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 2008  agosto 31 Domenica calendario

Il Sole-24 Ore, martedì 2 agosto «Quando la felicità non la vedi, cercala dentro». Lo striscione giallo issato nella grande spianata cementizia di Scampia si gonfia o a ogni refolo di vento come le reti dello stadio San Paolo per frenare la corsa di un pallone cacciato in fondo alla porta da un giovanotto in mutande bianche e maglietta azzurra

Il Sole-24 Ore, martedì 2 agosto «Quando la felicità non la vedi, cercala dentro». Lo striscione giallo issato nella grande spianata cementizia di Scampia si gonfia o a ogni refolo di vento come le reti dello stadio San Paolo per frenare la corsa di un pallone cacciato in fondo alla porta da un giovanotto in mutande bianche e maglietta azzurra. Dalla curva A, nell’ordine, si alzano in piedi i "malati" (i tifosi, a Napoli, si definiscono così) dei Mastiffs, Vecchi Lions, Teste Matte, Masseria Cardone, Brigata Carolina, Bronx Napoli, Sud 1996, Nuova guardia, Fossato Flegreo. Tutti nomi rappresentativi di quella che sbrigativamente viene bollata come la periferia napoletana. A partire dalla zona Est (Ponticelli, Barra, San Giovanni a Teduccio), Nord-Est (Secondigliano, Scampia), Nord (Pianura, Chiaiano), l’area occidentale (Bagnoli, Pozzuoli), fino all’enclave della periferia nel cuore della città (i Quartieri e la Sanità). Napoli, se escludiamo Posillipo, Chiaia e il Vomero, è questa roba qui. Da piazza Muncipio a Ponticelli ci sono sei chilometri. E Ponticelli, malgrado non sia stato il set di Gomorra, è un luogo dove i "muschilli" del clan Sarno assaltano a colpi di molotov le scuole del quartiere. La scuola, qui, è l’unico simbolo dello Stato. Una volta sono entrati con la fiamma ossidrica nei locali della municipalità per rubare dalla cassaforte le carte d’identità in bianco. Il furto è fallito, e i ladri hanno appiccato il fuoco ai locali del Comune. San Giovanni a Teduccio e Barra sono a quattro chilometri dall’ombelico di Palazzo San Giacomo e dal Maschio Angioino. Lungo i 4mila metri di costa che dal molo Beverello - praticamente sotto l’ufficio dell’ex ministro dell’Interno Rosa Russo Jervolino - corrono verso il porto e poi arrivano a San Giovanni a Teduccio, centinaia di bambini di due, tre, quattro e cinque anni si tuffano in un mare che gli «scarichi cloacali e le concentrazioni massicce di batteri fecali» - come recita il cartello del Comune di Napoli firmato dall’assessore Gennaro Nasti - hanno trasformato nel terreno di coltura di salmonella, tifo ed epatite. Tutti fingono di non farci caso e Anna Cozzino, presidente della Municipalità di San Giovanni, Barra e Ponticelli (117mila abitanti, la seconda per densità dopo il Vomero-Arenella) quasi sorride delle nostre preoccupazioni: «I nostri vecchi dicono di aver sempre nuotato a San Giovanni. E sono ancora qui a raccontarcelo». Quello che a Napoli non raccontano è che nel cul de sac del quartiere Sanità pure i poliziotti abbassano le sicure delle automobili. Chiunque entri o esca dai quattro varchi viene passato ai raggi x da giovani con le facce marroni per le lampade e i capelli spalmati di gel. Le ragazze, in tre sullo stesso scooter e sistematicamente senza casco, fanno perennemente la spola tenendo in equilibrio sul palmo delle mani due o tre contenitori con le pizze fumanti. Se la strada è intasata dalle automobili, il marciapiede diventa una corsia di emergenza a loro uso e consumo. I bambini urlano, le mamme si scansano, ma alle volte intuisci che alla guida ci sono dei bravi guaglioni che devono appena aver tirato una dose di coca. Il socialismo surreale dei mercanti di morte partenopei passa la droga a 15 euro a dose, lo stesso prezzo, al chilogrammo, della mozzarella di bufala. I vigili