varie, 3 settembre 2008
PROFUMO
Alessandro Genova 17 febbraio 1957. Banchiere. Amministratore delegato di Unicredit. «Anche mia madre, quando legge le cifre del mio stipendio, mi chiama per lamentarsi che guadagno troppo». 2007-2008 Portata a termine la fusione con Capitalia, è a capo di una delle prime banche europee, un gruppo che dispone di 10.300 sportelli e oltre 180 mila dipendenti • Sia nel 2007 che nel 2008 il mensile britannico Institutional Investor l’ha eletto «miglior manager bancario europeo» (voto espresso da un panel di analisti e gestori) • Nel 2007 ha guadagnato più di 9 milioni di euro, settimo tra i dirigenti delle società quotate in Italia: «La nostra è la nona azienda bancaria nel mondo, questo è il nostro contesto di riferimento, anche dal punto di vista dei salari». VITA Ultimo dei cinque figli di Aldo, ingegnere fondatore di una piccola industria elettronica, ed Eugenia. Fino a 13 anni visse a Palermo, accudito dalla tata Nenne, «il mio amore di bambino e il riferimento principale di tutta la mia infanzia», poi a Milano. Iscritto alla Bocconi, al primo anno si innamorò di Sabina Ratti (vedi), già compagna di classe al liceo Manzoni di Milano, nel 1977 la sposò e ne ebbe l’unico figlio, Marco. Per mantenere la famiglia, andò a lavorare al Banco Lariano (che aveva il suocero tra i top manager). A 23 anni perse il padre: «Mia moglie e io non abbiamo mai chiesto una lira a nessuno. Quando ci siamo sposati avevamo vent’anni, un bambino in arrivo e il mio primo stipendio era di 377 mila lire. Certo, i miei suoceri ci avevano regalato la casa, ma ce la siamo imbiancata da soli, fisicamente. E con i soldi dei regali di nozze abbiamo messo la moquette» • Immaginate un anonimo bancario con l’abito grigio d’ordinanza che ogni mattino esce da casa, arriva nell’agenzia del Banco Lariano di piazzale Loreto, a Milano, e passa la sua giornata di lavoro a timbrare cambiali. Monica Setta: «Questo gentile signor Profumo (allora non era ancora laureato in Economia) riservato, taciturno eppure rapido nelle procedure, gli ex colleghi lo ricordano con un filo di disinvolta indifferenza. Era un impiegato modello, ma nessuno di loro avrebbe mai pensato che quel ragazzone atletico (alto 1,95 porta scarpe n. 49, ndr) – lo sguardo sveglio ma disinvoltamente distaccato – sarebbe poi diventato l’amministratore delegato di Unicredito» • Per la sua carriera fu decisiva una vacanza in Inghilterra. «Ero scocciato da dieci anni di vita da bancario, mi lamentavo ma tiravo avanti. Poi, durante un viaggio di ritorno da Londra, dove avevo studiato inglese usando tutte le mie ferie, mentre su una vecchia Panda mi avvicinavo alle scogliere di Dover e Sabina mi accusava di essere depresso e rinunciatario, ho detto: ”Basta!”. Avevo trent’anni e non avevo neanche finito l’università. Mi sono messo a scrivere la tesi di notte e in pochi mesi d’inferno mi sono laureato, ho lasciato la banca e ho ricominciato come consulente aziendale» (da un’intervista di Stefania Rossini) • Presa la laurea, nel dicembre 1987 passò in McKinsey (responsabile progetti strategici e organizzativi per le aziende finanziarie). Due anni dopo andò in Bain, Cuneo e Associati (responsabile delle relazioni con le istituzioni finanziarie). Nel 1991 passò alla compagnia assicurativa Ras (direttore centrale) • Nel 1994 entrò nel Credito Italiano: da poco privatizzato, alla presidenza era tornato Lucio Rondelli, banchiere di lunghissimo corso, storico numero uno della banca di piazza Cordusio a Milano cacciato ai tempi del Caf (l’asse Craxi-Andreotti-Forlani). Fra i soci della banca c’era anche la Ras. Spulciando i bilanci del gruppo assicurativo, Rondelli fu incuriosito da un dettaglio: gli utili che macinava Dival, la controllata di prodotti finanziari che andava a gonfie vele. Chiesto all’amico Attilio Lentati, numero uno della Ras, chi era a occuparsi di quel business, si sentì rispondere: «Un ragazzo, si chiama Profumo. in gamba, vuoi conoscerlo?». Profumo entrò in Credito italiano con la qualifica di ”condirettore centrale responsabile della direzione