varie, 8 settembre 2008
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DeMichelis Cesare
• Dolo (Venezia) 19 agosto 1943. Editore (Marsilio). Insegna all’Università di Padova. «Siamo nel febbraio 1961 a Venezia. Immaginate un gruppo di giovani appena laureati che mette su una piccola casa editrice per pubblicare qualche testo che contribuisca al rinnovamento del Paese, puntando soprattutto sull’architettura, il cinema, la filosofia, la psicologia. La minuscola impresa prende il nome dal filosofo ghibellino trecentesco Marsilio da Padova. Immaginate un ragazzino, matricola a Lettere, che si offre volontario per l’ufficio stampa. Il ragazzino si chiama Cesare De Michelis: ”Quando mi laureai con Vittore Branca, nel ”65, mio padre mi regalò delle azioni della Marsilio. Così, con mio fratello Gianni, entrammo tra i soci. Andai a insegnare a Messina, ma a distanza dirigevo la collana di saggi”. Quando torna a Padova, gli viene offerta la direzione della Marsilio. Toni Negri aveva lasciato da qualche anno, dopo aver fondato una collana di teoria politica. ”Mentre gli altri scappavano, io divenni un po’ il padrone”. Arrivano così i primi successi: nel ”71, Pinelli: un suicidio di Stato di Marco Sassano (20 mila copie) e nel ”73 la scandalosa inchiesta Sesso in confessionale (130 mila copie). Più che una boccata d’ossigeno. Con i debutti di Antonio Debenedetti, di Aldo Rosselli e di Nico Orengo si inaugura la lunga stagione della narrativa: ”Era una piccola collana firmata che piaceva ai critici”. Poi, nel ”74, la letteratura si apre dall’ambito sperimentale a territori più tradizionali, con un maggiore consenso di pubblico. Carla Cerati, con Un matrimonio perfetto, vende 50 mila copie: ”Non sono un gran progettista editoriale – ammette De Michelis – ma un uomo impegnato sul campo”. Alla fine degli Anni 70 è crisi, e De Michelis passa per qualche anno alla politica attiva nel Psi: ”La casa editrice venne amministrata da mia moglie, che sistemò i conti. Così, quando mi stufai della politica mi ritrovai un’azienda risanata”. Ritorna la narrativa: Tani, Neirotti, Cappelli e soprattutto Susanna Tamaro. Tutti italiani. Il paradosso è che oggi il successo maggiore ha un nome svedese, quello di Stieg Larsson, che De Michelis non ha mai conosciuto personalmente: siamo sulle 500 mila copie stampate. Fatto sta che anche i nemici gli riconoscono un fiuto di straordinario talent scout. Il guaio semmai è che molti giovani gli vengono portati via dai grandi editori. Nel 1989 arriva in casa editrice il manoscritto di un romanzo intitolato La dormeuse électronique. De Michelis lo pubblica con il titolo La testa tra le nuvole. L’autrice si chiama Susanna Tamaro. Nel ”91 escono i racconti di Per voce sola. ”Sono una sorta di fratello maggiore per i miei scrittori. Susanna era un ragazzetto con i capelli corti che praticava le arti marziali ed era perennemente sull’orlo di una crisi di nervi per la dose di rifiuti editoriali accumulata. Viveva con niente e cercammo di darle una mano. Per lanciarla feci un accordo con la società che gestiva i motel”. De Michelis ricorda una ragazzina ghiotta di cioccolata: ”A Trieste conobbi sua madre, una manager piena di grinta, che mi guardava come per dire bonariamente: ”Ma in che guai va a ficcarsi? Non vede che questa è una matta, una visionaria?’”