Daniela Roveda, Il sole-24 Ore 3/9/2008, pagina 10, 3 settembre 2008
Il Sole-24 Ore, mercoledì 3 settembre Wasilla. l’emirato dei ghiacci: l’Alaska, desolata come i deserti sauditi, improduttiva e isolata come il Kuwait e dipendente in tutto e per tutto dal greggio
Il Sole-24 Ore, mercoledì 3 settembre Wasilla. l’emirato dei ghiacci: l’Alaska, desolata come i deserti sauditi, improduttiva e isolata come il Kuwait e dipendente in tutto e per tutto dal greggio. Qui i residenti hanno tanto tempo libero, non pagano le tasse e incassano una rendita grazie ai balzelli imposti alla compagnie petrolifere in cambio del privilegio di estrarre greggio. Entrate sufficienti a pagare per l’80% delle spese pubbliche e distribuire ogni anno un "dividendo" in contante a ogni residente - uomo, donna e bambino - fra i 200 e i 2.000 dollari. Se il motto dei repubblicani è da sempre «meno Stato e più mercato», quello dell’Alaska sembra l’opposto. E il candidato repubblicano alla presidenza, John McCain, ha scelto il suo vicepresidente designato Sarah Palin proprio nell’angolo più statalista d’America, un problema forse più serio dei "peccati" che stanno riempiendo in questi giorni i titoli dei giornali. «Sarah Palin ha tenuto testa alle compagnie petrolifere, ha combattuto la corruzione, è una vera dura, e sarà una fantastica vice presidente al fianco di McCain», dice irritato per i mille pettegolezzi John Soulak, titolare di un’impresa di pulizia di moquette a Wasilla, il paese "brutto come il peccato" a 60 chilometri da Anchorage, dove risiede la famiglia Palin e di cui Sarah è stato sindaco. A Wasilla, strada principale puntellata da ristoranti di fast food e negozi di armi da fuoco, le indiscrezioni sul passato della Palin le conoscono tutti. Ma a nessuno importa che sia stata arrestata per guida in stato di ebbrezza o che sua figlia di 17 anni sia incinta (a patto che si sposi, però) o che abbia cercato di licenziare il suo ex cognato poliziotto o che abbia portato risorse statali alla città secondo la prassi osteggiata da McCain. A Wasilla e nel resto dell’Alaska, Palin ha un tasso di popolarità dell’80%, perché ha combattuto coi denti non solo per aumentare le tasse sulle compagnie petrolifere e accrescere così la rendita dello Stato, ma per assicurare che la produzione di energia continui affinché le nuove generazioni godano dello stesso trattamento. In Alaska si trivella dove si può: sulla terra ferma e in mezzo al mare. E si vorrebbe trivellare anche nelle riserve naturali, dove vivono caribù, alci e cervi. Si vorrebbe trivellare ovunque, anche sotto le tane degli orsi in letargo. «Importiamo petrolio dai Paesi arabi, e paghiamo 1,3 dollari al litro per la benzina quando abbiamo immense riserve nel nostro sottosuolo. assurdo: trivelliamo!», dice Mike Croner, circondato dalle pistole e dai fucili da caccia in vendita nel suo negozio Chimo Guns, a Wasilla. Il caro benzina è un problema per tutti gli americani, ma solo in Alaska il calo delle importazioni e l’aumento della produzione nazionale si tradurrebbe in un dividendo più alto. Nel Paese, anche chi è favorevole ad aumentare la produzione interna di petrolio, esiterebbe a farlo nelle zone protette; in Alaska invece quasi nessuno è contrario a trivellare anche nell’Arctic Natural Wildlife Refuge, l’immacolato parco nazionale ritenuto "off limits" non solo dagli ambientalisti più sfegatati e dal candidato democratico Barack Obama, ma persino dallo stesso McCain. « evidente che né gli ambientalisti né Obama ci sono mai stati: è una distesa di neve in un posto nemmeno tanto bello. La tecnologia ormai è sicura e non ci sono pericoli di disastri ecologici. E poi è stato provato che i caribù si riproducono di più nei pressi degli oleodotti», dice convinto David Prahl, collega di Croner. L’ultimo grosso disastro ecologico in Alaska risale al 1989, quando la petroliera Exxon Valdez riversò in mare una tra i 42mila e i 130mila metri cubi di petrolio, inquinando 1.600 chilometri di costa. «Per l’Alaska - spiega l’economista Birgita Windish, del department of Labor dello Stato - produrre di più è una necessità, perché le riserve si stanno esaurendo. Senza il petrolio questa diventerebbe una terra di nessuno». Secondo la Energy Information Administration, la produzione nella Prudhoe Bay, dove si estrae quasi tutto il petrolio del secondo Stato per produzione di greggio dopo il Texas, ha raggiunto l’apice di 2 milioni di barili nel 1988 ed è oggi scesa a 400mila barili al giorno. C’è altro petrolio, ma secondo Windish nessun giacimento al di fuori dei parchi nazionali è abbastanza grande da giustificare la spesa necessaria per l’estrazione in una regione dove le condizioni climatiche rendono i costi altissimi. «Per questo motivo - dice Windish - l’Alaska oggi punta sul gas e ha bisogno di costruire un gasdotto. Se non lo facesse, le condizioni di vita per l’intera popolazione si abbasserebbero sensibilmente». Palin caldeggia la costruzione di un gasdotto attraverso il Canada, per raggiungere le grandi città americane dell’Est. Non è esagerato quindi affermare che gli interessi dell’Alaska non coincidono necessariamente con quelli della nazione; e molti iniziano ad avere seri dubbi sulla capacità di Palin di conquistare l’elettorato repubblicano. Questa terra artica ha ben poco a che vedere - geograficamente, culturalmente, politicamente e socialmente - con gli altri 49 Stati. Con un’estensione di 1,7 milioni di chilometri quadrati, è il più grande d’America, il doppio del Texas, ma ha meno di 700mila residenti, e quindi una densità di popolazione di 0,46 abitanti per chilometro quadrato. L’intero Canada lo separa dagli Stati Uniti, mentre a cinque chilometri di distanza c’è la Russia. Intere aree rimangono isolate in inverno e la capitale, Juneau, è irraggiungibile via terra in qualsiasi periodo dell’anno. Le uniche attività produttive (a parte il petrolio) sono la pesca e il turismo, entrambe stagionali. Nel resto del tempo la gente va a caccia e pesca o sfreccia nei boschi sulle moto da neve, lo sport in cui primeggia il marito di Palin. Lei, invece, preferisce uscire di casa col fucile in mano per abbattere caribù e poi cucinarli in uno stufato per cena. Agli uomini dell’Alaska, Sarah piace perché è una "dura". Alle donne, invece, perché è riuscita a conciliare lavoro e famiglia e a vincere in un mondo dominato dagli uomini come quello delle compagnie petrolifere. Piacerà anche alle donne degli altri Stati nonostante le sue idee ultraconservatrici? «A me - dice Georgia deKeyser, casalinga di Anchorage - non interessano le convinzioni personali e religiose degli altri, ma mi interessa che le azioni siano coerenti con i loro principi. Lei è antiabortista e ha deciso di avere un figlio colpito dalla sindrome di Down. E adesso sua figlia incinta ha deciso di sposarsi a 17 anni. Questa sì che è una donna con sani principi. A noi piace così». Daniela Roveda