Valeria Fraschetti, La Stampa 5/9/2008, pagina 14, 5 settembre 2008
Nella congestionata Mumbai, una megalopoli di 17 milioni di persone, con un traffico da far spavento a Milano o Roma, 200 mila colletti bianchi del distretto finanziario riescono comunque a farsi portare tutte le mattine il pranzo preparato a casa, con un’affidabilità e una precisione svizzera
Nella congestionata Mumbai, una megalopoli di 17 milioni di persone, con un traffico da far spavento a Milano o Roma, 200 mila colletti bianchi del distretto finanziario riescono comunque a farsi portare tutte le mattine il pranzo preparato a casa, con un’affidabilità e una precisione svizzera. Un miracolo di organizzazione che ha suscitato l’interesse delle multinazionali occidentali. Dietro il miracolo ci sono i dabbawala: un esercito di cinquemila pony-express ante litteram, scientificamente disseminati nel reticolo della città. La complessa staffetta dei dabbawala, dove «dabba» sta per scatole di metallo e «wala» per commerciante, si avvale mezzi semplici: teste e gambe, bici e treni. Ogni mattina alle nove scatole di latta contenenti i cibi cotti vengono prelevate dalle case dei clienti e ordinate a migliaia sui vagoni delle ferrovie che collegano le periferie al centro. Al posto di scanner e codici a barre, pennellate colorate ne distinguono l’appartenenza. Poi, con una pressoché infallibile serie di passaggi tra i dabbawala, il fagotto arriva a destinazione alle 13. Dopo pranzo la logistica avviene a ritroso per riportare le scatole. Le consegne arrivano nell’ufficio giusto il 99,999999% delle volte. In pratica, un errore ogni sei milioni di consegne. Una precisione elvetica più che indiana che si è guadagnata dalla rivista Forbes il certificato Sei Sigma, il sistema che giudica la qualità di un servizio. La maggior parte dei dabbawala non sa né leggere né scrivere. Anche per questo la prodigiosa organizzazione del loro lavoro ha attirato l’attenzione di numerose aziende. Società come Tata, Coca-Cola e Unilever hanno mandato i loro manager a osservare i dabbawala da vicino. Ma cosa possono imparare colossi globali da questo battaglione di industriosi analfabeti? «Innanzitutto dimostrano che per avere un’efficace logistica la tecnologia non è indispensabile», spiega Paul Goodman che in Pennsylvania dirige l’Istituto di Sviluppo Strategico della Carnegie Mellon University e da anni studia i dabbawala. Centrale è poi la formazione: «In Occidente il training per un lavoro simile, da corriere, dura un giorno, il loro invece anche tre mesi». Persino l’Università di Harvard ha pubblicato un case-study su di loro, ma a restare intrigati dai dabbawala non sono solo gli esperti di organizzazione aziendale. «Quando è venuto in visita in India il principe Carlo è rimasto così colpito dal nostro lavoro che ha poi invitato un paio di noi al matrimonio con Camilla», si pavoneggia bonariamente Raghunath Medge, presidente della Nutan Mumbai Tiffin Box Suppliers Charity Trust, la cooperativa che riunisce i dabbawala. Quasi tutti originari di Pune, questi fattorini indiani sono in qualche modo tutti imparentati tra loro. Un collante, quello familiare, che contribuisce ancor più alla loro lealtà verso la società, di cui sono azionisti. «I ricavi sono divisi equamente tra noi», racconta Medge. Quattromila rupie, poco più di 60 euro, è quel che intasca ciascuno ogni mese. Protetti dal bianco cappello gandhiano, quando si incuneano tra la selva di macchine della città riescono a portare fino a 90 chili di scatole metalliche grazie una specie di portapacchi che caricano sulle loro teste. Fu Mahadeo Havaji Bachche a fondare il servizio nel 1890. Allora i dabbawala erano solo 40. Oggi, nonostante le dimensioni della città siano decuplicate e a dispetto dei fast-food e dei ristoranti che vi spuntano ogni giorno, resistono. Anzi il loro business cresce del 5-10% l’anno, forse anche per merito di un altro primato che ci snocciola Medge: «Mai fatto uno sciopero in 120 anni». I dabbawala spaccano il minuto persino sotto i più furiosi monsoni. «I manager cui abbiamo mostrato come lavorano sono rimasti scioccati dalla loro flessibilità a qualsiasi condizione meteorologica», afferma Ian Turner che alla Duke EC organizza viaggi di formazione aziendale. Anche nei «Versetti satanici» di Salman Rushdie c’è un dabbawala, che poi però si dà al cinema. Nella realtà invece questi facchini non hanno bisogno di cambiare lavoro per andare alla ribalta: è stata la loro stessa efficienza a renderli noti. Persino alla Microsoft, che non ha mancato di usarli come testimonial per associarne l’affidabilità al proprio brand. Valeria Fraschetti