. Altro che matta. Con il secondo libro, arriva il successo: ”Fellini mi telefonò a casa alle sette del mattino per dirmi il suo entusiasmo: tu non sai che hai tra le mani un capolavoro… Insisteva, pensando che non me ne rendessi conto. Fu lui a chiamare Lietta Tornabuoni e Natalia Aspesi perché inventassero il personaggio sui giornali”. A quel punto gli altri editori alzano le antenne: ”Fu un assalto e io cercai di trattenerla con i denti. Ebbi con lei litigi furibondi ma per misteriose vicende finì da un altro editore”. Va’ dove ti porta il cuore esce per la Baldini & Castoldi di Alessandro Dalai: ”Dissi che Dalai era la vergogna dell’editoria italiana, lui mi querelò, ma non fui condannato perché il fatto non costituisce reato. Ho poche antipatie ma durevoli e Dalai non l’ho mai salutato in vita mia”. De Michelis manda al Corriere una lettera, che ora definisce ”garibaldina e goliardica”. Si concludeva con un addio: ”Amara Tamaro, non t’amo più”. La Tamaro degli esordi? ”Non pigliava gli ascensori perché soffriva di claustrofobia. Una volta a Padova, dopo una presentazione, la libraia ci invitò a cena a casa sua: Susanna si fece le scale a piedi con il suo accompagnatore fino all’undicesimo piano. Arrivarono con la lingua di fuori. Scendendo a piedi, dopo cena, trovarono il portone chiuso a chiave e furono costretti a risalire e ridiscendere. Giocava molto da enfant terrible, cancellando ogni traccia di femminilità”. Un’altra scoperta fortunata è stata Margaret Mazzantini, nel 1994, con Il catino di zinco: ”Lessi su Sette un’intervista all’attrice, moglie di Castellitto, accompagnata da bellissima foto. Diceva che stava scrivendo un romanzo, allora presi il telefono e la chiamai: ”Sono il tuo editore’, le dissi. Dopo un anno arrivò il manoscritto. Fu un gran successo, sulle 100 mila copie. Pure lì c’era una nonna: era la mia rivincita contro la Tamaro”. Un’altra rottura: ”Un piccolo editore si fonda soprattutto sulle relazioni umane, che sono piene di passioni, di rabbie, di amori, di gelosie, di confidenze, di mangiate e di bevute. Margaret mi irritò per come andò via: di nascosto, senza il coraggio di dirmi che sarebbe passata alla Mondadori. Venni a saperlo da altri, mentre andavo a vedere un suo spettacolo teatrale. Donna dura e ambiziosa, detto senza malizia. A Roma conobbi suo padre, Carlo, il più lucido testimone dei ragazzi di Salò: ne nacque un’amicizia vera e divenne un mio autore”. Negli Anni 90, De Michelis raccoglie una suggestione poetica di Giovanni Raboni: ”Con Giovanni cominciai litigando, perché stroncò una mia iniziativa editoriale: gli risposi sull’Europeo. Anni dopo, quando lo conobbi capii subito che Raboni considerava quello scontro, per me così acceso, come una sciocchezza. Mi propose di avviare una collana di poesia”. Escono Held, Gramigna, Pagliarani, De Signoribus, Ballerini, Valduga eccetera. ”A un certo punto disse: mi sono stufato, e chiudemmo. Raboni era un uomo di una dolcezza umana straordinaria, ma aveva anche le sue vaghezze: con lui era difficile stringere una rapporto professionale. Era come se fosse un po’ prima e un po’ dopo...”. Anche la ”vecchia volpe” Raffaele Crovi a un certo punto passa da Marsilio. De Michelis lo ricorda come ”un furetto, intelligentissimo, molto sveglio, che sapeva tutto di editoria: generoso con i giovani, sempre a caccia di esperienze nuove, dunque difficile da imbrigliare in regole professionali di continuità”. Un amico, però. Come Massimo Fini: ”Lo conobbi a vent’anni. un bastian contrario alla Malaparte, imprevedibile e dunque rimasto un outsider: dice sempre l’opposto di quel che prevede il senso comune e spesso ci azzecca. Ti aiuta a capire perché gli altri hanno torto”. Un amico come altri. Tra gli editori: Gian Arturo Ferrari, Mazzotta, Calasso, Guaraldi. ”Ma c’è un editore con il quale ho avuto un pessimo rapporto”. Chi sarà? ”Non mi ha mai apprezzato e non ho mai apprezzato che non mi apprezzasse: è Giulio Einaudi. Una trentina d’anni fa mi trovavo a Francoforte con Guaraldi. A un certo punto passa Einaudi e gli fa alludendo a me: ”Chi è quel tuo amico editore di Venezia? Come si chiama? De Milella...’. Mi offesi, allora mi rivolsi a Guaraldi e gli dissi: ”Se non sbaglio c’è un vinaio di Dogliani che stampa libri, mi pare si chiami Adenoidi...’”» (Paolo Di Stefano, ”Corriere della Sera” 8/9/2008).