varie, 8 settembre 2008
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Savinio Ruggero
• Torino 22 dicembre 1934. Pittore. Figlio di Andrea De Chirico (noto con lo pseudonimo di Alberto Savinio) e dell’attrice Maria Morino. «[...] Niente a che fare con i colori laccati dello zio-De Chirico, suo magister di tinte, men che meno gli arsi colori-giocattolo del padre Savinio (inevitabile confronto, che giocoforza lo attanaglia). Ma c’è un bel ricordo di figlio: quando ”la sera, al buio, mi prendeva la tristezza che prende i bambini”, rassicurante papà Savinio accendeva la lampadina, da stanza, dell’Illuminismo. L’Illuminismo ariostesco di Ruggero è invece sempre costitutivamente vacillante, striato di buio, incerto, tartassato (’in effetti più dalla parte di Rousseau che non di Voltaire. Dalla parte del pathos, della nostalgia, dell’infinito”). Pericolosamente sporto sui dirupi frantumati del Romanticismo. Colore, dunque: ebbene qui, in questa mostra-choc, il colore si è come improvvisamente collassato, smesso. Savinio è giunto ad un paradossale bianco e nero, non punitivo, ma pulitivo (’gli artisti del Novecento volevano bonificare il suolo paludoso dell’arte ottocentesca. Un sogno di pulizia, di ordine”). A cui lui non sottostà ma di cui sente la torbida chiamata. Come un sacerdote ateo del segno, che graffia e scava (e sono pure molto interessanti le sue acquaforti, all’acqua di Rembrandt) Savinio depura, con la dura mina 5H, le sue larve di figure inconfondibili senza mai dimenticare la nera palude gonfia d’umori, da cui cercano di districarsi, petroliose, in una vera e propria caccia all’immagine. ”Mira al centro, per cerchi inanellati [...] vuol toccare il cuore della pittura»: proprio come Cartier-Bresson affermava dello scatto fotografico. Ed infatti, invece di somigliare alle scarnificate ombre di Giacometti, queste ultime opere, modellate nel gran vano di finestra del foglio, ampio come una vetrata, proprio col disegnatore accanito Cartier-Bresson paiono dialogare» (Marco Vallora, ”La Stampa” 8/9/2008).