urbani, certo. Trecento per turno, vecchi, stanchi, qualche volta corrotti e quasi sempre raccomandati. Andrea Bufalo, un questore dai modi risoluti che la Jervolino chiamò a capo della Polizia municipale nel 2004, lasciò l’incarico dopo appena tre mesi: «Questo è un inferno!». Dopo anni e anni di inerzia ieri è arrivato un generale dei carabinieri, Luigi Sementa, l’uomo che arrestò Francesco Schiavone, detto Sandokan, il boss dei casalesi. Ma i concorsi per le nuove assunzioni, dice il sindaco, «non si possono tenere». Le casse del Comune sono vuote. Di finanziamenti per il cemento, invece, sono strapiene le casse di Bruxelles. Ma a Napoli sono così disorganizzati e sciatti, da perdere persino i soldi che cementerebbero il loro sistema di potere: dimezzati i fondi per la piazza telematica di Scampia (che ha aperto e chiuso nel giro di due anni dopo una gestazione di dieci) e quelli per il piano di recupero urbano di Ponticelli. Dice Giovanni Laino, docente di Urbanistica alla Federico II: «Comune e Regione sono preda delle politiche fisiciste, delle opere pubbliche. Cemento, insomma, contenitori e annunci, mai contenuto o servizi immateriali innestati sulle forze locali. Per la città dei bambini di Ponticelli, ancora in mente dei, cinque anni fa è stato acquistato un planetario in Francia, poi imballato e depositato in qualche cantina». Ovvio che a Napoli la delega ai servizi sociali o alle periferie sia del tutto residuale, «magari da assegnare alle donne, il solito contentino», aggiunge Laino. Napoli è, purtroppo per chi la governa, essa stessa periferia. Ottocentomila abitanti su un milione vivono in quei quartieri che dovrebbero essere remoti e invece sono l’ombelico della città. E se toponimi e mappe non sono opinabili, perché meravigliarsi di questa fabbrica di devianti, di questo autolesionismo plateale che in una cornice epica, collettiva ed esaltante come quella dello stadio sublima l’illegalità diffusa in una battaglia a difesa dell’identità, della napoletanità, in fin dei conti della sopravvivenza come specie? «Siamo in piedi in un mondo di rovine», è il motto di uno dei gruppi ultras. A Scampia le rovine hanno il colore del tufo dei grattacieli del lotto W, insuperabili sentinelle dell’immaginario che galleggiano nel nulla. Poco più in là, i triangoli delle Vele, che almeno un nome ce l’avevano, appaiono il set temporaneamente dismesso di un interminabile film in attesa del prossimo ciak. La felicità, da queste parti, ha la faccia bolsa delle sentinelle di camorra immobili sotto il sole come i grattacieli, la degenerazione degli sgherri manzoniani con in più una protesi addominale decisamente contemporanea e le magliette nere tirate sopra l’ombelico nel tentativo di ricavare qualche beneficio dalla stessa bava di vento. «Si tolga gli occhiali da sole e metta via il taccuino: qui tutti dobbiamo essere immediatamente riconoscibili», consiglia saggiamente il capo della Multiservizi di Scampia, Enzo Borrelli, un dottore in Agraria spedito qui sei mesi fa per riorganizzare la pulizia di giardini e aiuole. I due camorristi che dominano l’ingresso del lotto W da un piccolo ballatoio in cima a una rampa di scale riconoscono Borrelli e ci fanno segno di passare per continuare la ricognizione botanica sullo stato di salute dei pini marittimi e dei cedri del Libano. Nulla di simile accade in una città dell’Occidente. E paragonare Napoli a Caracas, ammonì vent’anni fa lo scrittore peruviano Manuel Scorza, è una tentazione pericolosa. Ma lui stesso, nel corso del suo viaggio nel corpo di Napoli, cedette a pensieri sulfurei. «Da quando sono arrivato tutti mi parlano della morte di Napoli e, effettivamente, sono di fronte a una morte. Ma, mi dico, questo cadavere è in putrefazione da 400 anni». Mariano Maugeri