Note [1] Massimo Giannini, la Repubblica 3/9; [2] Roberto Seghetti, Panorama 11/9; [3] Francesco Spini, La Stampa 2/9; [4] Eugenio Scalfari, la Repubblica 27/8; [5] Nicola Porro, Il Giornale 31/7; [6] Rosario Dimito, Il Messaggero 6/9; [7] r. dim. Il Mess, 6 settembre 2008
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 8 SETTEMBRE 2008
Questa settimana si consumerà «la madre di tutte le battaglie, per quel che resta del Salotto Buono della finanza». Massimo Giannini: «Chi comanderà in Mediobanca? Cesare Geronzi, il Grande Vecchio che si sente l’unico, degno erede di Enrico Cuccia e garantisce una fitta rete di interessi consolidati degli azionisti storici dell’Istituto? Oppure i manager Alberto Nagel e Renato Pagliaro, che contano sull’appoggio di Unicredit e puntano a una gestione della banca meno autoreferenziale e più ispirata alle logiche di mercato?». [1]
Mediobanca è una banca d’affari milanese, da oltre 60 anni punto di riferimento della finanza italiana e ancora azionista determinante di giganti come Generali (assicurazioni), Rcs Mediagroup (editoria, Corriere della Sera ecc.) e Telco-Telecom. [2] Il finanziere bretone Vincent Bollorè l’ha definita «la torre di controllo dell’economia italiana». [3] Eugenio Scalfari: «Che sta accadendo adesso a Mediobanca? in corso uno scontro molto duro. A volerlo personalizzare i protagonisti sono tre: Geronzi, Profumo, Nagel. Il primo è il presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca dopo aver guidato per molti anni il Banco di Roma che si fuse circa due anni fa con Unicredit; il secondo è l’amministratore delegato di Unicredit; il terzo è l’amministratore delegato del consiglio di gestione dell’Istituto di piazzetta Cuccia». [4]
Al momento della fusione del Banco di Roma con Unicredit si pose il problema di trovare una posizione adeguata per Geronzi. Scalfari: «Banco di Roma e Unicredit possedevano circa il 9 per cento ciascuno del capitale di Mediobanca, in totale il 18 per cento, cioè la maggioranza assoluta nel patto di sindacato. A quel punto Profumo decise di vendere metà della partecipazione restando con il 9 per cento. Decise anche di affidare a Geronzi la presidenza dell’istituto ma per non essere troppo generoso optò per una ”governance” duale, dando all’ex presidente del Banco di Roma la guida del consiglio di sorveglianza e insediando alla testa del consiglio di gestione il capo del management di piazzetta Cuccia, Nagel. Un equilibrio perfetto, almeno sulla carta». [4]
Non era pensabile che Geronzi si contentasse a lungo di fare il padre nobile. Scalfari: «Passato poco più di un anno è entrato infatti in agitazione chiedendo che la governance di Mediobanca tornasse dal sistema duale a quello ”monale” e rivendicandone la presidenza operativa». Geronzi ha dalla sua la maggioranza del patto di sindacato che governa Mediobanca. [4] Nicola Porro: «Le norme stabilite da Bankitalia rendono infatti il consiglio di sorveglianza di Mediobanca (dove siedono gli azionisti e Geronzi) poco più di un collegio sindacale, con minima capacità di intervento: l’operatività è infatti prerogativa del consiglio di gestione (dove siedono i cinque manager storici di Piazzetta Cuccia)». [5]
Antoine Bernheim, presidente delle Generali, dice che l’applicazione italiana del sistema duale «è un pò curiosa perchè il consiglio di sorveglianza viene assimilato a un super-audit dove i consiglieri non hanno diritto ad essere informati». [6] Vincent Bolloré, leader del gruppo C, cioè gli azionisti esteri presenti nel patto col 10%: «Eravamo favorevoli al dualistico ma ora è meglio tornare al modello tradizionale». Rosario Dimito: «Il finanziere giustifica il ritorno al cda col dimezzamento della quota di Unicredit - dopo la fusione con Capitalia - e le regole di Banca d’Italia che attribuisce ”responsabilità al consiglio di sorveglianza senza che abbia adeguati poteri”». [7] Uno degli azionisti: «Che interesse abbiamo a mettere i soldi in una società dove il nostro ruolo è poco più che notarile?». [5]
Il 28 luglio il consiglio di sorveglianza di Mediobanca aveva stabilito, anche con il voto di Unicredit, di abbandonare il regime dualistico per tornare a quello tradizionale, dove i poteri esecutivi sono condivisi tra management e soci. La ”road map” di Geronzi si articolava in due tappe. Giannini: «Prima tappa: l’abbandono del sistema di gestione ”duale” dell’Istituto deve essere approvato dal board convocato il 18 settembre. Seconda tappa: il nuovo statuto che ripristina il sistema di governance ”tradizionale” deve essere formalizzato all’assemblea annuale degli azionisti convocata il 28 ottobre». [1]
Pochi giorni fa Profumo ha detto che la questione è ancora aperta. «O si resta con il dualistico rimuovendo gli ostacoli al flusso delle informazioni tra dirigenza e soci o si torna al tradizionale chiarendo bene i ruoli dei soci e del management. Che cosa vuol dire? I soci scelgono il management, ne decidono le remunerazione, stabiliscono il profilo generale di rischio e approvano il piano strategico sulla base delle proposte del management. E lo fanno in consiglio e assemblea, che sono gli organi del governo societario» [8] Luca Iezzi: «I sostenitori della riforma vogliono essere più ”decisivi” nelle scelte strategiche della banca d’affari e, di contro, Nagel e Renato Pagliaro temono che pur rimanendo alla guida delle banca e presenti nel cda, saranno ridotti presto a voce minoritaria in un consiglio affollato, dove non mancheranno i consiglieri in conflitto d’interesse». [9]
