varie, 6 settembre 2008
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SCHÖN Mila (Nutrizio) Traù settembre 1916, 5 settembre 2008. Stilista. «Era una dalmata, dunque silenziosa e discreta, ma caparbia e curiosa
SCHÖN Mila (Nutrizio) Traù settembre 1916, 5 settembre 2008. Stilista. «Era una dalmata, dunque silenziosa e discreta, ma caparbia e curiosa. Mila Nutrizio Schön, per tutti Mila Schön era nata a Trau nel 1916. [...] Indossavano i suoi abiti donna Marella Agnelli e la principessa Farah Diba, la first lady Jacqueline Kennedy e la direttora Diana Vreeland. E Lee Radzwill, Audrey Hepburn, Imelda Marcos... e Mina, Milva, Giulia Maria Crespi, Valentina Cortese. Ricevette premi ovunque. Inventò un tessuto, il double. ”Scoprì” la monocromia. ”Abilitò” il marrone, il ruggine e il viola. Mila non nacque sarta, no. Ma signorina e poi signora bene. Papà farmacista e proprietario terriero, la mamma una Luxardo del maraschino di Lussin, antica nobiltà. Adolescenza e studi a Trieste: bella gioventù, curiosa e vivace. Nel ”40 arrivò a Milano, per seguire il fratello Nino, che fu storico direttore del quotidiano La Notte. Il matrimonio nel Novarese, con Aurelio Schön, commerciante. E un figlio, Giorgio: ”L’unico uomo della mia vita”, diceva sempre. Perché dopo dodici anni si separò dal marito e non ne volle più sapere di amori. E poi c’era da rimboccarsi le maniche perché la vita cambiò. Da separata: montagne altissime da scalare, allora. Così tornò a Milano, e con la mamma aprì un piccolo atelier in via dell’Orto. Non senza esperienza: lei da signora-più-che-bene aveva curiosato per stagioni e stagioni nei meravigliosi atelier parigini e romani. E le piaceva chiedere, toccare, osservare. Maniaca del ”rovescio”, con grande attenzione girava e rigirava i capi per capire come erano fatti: ”Come concepisco l’interno uguale all’esterno è la mia firma. Non potrei fare senza, significa per me ordine, pulizia”, ripeteva sempre a chi negli anni le avrebbe chiesto spiegazioni di quei capi che erano perfetti dentro e fuori. La sua ossessione divenne il suo successo. Anche perché gli orpelli a questa elegante signora sportiva (una camicetta, una gonna e un mocassino altro quattro centimetri e null’altro) non interessavano: le ruote di Dior, le costruzione di Balenciaga, gli aforismi di Chanel erano lontani dalla sua semplicità. Piuttosto la sostanza. L’equilibrio. La dolcezza. E un po’ di saggezza, sì. Questo trasmettevano i suoi morbidi capi double. ”Un giorno il mio direttore mi chiamò – racconta Chino Bert che allora, erano i primi Sessanta, era illustratore di moda a La Notte e che poi divenne stilista e poi sacerdote ”. Mi disse ”Chino mia madre e mia sorella hanno aperto una sartoria in via dell’Orto e te lo devo dire ma fammi un favore fai finta che non ti ho detto niente...”. Lì per lì non capii o meglio intuii che a lui, il terribile direttore Nutrizio, così non andava che le due donne si fossero messe a fare le sarte, pensava si sarebbe annoiate presto. Ma dopo un po’ di mesi, non resistetti e passai. E ci portai le mie amiche giornaliste, che poi scrissero al marchese Giorgini che la invitò a sfilare a Firenze. Rimasi con lei parecchi anni: le stagioni del double e dei successi negli States, il caftano di cristalli che creammo per Marella Agnelli: era il 1966, il ballo d’autunno di Truman Capote. Diana Vreeland, leggendaria direttrice di Vogue America, volle che l’abito fosse donato al Metropolita Museum. Poi i fiori, i tagli...”. Bob Krieger, il fotografo, scattò con lei una delle sue prime campagne: ”Ricordo c’era Bettina, una storica indossatrice e Mila che era così caparbia e rigorosa ma nello stesso tempo dolce”. [...] Nel ”93 ”si” vendette, a un colosso giapponese, Itochu: ”Non ho rimpianti – diceva – salvo che se potessi ricomincerei tutto”. Per un po’ continuò a seguire le collezioni. Poi lasciò. Con discreta e semplice eleganza. Un sorriso senza galà. Da signora» (Paola Pollo, ”Corriere della Sera” 6/9/2008).