Umberto De Giovannangeli, l’Unità 5/9/2008, pagina 11, 5 settembre 2008
NESSUNA TELEFONATA è
partita da Palazzo Chigi verso il loft. E sì che sulle grandi scelte di politica estera - vedi intervista a l’Unità del titolare della Farnesina, Franco Frattini - si era auspicata - e praticata sul fronte caucasico - una politica biparti-
san. Ma Berlusconi non è Frattini. E, soprattutto, Tripoli non è Tbilisi. La stretta finale della trattativa sull’Accordo Italia-Libia ha tagliato fuori il maggior partito di opposizione, il Pd e il suo leader, Walter Veltroni. Nessun rapporto Governo-opposizione. Nessuna informativa diretta ai vertici Nato di Bruxelles. E sì che la materia trattata richiedeva un qualche coinvolgimento extragovernativo. Sul piano interno e a livello di organismi internazionali. Invece, niente. Tutto «top secret». Perchè? Come spiegare questo eccesso di riservatezza?. Tanto più che, come rimarcato dall’ex ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, «la traccia (dell’intesa, ndr.) era quella a cui avevo lavorato a lungo», con la partecipazione attiva di Romano Prodi. Abbiamo provato a chiedere conto di questo comportamento. Scontrandoci con un «muro» di silenzi imbarazzati. L’Italia si impegna, in un Trattato, a impedire l’utilizzo delle basi Nato sul proprio territorio per azioni militari contro la Libia: questione di grande delicatezza, che merita un qualche coinvolgimento della maggiore forza di opposizione. Non è andata così. Perché?. l’altro capitolo del «giallo» dell’articolo 4. Dal titolo: Cinque miliardi di dollari. Tanti, troppi per essere solo un risarcimento postumo per le ferite inflitte dal colonialismo italiano alla Libia. Un risarcimento ben superiore a quello - 3 miliardi di dollari - su cui si era attestato il precedente governo di centrosinistra. Cinque miliardi di dollari (spalmati in 25 anni, duecento milioni di dollari all’anno): più che un risarcimento per il passato, appaiono un «investimento» per il futuro. In sé, non sarebbe neanche un fatto su cui eccepire. Se non fosse legato a due interrogativi in attesa di risposta: da dove tirar fuori quei 5 miliardi di dollari («dalle tasche dei contribuenti italiani», avanza il sospetto Pierluigi Bersani, ministro dell’Economia del governo ombra del Partito democratico), e quali imprese private concorreranno a realizzare quei megaprogetti di modernizzazione della Libia - autostrade, infrastrutture . complessi abitativi - che il sottosegretario al ministero dello Sviluppo Economico,Adolfo Urso calcola in 150 miliardi di euro?
Una «torta» ambitissima che potrebbe lievitare ulteriormente... l’altra faccia del «patto» tra il Cavaliere e il Colonnello. Quella degli affari. Pubblici e privati. Non solo autostrade, cantieri, infrastrutture (in prima linea imprese come Impregilo e Finmeccanica). Ma anche petrolio e gas. Ovvero Eni. questa l’altra carta giocata da Gheddafi per alzare il prezzo del risarcimento e quello politico (l’articolo 4 riveduto e ampliato nella parte basi Nato). L’Eni ha rinegoziato in giugno i sei cantieri di esplorazione ed estrazione con la compagnia nazionale libica, ottenendo un allungamento della concessione al 2042 per il petrolio ed al 2027 per il gas. Ed è poche settimane dopo la firma di quegli accordi, che Gheddafi lancia il suo aut-aut al nuovo governo di centrodestra: modificare il testo in discussione dell’articolo 4. Prendere o lasciare. Se accetta, come alla fine è avvenuto, l’Italia «avrà la priorità nel gas, petrolio e altre forme di investimento, perché ora (che ha accettato quella formulazione oltre che portare da 3 a 5 i miliardi di risarcimento, ndr.) l’Italia è uno Stato amico», dichiara il leader libico. Che prima aveva minacciosamente avvertito: se Roma non si piega, si azzera tutto. A cominciare dai sei accordi rinegoziati dall’Eni.
Per Berlusconi l’incubo si chiama bolletta energetica. Che rischia di essere devastante per i conti pubblici. E poi c’è la Fancia di Sarkozy e l’America pronti a sostituirsi alla nostra compagnia petrolifera...Il Cavaliere accelera i tempi della negoziazione. L’aut aut del Colonnello costa 2 miliardi di dollari in più e imbarazzate spiegazioni su quell’articolo 4. Ma i contratti dell’Eni sono salvi. Tremonti può trarre un sospiro di sollievo. L’Italia ha importato gas e petrolio dalla Libia nei primi quattro mesi del 2008 per oltre 5 miliardi di euro (il 50% in più rispetto allo stesso quadrimestre 2007.
Cementificazione. Petrolio. Gas. Ma anche armamenti. l’altro campo in cui il «made in Italy» tira in Libia. Nel 2007 l’export italiano nella ex colonia ha raggiunto 57 milioni di euro (veicoli terrestri e aeromobili) e 5,5 milioni per servizi militari. Inoltre sono stati venduti anche 20 elicotteri A 109 per il controllo delle frontiere e, almeno in teoria, per il contrasto dell’immigrazione. L’immigrazione: altro capitolo dolente. Il rischio paventato dalle più impegnate associazioni umanitarie è che questo contrasto finisca per tradursi, di fatto, nel divieto di esercitare il diritto d’asilo. Nel suo rapporto annuale 2008, Amnesty denuncia, nella parte relativa alla Libia: «Sono giunte persistenti notizie di torture e altro tipo di maltrattamenti nei confronti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti durante la detenzione..». Ma quell’umanità sofferente non pesa. Non vota. Non conta.
Umberto De Giovannangeli