standard per chiederle di abbozzare un suo autoritratto? «In fondo sono rimasto quello che ero prima di iniziare la mia carriera di scrittore: un bravo ragazzo nato da una famiglia povera, cresciuto nel Mississippi, nel profondo Sud, che ha avuto una vita dura. In fatto di valori morali rimango molto conservatore, anche se politicamente e socialmente sono liberale e democratico. Ho le mie convinzioni religiose e sono tremendamente geloso della mia intimità. Non mi piacciono i cambiamenti. Sono felicemente sposato con la stessa donna da ventisette anni. Sono quello che si dice un uomo semplice». Non posso concludere quest´intervista senza farle una domanda: chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti? «Obama». Eduardo Lago