VITTORIO MALAGUTTI E LUCA PIANA, L’espresso 11/9/2008, pagina 34., 11 settembre 2008
L’espresso, giovedì 11 settembre Gianluigi Aponte, il padrone del gruppo Msc, uno degli armatori più potenti del mondo, l’Italia l’ha mollata da un pezzo, una quarantina d’anni fa
L’espresso, giovedì 11 settembre Gianluigi Aponte, il padrone del gruppo Msc, uno degli armatori più potenti del mondo, l’Italia l’ha mollata da un pezzo, una quarantina d’anni fa. Ha preso moglie e residenza in Svizzera, preferendo Ginevra alla natia Sorrento. I figli Alexa e Diego hanno studiato all’estero. Le sue aziende italiane sono controllate da un dedalo di finanziarie off shore. La sua flotta batte bandiera panamense e le nuove gigantesche navi da crociera le fa costruire in Francia da una società a capitale coreano. Un uomo di mondo, Aponte. Che però sembra avere d’improvviso riscoperto l’amor di patria. Lo ha fatto per l’Alitalia. Lo ha fatto per impedire, come ha dichiarato al ’Sole 24Ore’, che la compagnia di bandiera "vada a finire nelle mani degli stranieri". Anche Roberto Colaninno, l’uomo immagine, la mente, il capofila della cordata di 16 investitori pronti ad aprire il portafoglio per rilanciare gli aerei di Stato, dice di muoversi "per il bene del Paese". Perfino l’industriale torinese Davide Maccagnani, fin qui sconosciuto alle cronache, si è detto disposto a puntare una fiche di qualche decina di milioni nel salvataggio di Alitalia pur di sbarrare la strada ad eventuali offerte d’oltrefrontiera. Lui però non ha dato il buon esempio. La Simmel Difesa, la sua azienda di famiglia, è stata venduta l’anno scorso al gruppo inglese Chemring. E Maccagnani ha reinvestito una parte del ricavato nella società britannica, quotata in Borsa. Facili slogan a parte, ora più che mai il richiamo nazionalistico appare un comodo rifugio per chi deve proteggere concreti interessi personali o aziendali. Il tricolore diventa un sipario per nascondere i reali obbiettivi dei 16 imprenditori (ma potrebbero arrivarne altri) che hanno risposto all’appello di Intesa Sanpaolo e del governo di Silvio Berlusconi. Tocca a loro finanziare un progetto, nome in codice Fenice, che punta a far rinascere Alitalia dalle ceneri a cui l’ha ridotta un ventennio di dissennata gestione pubblica. La nuova compagnia, dotata di un capitale di partenza di circa un miliardo, sta ancora rollando sulla pista di decollo. Serve il via libera dei sindacati sui tagli di personale. E c’è l’ostacolo più insidioso: superare il prevedibile fuoco di sbarramento dei concorrenti internazionali e ottenere il placet dell’Antitrust europeo. L’happy end non è scontato. Fin d’ora però sembra chiaro lo scenario di fondo dell’intera operazione. Su Alitalia si consuma il grande scambio tra il governo berlusconiano e il fronte degli imprenditori. E la presenza nella cordata, pur con un ruolo marginale, della stessa presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, appare come un sigillo simbolico. Nel nome di un’operazione che a suon di decreti ed eccezioni antitrust fa a pezzi quelle regole di mercato a cui la Confindustria non manca mai di richiamarsi. Comprando un’azienda sgravata da debiti, dipendenti in eccesso e altre passività, Colaninno e soci corrono un rischio tutto sommato limitato rispetto ai potenziali guadagni. Gli oneri derivanti dalla vecchia gestione restano in carico alla collettività, mentre i nuovi padroni a tempo debito sapranno riscuotere la cambiale firmata da Palazzo Chigi. L’intreccio di contratti, concessioni e appalti è fittissimo. Tanto da far apparire risibile una dichiarazione del numero uno di Intesa, Corrado Passera: "La maggioranza degli investitori (in Alitalia, ndr) non ha neanche rapporti con il mondo pubblico", ha detto in un’intervista al ’Corriere della Sera’. Grandi opere connection Numerosi soci della cordata si apprestano a spartire una torta miliardaria. Aeroporti, autostrade, il