pianificazione e controllo”. Per sette mesi studiò la banca in ogni dettaglio. Pochi giorni dopo esser stato nominato direttore generale, incontrò la prima linea del management formata da 16 dirigenti: entro 24 ore otto furono spediti a casa o ad altro incarico, da cui il soprannome di ”iena”. Profumo non se ne curò affatto. Angelo Pergolini: «Come non si preoccupò più di tanto dei minacciosi brontolii con cui la Mediobanca commentava i suoi progetti. Anzi, Profumo cominciò a criticare apertamente Vincenzo Maranghi, il delfino di Enrico Cuccia: ”Non capisce che sono cambiati i tempi”». Era quello che sosteneva anche Cesare Braggiotti, giovane direttore generale di Mediobanca. Appoggiato dalla coppia Profumo-Rondelli e da altri azionisti, Braggiotti stava conducendo una battaglia interna per trasformare l’istituto da holding di partecipazioni della finanza italiana a banca d’investimento moderna capace di competere sul mercato internazionale. Per Maranghi, che era amministratore delegato, sarebbe voluto dire subire una radicale riorganizzazione dell’istituto con il rischio di rimanerne fuori. Braggiotti, e con lui Profumo, ne uscì sconfitto: il 20 dicembre 1997 Maranghi, che aveva il sostegno dei soci più pesanti (leggi Fiat, Generali, Banca di Roma), gli consegnò la lettera di licenziamento. Profumo incassò e si concentrò sul progetto di espansione del Credito Italiano. Aveva bisogno di una forte alleanza in Italia, trovò il partner ideale nell’Unicredito, holding in cui si erano unite sei banche dove i soci principali erano le casse di risparmio di Torino ,Treviso e Verona. Dalla fusione nacque Unicredito Italiano, gruppo da 50 mila miliardi di lire di capitalizzazione e nuovo principale rivale di Banca Intesa. Rinforzato, Profumo tentò l’affondo contro Maranghi nel 1999 lanciando l’assalto alla Comit. Pergolini: «Fu respinto su tutta la linea da un’inedita alleanza fra la Mediobanca e Bankitalia. Così si trovò appiccicato addosso un altro sgradevole soprannome: ”arrogance”. Lui ammise: ”Abbiamo sbagliato per eccesso di sicurezza”. Masticò amaro ma poi continuò sulla sua strada. Quanto ai conti con Maranghi, li regolò quattro anni dopo, nella primavera del 2003» • Lo scontro cominciò nell’autunno del 2002. Pergolini: «Maranghi, che avvertiva sempre di più la pressione di Profumo deciso a ottenere un radicale ”cambiamento nella governance”, cercò una sponda nel finanziere bretone Vincent Bollorè. Profumo capì il rischio che correva: ”restare incastrato” nell’azionariato della Mediobanca senza contare più nulla. La controffensiva fu violentissima e puntò sulle Generali, la partecipazione strategicamente e finanziariamente più importante della banca d’affari. E Profumo si trovò affiancato da un alleato tanto inatteso quanto prezioso: Cesare Geronzi. Che riuscì a portare dalla sua parte i francesi guidati da Bollorè. Maranghi, che pure poteva contare su una sorta di quinta colonna come Fabrizio Palenzona, grande azionista oltre che vicepresidente dell’Unicredito, tentò di resistere. Ma quando anche Palenzona si sfilò, gettò la spugna. Il resto, dalla campagna di Germania alle acquisizioni a raffica nei paesi dell’Est Europa, è storia recente» • La strategia di Profumo per far crescere Unicredit aveva un ordine preciso: partire con acquisti nelle economie emergenti per poi mirare al bersaglio grosso. Tra il 1999 e il 2003 acquistò prima Bank Pekao, seconda banca della Polonia, e quindi altri grossi istituti nell’Est Europa: in Bulgaria, Slovacchia, Croazia, Repubblica Ceca, Turchia e Romania. Nel 2005 puntò dritto su Hypovereinsbank (Hvb), seconda banca tedesca per capitalizzazione, istituto nato nel 1998 dalla fusione di Bayerische Vereinsbank e Bayerische Hypotheken und Wechsel Bank. Il Foglio: «Per Profumo è l’operazione che segna la differenza. Lo proietta in Europa». Anche perché fu la prima fusione tra gruppi bancari di grande dimensione dalla nascita dell’Europa come mercato unico. L’acquisizione costò a Unicredit 16 miliardi di euro (attraverso uno scambio di azioni) e un mese di sofferenze in Borsa, con