Umberto De Giovannangeli, l’Unità 4/9/2008, pagina 2, 4 settembre 2008
l’Unità, giovedì 4 settembre 2008 IL CASO non è chiuso. Il giallo dell’«articolo 4» si arricchisce di un nuovo capitolo
l’Unità, giovedì 4 settembre 2008 IL CASO non è chiuso. Il giallo dell’«articolo 4» si arricchisce di un nuovo capitolo. Un capitolo dal titolo: il patto tra il Colonnello e il Cavaliere. Un «patto» che fa dire ad una fonte diplomatica di lungo corso che «quell’Accordo più che chiudere i contenziosi con il passato, rischia di aprirne di nuovi». Non è questione di interpretazioni. Perché in diplomazia non solo le parole ma anche le virgole pesano. E tanto. Da Palazzo Chigi a Bruxelles (sede Nato) la parola d’ordine è: tranquillizzare. Ma fuori dall’ufficialità, a dominare è l’imbarazzo. E il nervosismo. Perché quell’articolo 4 non si presta ad equivoci. L’Unità ha avuto modo di prenderne visione. E la versione finale è la seguente: «Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l’Italia non usa e non permette di usare i suoi territori contro la Libia per ogni (eventuale, ndr.) aggressione contro la Libia, e la Libia non userà e non permetterà di usare il suo territorio per ogni atto ostile contro l’Italia». Fonti incrociate - libiche e italiane - confermano all’ Unità che ogni parola di questa formulazione finale è stata oggetto di trattative prolungate. A darne conto, sia pure in un modo più sfumato, è Hafed Gaddur, ambasciatore libico in Italia, uno dei principali negoziatori che ha «preparato il trattato insieme agli amici italiani». «Nessuno ha mai voluto cancellare i trattati internazionali» precedenti all’accordo tra Italia e Libia, ma Tripoli vuole «la garanzia» che non si ripeta quanto «successo in precedenza, quando è stata usata una base militare americana nel territorio italiano nell’aggressione del 1986», rileva il diplomatico libico. «Volevamo stare tranquilli che l’Italia non permetterà l’uso di queste basi», aggiunge l’ambasciatore. Attorno all’articolo 4 del Trattato, le diplomazie italiana e libica hanno negoziato a lungo. Con Roma che voleva limitarsi ad escludere «atti ostili» dell’Italia contro Tripoli e i libici che invece insistevano per comprendere il riferimento a terzi, ovvero alla Nato e agli Stati Uniti. Per convincere i negoziatori italiani ad inserire l’articolo 4 nel Trattato, ha rivelato il leader libico, Muammar Gheddafi, «abbiamo detto che la questione altrimenti non sarebbe stata chiusa e che noi non avremmo mai perdonato l’Italia per quello che aveva fatto contro di noi». Il ministro degli Esteri Franco Frattini dichiara che l’Italia non mette in discussione i trattati internazionali «e noi non abbiamo dubbi su questo», afferma da Bruxelles il portavoce della Nato James Appathurai. Precisando però che «non abbiamo ancora parlato con la delegazione italiana». «Dalle dichiarazioni rese alla stampa dal ministro Frattini, abbiamo inteso che l’Italia continuerà a rispettare i trattati internazionali e non abbiamo alcun dubbio su questo», aggiunge il portavoce. «Ma non abbiamo ancora avuto la possibilità di avere chiarimenti dagli italiani», ribadisce. Le dichiarazioni italiane parlano di rispetto «degli impegni internazionali» e «dei principi della legalità internazionale». Ebbene, spiegano fonti Nato, almeno in teoria rientra nei legittimi diritti di uno Stato membro dell’Alleanza opporsi all’impiego di basi sul proprio territorio per determinati scopi. Il problema, in questo caso, sarebbe esclusivamente di natura politica. «La Nato - spiegano al quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles - per lo più non possiede l’intera base in uno Stato membro, ma ha proprie istallazioni su quella esistente del Paese ospite». Inoltre è chiaro, proseguono, «che se uno Stato membro decide di usare basi poste sul territorio di un altro alleato per un’azione militare, informa il Paese ospite». Non si tratta di una richiesta formale di autorizzazione (soprattutto, ironizzano ancora alcuni diplomatici, se si sta parlando degli Stati Uniti che non si sognerebbero mai di «chiedere il permesso»). Tuttavia, dicono, una volta informato «lo Stato ospite può benissimo rifiutare l’impiego della base». Dunque, in teoria, l’Italia potrebbe opporsi all’utilizzo di basi Nato per un fantomatico attacco alla Libia, se mai questo dovesse concretizzarsi. Un punto però è chiaro, dicono all’Alleanza: un fatto del genere, e cioè un rifiuto da parte del Paese ospite, alla Nato fino ad oggi non si è mai visto. E politicamente sarebbe altamente problematico. Resta il fatto che nell’articolo 4 non c’è alcun riferimento diretto agli accordi internazionali da rispettare (da parte italiana). Una omissione, riflettono le fonti Nato, che segna, oggettivamente, un punto a favore del leader libico. Sul tema interviene anche Massimo D’Alema. «Credo che innanzitutto si debba dire che la Nato è un’alleanza difensiva e non ha nei suoi programmi di aggredire nessun Paese», afferma l’ex titolare della Farnesina. D’Alema, tra l’altro, ha tenuto a sottolineare: «Quest’ accordo con la Libia era stato negoziato da noi, me ne ero occupato personalmente e a lungo». Un accordo la cui traccia «è quella che avevamo predisposto: non prevede clausole segrete. Credo, almeno per quanto ne so io», ha aggiunto. Ma una traccia può essere «forzata». Così è stato. Umberto De Giovannangeli