Ponte sullo Stretto di Messina, gli appalti milanesi per la realizzazione dell’Expo 2015. La famiglia Benetton, le aziende di Salvatore Ligresti e l’imprenditore piemontese Marcellino Gavio sono i nomi di spicco di uno schieramento che con il governo si confronta ogni giorno su tariffe, permessi di costruzione, gare pubbliche, via libera ambientali. A questo terzetto fa capo l’Impregilo, una delle maggiori imprese di costruzioni italiane. suo l’appalto per il Ponte sullo Stretto, progetto congelato dal governo Prodi e tornato ora in auge. Un’opera faraonica, che forse non si farà ma che rappresenta la punta dell’iceberg dei lavori in corso. Così di recente l’Impregilo si è aggiudicata due commesse da 600 milioni l’una: la superstrada Vicenza-Treviso e il primo tratto dell’autostrada tra Malpensa e Bergamo. L’appalto lombardo è l’antipasto dei lavori per l’Expo 2015, che comprendono la futura direttissima Milano-Brescia, una nuova tangenziale e due metropolitane (il totale previsto vale 11,2 miliardi). La partita con il governo, però, si sta giocando anche su altri fronti. I Benetton e Gavio sono i maggiori gestori di autostrade d’Italia. I loro ricchi profitti erano stati messi in forse dalla revisione delle regole delle concessioni voluta dall’ex ministro Antonio Di Pietro. L’intervento presentava però una serie di zone d’ombra che una specifica legge voluta dal nuovo governo, e che incide in particolare sulla convenzione dei Benetton, ha chiarito a loro favore. D’ora in poi saranno blindati gli aumenti delle tariffe pagate dagli automobilisti, finora soggette a una lunga trafila di autorizzazioni: ogni anno cresceranno in misura non inferiore al 70 per cento dell’inflazione reale. Il terzo fronte aperto è quello degli aeroporti. Allo scalo di Fiumicino, gestito dalla società Aeroporti di Roma (Adr), l’intreccio degli interessi appare addirittura infernale. Tutto ruota attorno ai Benetton. Saranno azionisti di Alitalia. Sono già soci di maggioranza di Adr, nella cui catena di controllo figurano altri partecipanti alla cosiddetta cordata dei volenterosi: oltre a Ligresti c’è anche il fondo Clessidra gestito da Claudio Sposito, l’ex amministratore delegato della Fininvest che conta ancora su Berlusconi come sponsor e alleato. E, infine, ai Benetton fa capo anche la tenuta agricola di Maccarese, un vasto terreno situato accanto all’aeroporto, dove in futuro Fiumicino dovrà essere raddoppiata. Adr però non scoppia di salute. Anzi, il bilancio è pieno di debiti e per rimettersi in sesto avrebbe bisogno di aumentare i ricavi che arrivano dalle compagnie. Le tariffe, però, sono state a lungo bloccate per consentire la sopravvivenza di Alitalia: far atterrare un Airbus A320 a Fiumicino costa oggi 1.251 euro, a Parigi 2.635. E un discorso simile vale anche per gli altri aeroporti che vedono tra i soci la famiglia di Treviso, da Torino a Firenze. Nelle partita delle grandi opere e dei contratti statali, entra infine anche Aponte, il sedicente difensore di un’Alitalia tricolore. La sua compagnia di navigazione Snav trasporta ogni anno milioni di passeggeri su rotte in concessione pubblica. E il gruppo dell’armatore sorrentino da sempre è in prima linea per allargare la sua presenza nei grandi porti (da Genova a Napoli fino a Civitavecchia e altri ancora), sottoposti alla vigilanza di Authority di Stato. Poi c’è il business delle cosiddette autostrade del mare, con i possibili incentivi governativi per togliere le merci dal trasporto stradale dirottandole sulle navi. Senza contare che da anni Aponte guarda alla possibile privatizzazione dei traghetti Tirrenia. Se queste sono le sue scommesse per il futuro prossimo, non sorprende che l’armatore con base a Ginevra sia disposto a investire circa 150 milioni nel piano Fenice. Poca cosa, tutto sommato, per un imprenditore che naviga con un fatturato superiore ai 4 miliardi. Solo una