il mercato scettico sull’idea di acquisire un istituto in crisi. Dalle nozze italo-tedesche nacque la nona banca europea, la quarta nella zona dell’euro, un gruppo in grado di mostrare numeri di assoluto valore: 28 milioni di clienti, 126 mila dipendenti, oltre 7 mila sportelli distribuiti in 19 Paesi, un attivo totale di 733 miliardi di euro e una capitalizzazione di 42 miliardi. Per la Germania fu una sconfitta, la stampa tedesca si lamentava della «sparizione dei nostri giocatori» dal tavolo dove si gioca la partita del credito internazionale. « questo il segno più importante» hanno scritto «del fatto che la Germania è in crisi». Per l’Italia fu una vittoria, soprattutto perché l’operazione Hvb arrivò in un momento nel quale banche straniere lottavano per conquistare alcuni dei campioni nazionali del credito (Antonveneta e Bnl). Per difendersi dagli stranieri bisognava diventare più grandi. Unicredit continuò a cresce all’estero (nel 2007 Profumo fece acquisizioni in Ucraina, Kazakhstan, Tagikistan, Kirgikistan) ma soprattutto in Italia • L’acquisto di Hvb provocò però il coinvolgimento diretto di Unicredit nella crisi dei mutui subprime, scoppiata nell’agosto del 2007: l’esposizione iniziale della banca di Profumo, a fine giugno 2007, era di 277 milioni di euro a bilancio più altri 77 milioni fuori bilancio. In tutto 344 milioni. Si trattava di conduit (veicoli finanziari extra-bilancio) sponsorizzati da Hvb per 28 milioni e di Siv (veicoli per comprare obbligazioni e debiti legati ai mutui) per 28 milioni. Inoltre erano esposti per 13 milioni i fondi americani gestiti da Pioneer. Esposizione che, tutto sommato, il gruppo definisce «marginale» e «trascurabile». Dopo un anno era stata ridotta a 67 milioni di euro. •Il 2007 è l’anno della fusione con Capitalia (banca nata nel 2002 dall’integrazione di Banca di Roma e Bipop Carire), l’operazione che conclude la fase principale del riassetto del sistema del credito italian. L’intesa tra l’istituto di Profumo e quello guidato da Geronzi era nell’aria da qualche mese. Era passato un anno e mezzo che il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, aveva invitato gli istituti di credito nazionali a unirsi per non essere mangiati dagli stranieri. A fine aprile le trattative accelerarono sulla spinta di un insieme di fattori: i timori per le mosse della concorrenza estera – era in corso scontro tra Royal Bank of Scotland e Barclay’s per aggiudicarsi Abn Amro, mentre Bnp-Paribas si era impossessata di Bnl – e la necessità, sentita da un fronte politico trasversale, di creare un argine al potere crescente della finanza ”bazoliana” di Intesa SanPaolo. Profumo pagò 8,38 euro ad azione per accorpare Capitalia e creare un colosso da quasi 100 miliardi di euro di capitalizzazione, la prima banca dell’area euro, la seconda nell’Unione Europea dopo l’inglese Hsbc, la sesta al mondo. Presente in 17 Paesi con 5.025 filiali in Italia e 9.289 nel continente, la nuova Unicredit aveva 180 mila dipendenti e 40 milioni di clienti. I ricavi arrivano per il 39 per cento dall’Italia, per il 27 per cento dalla Germania, per l’11 per cento dall’Austria. Più del 15,2 per cento dei lavoratori del gruppo sta in Polonia e il 9 per cento in Turchia. Unicredit è attiva nel settore del risparmio anche negli Stati Uniti, con i fondi Pioneer, e fortissima nel trading su Internet: nel 2007 FinecoBank (ex controllata di Capitalia, 760 mila clienti), è stata il primo broker on line italiano con oltre 17 milioni di ordini di compravendita eseguiti. L’espresso: « a tutti gli effetti una multinazionale della finanza» • La fusione metteva assieme due soci del patto di controllo di Mediobanca Dopo l’operazione Unicredit controllava il 18% della banca Piazzetta Cuccia, e Profumo delegò la stessa Mediobanca a vendere le azioni fino a tornare al 9,39% come previsto negli accordi del patto degli azionisti. In quel momento il salotto buono della finanza italiana stava vivendo un passaggio complesso. Terminata l’era Cuccia, dopo ,l’addio di Maranghi, rinnovato dalle fusioni il panorama del