Il cambiamento delle regole di corporate governance di Mediobanca fa parte di «un’enorme partita di potere che si svolge all’ombra di un conflitto d’interessi che si è ramificato come una piovra» ha detto ad agosto Bruno Tabacci, vicepresidente della commissione bilancio della Camera. [10] Massimo Riva: «Antonio Maccanico, che della vita di Mediobanca conosce anche gli aspetti più reconditi, ha scritto che la scelta di una governance duale per l’istituto fu assunta per la ”urgenza di porre rimedio all’accresciuto conflitto d’interessi”, conseguente alla fusione Unicredit-Capitalia, ”che vedeva il suo maggiore azionista diventare temibile concorrente”». Alla questione del conflitto d’interessi, Geronzi non dà molta importanza: «Noi abbiamo circa 1.200 parti correlate. E tutte le operazioni che le riguarderebbero dovrebbero essere alla fine decise da amministratori indipendenti? Andiamo!». [11]
Mediobanca, per storia e per struttura, è un monumento vivente al conflitto d’interessi. Oltre a esercitare il credito, è infatti anche una holding che detiene partecipazioni rilevanti in molte primarie imprese. Riva: «Ciò comporta che in parecchi casi Mediobanca sia presente nel capitale di soggetti che sono anche suoi azionisti o suoi debitori in un intreccio di interessi confliggenti senza uguali nel panorama italiano e forse neppure internazionale». [11] Mediobanca, ha detto Profumo, è «un unicum che sta diventando un’anomalia». [1]
Profumo ha mandato il suo presidente Dieter Rampl a spiegare a Geronzi che Unicredit «non accetterà forzature», e che se alla fine non si troverà una soluzione condivisa da tutti «voterà no alla proposta di modifica della governance». [1] La trattativa ruota intorno al numero dei dirigenti che dovranno far parte del cda e del comitato esecutivo, cui tocca gestire l’ordinario e dove i manager chiedono mani libere. [12] Sara Bennewitz: «Fondere i 21 membri del cds e i 5 manager del cdg in un unico consiglio, sarà per Geronzi e Nagel una partita a scacchi delicata, per guadagnare ognuno a scapito dell’altro la maggiore rappresentazione possibile sia come numero di poltrone, sia come deleghe del futuro cda di Mediobanca». [13]
possibile che il board passi a 15-18 componenti. [14] Nagel vorrebbe che tutto il quintetto, lui compreso, dei manager del cdg venisse traslato in blocco nel cda. Bennewitz: «Ma Geronzi non vuole perdere più di tre dei suoi uomini dato che anche nel cds si sta già piuttosto stretti. Il consiglio presieduto da Geronzi rappresenta infatti ben tre diversi gruppi di azionisti, tra cui le banche (Unicredit, Mediolanum, Commerzbank e Sal Oppenheim), i francesi (Groupama, Vincet Bolloré e una la quota della Santusa Holding di Emilio Botìn) e uno stuolo di imprenditori italiani che insieme hanno sindacato il 45,5% del capitale dell’istituto di Piazzetta Cuccia». [13]
L’unica possibilità sembra essere quella che passa per un comitato esecutivo forte in cui assieme ai manager siano presenti solo rappresentanti di azionisti non in conflitto di interesse e che sia però investito di poteri adeguati a prendere decisioni importanti sulle materie gestionali. [15] Rosario Dimito: «In questo organo, presieduto da Geronzi, i manager sarebbero in maggioranza e gli altri consiglieri sarebbero indipendenti. Il numero dei membri da concordare sarebbe di 5-7. Nagel sarà il prossimo amministratore delegato e capo azienda, riceverebbe le deleghe sull’investment banking. A Pagliaro invece, verrebbero attribuiti i poteri sul retail, corporate e le partecipazioni. Su quelle ”strategiche”, cioè Generali, Rcs, Telco-Telecom - sulle cui modalità di gestione Alessandro Profumo ha sollecitato un diverso approccio - sarebbe previsto un meccanismo per cui Pagliaro dovrebbe coordinarsi con l’esecutivo sulla base dell’indirizzo formulato dal consiglio di amministrazione». [16]
Al di là dell’accordo sulla riforma dello statuto e dell’esito degli appuntamenti di settembre e ottobre, in prospettiva il problema vero sarà un altro: che cosa fare delle partecipazioni azionarie attraverso le quali Mediobanca controlla alcune fra le più importanti aziende italiane. Profumo: «Dovessi indicare una soluzione ideale, vedrei una Mediobanca banca d’affari pura che trasferisce le partecipazioni in un fondo chiuso quotato. Questo fondo le potrebbe tenere magari per un arco temporale lungo, ma con lo scopo, dopo averle accompagnate nello sviluppo, di venderle bene». [8]
C’è un’ultima incognita. Scalfari: «Geronzi è stato rinviato a giudizio e addirittura condannato in primo grado per alcuni reati di cospicua gravità in materia finanziaria e bancaria. In tempi normali tutto ciò avrebbe determinato automaticamente le dimissioni del rappresentante legale di una banca e in tal senso esiste da tempo una circolare di indirizzo della Banca d’Italia. Ma oggi, lo sappiamo, non siamo in tempi normali. Mi domando però se questa posizione resterà ferma anche nel momento in cui il processo avrà inizio. Ogni previsione è azzardata ma una cosa è certa: la scelta dipenderà in larga misura da Draghi. una partita cui sarà molto interessante assistere per raccontarla a dovere». [4]