stima, perché, con buona pace della trasparenza, i bilanci del gruppo restano un segreto ben custodito nella cassaforte di qualche holding off shore. Aerei & mattoni Indicato fin da principio come uno dei sicuri partecipanti, anche Marco Tronchetti Provera alla fine avrà nella cordata una posizione poco più che simbolica: le indiscrezioni lo accreditano di un investimento non superiore ai 20 milioni. Anche se minima, la puntata sul piatto Alitalia può servire a garantire, oltre che il tradizionale buon rapporto con Berlusconi, anche specifici interessi immobiliari del gruppo. Da quelli legati all’Expo 2015 fino all’eventuale partecipazione alla futura vendita del patrimonio immobiliare dello Stato. Un bersaglio da tempo nel mirino di Pirelli Real Estate. Nel suo piccolo, anche Francesco Bellavista Caltagirone (da non confondere con il cugino Francesco Gaetano, editore e costruttore) punta da tempo su immobili e aeroporti. Gestisce i servizi a terra per conto di alcune grandi compagnie negli scali di Linate, Venezia e Bologna. proprietario di innumerevoli aree che necessitano del nulla osta politico per essere valorizzate. E sta costruendo il nuovo porto di Imperia, primo di una serie di interventi che lui dice di volere al servizio "del Paese più ricco di bellezze naturali". Uomo di relazioni e salotti, dotato di contatti ad altissimo livello a destra come a sinistra, Bellavista è pronto a monetizzare il capitale di amicizie che si è costruito nel tempo. Talvolta con qualche infortunio, come gli stretti rapporti con i furbetti di Gianpiero Fiorani. Anche la famiglia Fratini, dopo aver accumulato una fortuna con la moda (erano proprietari dei jeans Rifle) e con gli outlet, ora cerca visibilità per aggiudicarsi i progetti più redditizi soprattutto nel’immobiliare. Da Firenze, dove vengono considerati una potenza, hanno puntato su Roma. Assieme alla Pirelli, si sono aggiudicati il palazzo nel quartiere Parioli dove c’era la Zecca e tutte le aree dell’ex Poligrafico di Stato. Ora sono in gara per aggiudicarsi l’area della vecchia Fiera, un progetto le cui sorti dipendono dalla volontà della amministrazione capitolina di centrodestra. I Passera boys Ai piani alti di Intesa non erano molti nei mesi scorsi quelli pronti a dare Passera vincente sulla ruota di Alitalia. E invece il manager comasco ha spiazzato tutti. Si è accreditato come grande banchiere al servizio del sistema Paese. E questo proprio mentre la rivale Mediobanca, tradizionale perno dei salvataggi delle grandi imprese, è dilaniata dalle lotte interne. Per centrare l’obiettivo Passera ha lasciato briglia sciolta a Gaetano Miccichè, responsabile della divisione corporate della banca. lui che ha riannodato le fila delle trattativa con la cordata degli investitori. Alcune risposte positive erano date in partenza per scontate. Poteva defilarsi Salvatore Mancuso, vecchio amico e sodale di Miccichè, nonché gestore del fondo Equinox nel quale Intesa è di gran lunga il maggior investitore? Nella compagine di Equinox, che ha sede in Lussemburgo, troviamo altri nomi di primo piano coinvolti nell’Alitalia story: da Marcegaglia alla Fininvest di Berlusconi. Ma una lunga consuetudine d’affari lega Miccichè allo stesso Colaninno. Sarebbe stato difficile per il presidente di Piaggio sottrarsi al pressing di Passera che lo voleva alla guida della cordata. Per dire di no, avrebbe dovuto voltare le spalle alla propria banca di riferimento. stata Intesa, dopo la fine dell’avventura in Telecom Italia, a chiamarlo cinque anni fa al capezzale di una Piaggio sull’orlo del tracollo. Per favorire il rilancio, e quindi il rientro dalla loro pesante esposizione, Passera e gli altri banchieri hanno trasformato in capitale una parte dei loro crediti verso l’azienda motoristica. Nel frattempo è ripartito anche il mercato delle due ruote e così il risanamento si è concluso a tempo di record con lo sbarco in Borsa