credito italiano, i soci, con l’obiettivo di garantire indipendenza ai manager dell’istituto, sempre in balìa delle volontà degli azionisti, avevano trovato la soluzione, ideata dal giurista Piergaetano Marchetti, di adottare il sistema di controllo duale: un consiglio di gestione, affidato ai manager, e uno di sorveglianza, per gli azionisti, presieduto da Geronzi, che aveva lasciato Capitalia dopo la fusione. Giovanni Pons: «Per Profumo Mediobanca è solo un mezzo per non far cadere Generali in mani straniere o dei concorrenti di Intesa Sanpaolo. Per Geronzi è il modo di concludere la carriera sulle orme di Cuccia sperando di evitare i siluri della magistratura». Solo che la soluzione non resse. Perché Geronzi voleva contare di più e non approvava le strategia dell’amministratore delegato Alberto Nagel. A fine 2007 lo scontro toccò l’apice con la battaglia per la nomina di Franco Bernabè al vertice di Telecom, ultimo acquisto ”di sistema” di Mediobanca: Geronzi avrebbe concordato di affidare l’incarico a Bernabè in un incontro privato con Giovanni Bazoli, il presidente di Intesa. Il consiglio di gestione di Mediobanca fu informato solo in seguito, a cose fatte. Al comitato nomine si arrivò a una conta che rischiò di far capitolare il presidente Geronzi, il presidente di Unicredit, Dieter Rampl, si astenne. Da quel momento tra Profumo e Geronzi si riaccese il confronto sul metodo di governance di Mediobanca. La spuntò Geronzi, almeno inzialmente: il 28 luglio del 2008 il consiglio di sorveglianza di Mediobanca, chiamato a votare sull’avvio delle procedure per tornare al sistema di controllo tradizionale (che limiterebbe la libertà d’azione dei manager, di cui 3 su 5 sarebbero andati nel nuovo cda, e rafforzerebbe gli azionisti) approvò il progetto all’unanimità. Unicredit compresa. Pochi giorni dopo Profumo disse che la questione non era chiusa, e si mise a far pesare la sua quota di maggioranza in Mediobanca perché non fosse pregiudicata l’autonomia gestionale de i manager. Per il banchiere genovese, la cui «stella polare è la creazione di valore», è solo l’ultima fase della battaglia per modernizzare la finanza italiana. Una battaglia iniziata dalla vittoria contro Maranghi: «Il 2003 fu il primo tempo di un film al quale non è seguito il secondo: lo scioglimento del legame tra Mediobanca e Generali, un passaggio cruciale per la crescita industriale di entrambe. Dovessi indicare una soluzione ideale, vedrei una Mediobanca banca d’ affari pura che trasferisce le partecipazioni in un fondo chiuso quotato. Questo fondo le potrebbe tenere magari per un arco temporale lungo, ma con lo scopo, dopo averle accompagnate nello sviluppo, di venderle bene...». E invece? «Invece Mediobanca aveva due partecipazioni strategiche, Generali e Rcs, e adesso ne ha tre: è arrivata Telecom» • Il patto di controllo di Mediobanca scade a fine 2009, e per Unicredit, che oggi ha l’8,66% delle azioni, Profumo starebbe progettando un’uscita, che seguirebbe alle cessioni delle quote in Generali e poi in Pirelli decise nel 2008 • Ha già stabilito la data del suo ritiro dagli incarichi operativi: 17 febbraio 2017, quando compirà i 60 anni. «Ma non vuol dire che mi ritirerò. C’è ancora tanto da fare e da vedere nel mondo» • La crisi subprime si è fatta particolarmente sentire su Unicredit (anche per l’esposizione attraverso Hvb), in Borsa: la capitalizzazione della creatura di Profumo, in un anno, è passata da 98 miliardi di euro a 46 • Il matrimonio ha superato i trent’anni di durata: «C’è stata anche una pausa. Per un po’ ce ne siamo andati ciascuno per conto proprio. Ma evidentemente non ci eravamo smarriti perché ci siamo ritrovati. Se si diventa troppo potenti da giovani, si perde la capacità di ascolto. Ne ho sofferto molto e ho cercato di ritrovarla». Quanto alla precoce paternità, dice di essere stato troppo accondiscendente: «Io, che in ufficio so gestire il conflitto anche duramente, con mio figlio non sono mai stato capace di dire no. Quando litigavamo, lui dormiva tranquillamente e io passavo la notte in bianco». CRITICA Il