del gruppo. I proventi della quotazione sono serviti a rimborsare in parte gli istituti di credito. Ma di recente la marcia trionfale di Piaggio ha rallentato il passo. In Borsa, nell’ultimo anno, il titolo ha perso il 50 per cento circa contro un calo del 30 per cento del listino. E i piani industriali sono stati corretti al ribasso alla luce della diminuzione delle vendite. La scommessa per il futuro è quella dei mercati dell’Estremo Oriente, dove Piaggio è già presente in forze. Ma è una scommessa che richiede ancora pesanti investimenti. Per questo da tempo la Borsa ipotizza che Colaninno possa essere tentato da un disimpegno. E le voci sono aumentate quando è entrato da protagonista nella partita Alitalia. Saltare dalla Vespa all’aereo sarebbe un modo per salvare i bilanci e la sua immagine di imprenditore vincente. Anche su Carlo Toto Passera aveva puntato fin dall’inizio. Intesa Sanpaolo ha sostenuto i tentativi del patron di Air One nelle prime fasi della privatizzazione, dove Toto si presentava come l’unico candidato italiano capace di risanare l’Alitalia. Il risultato finale può dunque sembrare sorprendente: Toto venderà la sua Air One alla nuova Alitalia e solo allora deciderà se e quanto reinvestire nella società, con un ruolo di secondo piano. Un legame forte con la nuova Alitalia sembra destinato a rimanere. Al momento del passaggio di proprietà, infatti, l’Air One potrebbe portarsi dietro solo i venti nuovi Airbus A320 che la compagnia si è già vista consegnare. Gli altri novanta aerei che Toto aveva ordinato potrebbero restare di proprietà delle sue holding, per essere affittati proprio all’Alitalia. Gli outsider Marco Fossati, erede della dinastia della Star, è uno degli uomini più liquidi d’Italia, accreditato di simpatie berlusconiane. Per questo era dato in pole position fra i cavalieri bianchi di Alitalia. Lo è ancora di più ora che sta giocando una partita dalle forti implicazioni politiche come quella su Telecom Italia. Sulla compagnia telefonica ha investito più di 800 milioni di euro. Una scommessa sfortunata, visto che il titolo ha perso quasi la metà del suo valore da quando il finanziere milanese ha cominciato a farne incetta in Borsa. Serve un paracadute. E Fossati potrebbe tentare di accrescere la propria influenza inserendosi nel difficile rapporto tra i sostenitori dell’amministratore delegato Franco Bernabè e gli spagnoli di Telefonica. Il suo gettone di 20 milioni in Alitalia si rivelerebbe quindi un investimento con un valore aggiunto ben più rilevante. Nella cordata Alitalia la presenza di Emilio Riva, ottantenne re dell’acciaio italiano, ha destato infine parecchia sorpresa. Certamente nella sua carriera le frequentazioni con Berlusconi, cene elettorali comprese, non sono mancate. Forse, però, non bastano i buoni rapporti con il premier per spiegare l’ingresso in Alitalia per uno che, come lui, non ha mai sopportato di dover mediare le proprie scelte con quelle di altri soci. E non ha mai partecipato a nessuna operazione finanziaria. Nelle ultime settimane la maggiore acciaieria del suo gruppo, l’Ilva di Taranto, si è ritrovata però di fronte a un problema la cui soluzione dipenderà dalle decisioni dal governo. La Regione Puglia ha reso note le rilevazioni sulle emissioni di diossina dello stabilimento. Troppo alte, ha sentenziato il presidente Nichi Vendola, affermando che se non ci saranno investimenti per ridurle non darà il benestare nell’ambito della procedura di autorizzazione ambientale in corso. Il parere della Regione, però, non è vincolante. Il via libera definitivo spetta al governo. E il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo si è già incontrata con i vertici dell’Ilva per rassicurarli. A Ferragosto la sorpresa: in una lettera agli uffici regionali, il ministero ha contestato la bontà delle misurazioni degli inquinanti. L’Ilva non chiuderà. VITTORIO MALAGUTTI E LUCA PIANA