parere di chi lo frequenta è unanime: il suo carattere non ha nulla del banchiere. Ugo Bertone: «Altro che diplomazia, sa essere diretto fino alla brutalità; i suoi scoppi d’ira sono leggendari; ma sa senz’altro creare una squadra» • Il vero atout di Profumo, si dice, «è la capacità di tessere – al riparo dai riflettori – un’infinita ragnatela di rapporti, legando il cuore (che lo porta a sinistra) con la testa (che gli impone di coltivare anche i collegamenti con il centrodestra)» (Setta). FRASI «Noi facciamo un lavoro ad altissimo impatto sociale: gestiamo i risparmi delle persone, finanziamo i progetti di altre. E dobbiamo generare valore per gli azionisti, funzione importante e moralizzante perché le peggiori porcherie si fanno quando non si ha questo elemento di controllo» • «Non sopporto i puri e duri. Ritengo fondamentale il coraggio di fare un compromesso senza modificare il proprio sistema di valori». POLITICA Nell’ottobre 2007 la moglie fu eletta all’Assemblea del Pd. Aldo Cazzullo: «Profumo in un primo tempo aveva detto che stavolta, dopo aver partecipato due anni fa alla scelta del candidato premier del centrosinistra, non avrebbe concorso a scegliere il leader del Pd: ”Non intendo iscrivermi, non voglio avere tessere di partito”. ”Poi però – spiega l’amministratore delegato di Unicredit-Capitalia – è stato chiarito che il voto alle primarie non comportava l’iscrizione al Partito democratico. E ho deciso di andare”». Profumo non disse per chi aveva votato. Cazzullo: «Ma qualche indicazione, comunque, la fornisce. ”Le donne devono giocare un ruolo più forte in tutte le parti della vita pubblica italiana. Nelle banche, nell’economia, e anche nella politica”. La moglie di Profumo, Sabina Ratti, sostiene la candidatura di Rosy Bindi. Ma, a chiedergli se non teme che lo si pensi influenzato dalla moglie, lui sorride: ”Non mi disturba essere considerato il marito di Sabina. Preferisco così che vedere indicata Sabina come la moglie di Profumo...”». Alle politiche, Veltroni le ha preferito Colaninno: «Io sono contento se mia moglie è contenta. Credo che trovarsi in una situazione di vaghezza non le sarebbe piaciuto. Meno ancora le sarebbe piaciuto essere scelta perché è la moglie di Profumo». RELIGIONE Profumo crede «profondamente in una serie di valori», ma non sa «se basta a dirsi credenti»: «Ricordo la fede di mio padre, aveva un’impronta diversa. Piena di passione religiosa e civile. Mio padre andava in chiesa ogni giorno ed era stato presidente degli universitari cattolici di Genova. Ma lasciò la politica quando nacque la Democrazia cristiana: sosteneva che i cattolici non dovessero avere un loro partito». TIFO Interista. «A me sembra di smaltire in tempi brevi, ma i colleghi dicono di entrare malvolentieri nel mio ufficio il lunedì mattina se l’Inter ha perso. In compenso se l’Inter ha vinto mi sembra di sentire più proposte, più richieste, più iniziative». VIZI «Spendo forse un centesimo di quello che guadagno. Qualcuno dice perché sono genovese. Io dico perché sono un uomo libero» • Proverbiale idiosincrasia per le fotografie (almeno quelle ”in posa”) e per gli status symbol, è «refrattario alla cosiddetta etichetta (il nodo della sua cravatta non è mai perfetto, la sua giacca è spesso abbandonata con spiritosa nonchalance sulla spalla)» (Setta) • In vacanza con alcuni amici alle Maldive, nel dicembre 2007 rimase nove giorni bloccato nei pressi dell’atollo di Male Sud con la barca in avaria e il timone rotto da un incagliamento. Massimo Sideri: «Come altre volte, il gruppo aveva affittato una grossa barca attrezzata da sub, ”tipica delle Maldive”, per solcare i mari alla ricerca di eleganti squali da immortalare. Dove peraltro la cambusa era fortunatamente ben fornita visto che l’intenzione iniziale era girare per diversi giorni alla ricerca dei migliori angoli dell’Oceano Indiano». Alberto Luca Recchi, famoso fotografo di pescecani: «La sera della vigilia abbiamo anche preparato degli spaghetti che Profumo ha definito succulenti spaghetti ”allo scoglio” ironizzando sulla nostra situazione».