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 2008  settembre 03 Mercoledì calendario

Per non pensare al cibo Laura ha deciso di pensarci dalla mattina alla sera. No, non è una contraddizione, per lei come tante donne afflitte da anoressia

Per non pensare al cibo Laura ha deciso di pensarci dalla mattina alla sera. No, non è una contraddizione, per lei come tante donne afflitte da anoressia. Dopo ripetuti tentativi di liberarsene, è arrivata alla conclusione che il sistema migliore di esorcizzare il rapporto con il mangiare sia dedicarsi a cucina, gastronomia, spesa. Laura è diventata un’ottima cuoca. Prepara piatti sopraffini per i familiari, che non resistono a tanta bontà e ingrassano. Accumula ricette strappate dalle riviste, frequenta corsi per migliorarsi, resta incollata davanti alla televisione non appena trasmettono uno spazio sull’alimentazione e trascorre ore ai fornelli. Senza assaggiare mezzo cucchiaino, ovviamente. Inoltre, sa indicare la pasticceria che vende il migliori dolci della città. E’ la sua cura, questa. Perché in realtà non ritiene sia necessario curarsi. Essere magra fino all’osso e nutrirsi d’aria dal suo punto di vista non è un problema. Stile di vita, scelta personale. La stessa convinzione di Laura tiene lontane dai servizi oltre il 50% delle persone con disturbi del comportamento alimentare. Fenomeno molto preoccupante, visto che il successo dei trattamenti in questi casi dipende dalla precocità degli interventi. E’ uno dei dati che saltano agli occhi scorrendo la ricerca condotta da Esemed (European study of the epidemiology of mental disorders) e Organizzazione mondiale della sanità in sei Paesi europei, 500 milioni di euro investiti. Primo lavoro analitico sull’epidemiologia delle malattie mentali. Ne sono derivati diversi approfondimenti tra i quali l’indagine specifica su anoressia nervosa, bulimia nervosa, iperalimentazione incontrollata (binge eating) e disordini «sottosoglia», meno catalogabili dal punto di vista diagnostico. Oltre quattromila interviste a cittadini di età tra 18-50 anni (non gli adolescenti per una questione di consenso informato e si pensa che fra loro le percentuali siano più alte) effettuate con la stessa strategia analitica di Ron Kessler, uno dei maggiori psichiatri del mondo. Coordinatore del progetto globale, l’italiano Giovanni de Girolamo, psichiatra della Asl di Bologna. E’ stato possibile mettere a confronto le situazioni di Italia, Germania, Francia, Spagna, Belgio e Olanda. In questi sei paesi mediamente 5 adulti su 100 dichiarano di aver sofferto nel corso della vita di uno di questi disturbi. La prevalenza è più alta in Francia (7%) e Belgio (5,15%), mentre l’Italia è al di sotto dell’asticella con poco più del 4%, tampinata da Olanda, Germania e Spagna. Anoressia e bulimia nervosa incidono per l’1% circa, seguite con 1,85% da binge eating (incontrollata necessità di ingurgitare cibo a volontà, soprattutto di nascosto) e altri problemi 2,15%. L’esordio della malattia è spesso tra 10 e 20 anni, dopo la pubertà, con un picco tra 14 e 19 anni. Le donne sono fino a 7 volte più numerose degli uomini.Dopo aver ricevuto la diagnosi però appena il 48% dei bulimici, il 37% degli anoressici e il 30% del resto del campione riferiscono di aver preso contatto con specialisti per valutare di intraprendere un trattamento. Per Antonio Preti, psicologo dell’università di Cagliari, che ha lavorato con Esemed, la resistenza a farsi seguire dai servizi ha ragioni ben precise: «Chi soffre riconosce i sintomi come coerenti col personale stile di vita, col suo modo di pensare. Un atteggiamento che definiamo egosintonia. Se poi, avvertendo depressione o ansia, decide di chiedere aiuto, si rivolge allo psicologo o al medico di famiglia ma non allo psichiatra esperto di alimentazione. Anche quando sono presenti sconvolgimenti organici come lesioni allo stomaco, vomito, complicazioni cardiovascolari». Molto spesso i non specialisti (generalisti, pediatri, dentisti, ginecologi) non sono capaci di andare oltre l’apparenza, di sospettare diagnosi più complicate. L’anoressia viene scambiata per «stranezza» nel 50% dei casi, la bulimia viene individuata in appena 1 caso su 10 perché non si manifesta con eccessiva magrezza. Paola Miotto, responsabile del centro per i disturbi dell’alimentazione di Piave di Soligo Veneto, ha visto passare nel suo ambulatorio un centinaio di pazienti arrivati in ritardo, età media 17 anni: «I dentisti ancora oggi non si accorgono che l’erosione dello smalto può essere dovuta alla mancanza di cibo. I ginecologi non sospettano che dietro una amenorrea (assenza di ciclo mestruale) può nascondersi una forma di anoressia o di bulimia. C’è ancora molto da fare per sensibilizzare medici, insegnanti, genitori». Rispetto agli altri Paesi in Italia si riscontra una minore sovrapposizione di anoressia e bulimia con altre malattie mentali (comorbilità). Il 30-40% degli intervistati raccontano di aver sofferto di depressione grave, di ansia (40%). «Schizofrenia e disturbi bipolari sono rari ma abbiamo notato un certo incremento», dice Preti. Di solito ad accendere questi disturbi, latenti fin dalla nascita, quando viene avviato il processo dell’autostima, è l’interruttore di una dieta dimagrante. «Sono comportamenti di difesa da un disagio psichico profondo. Non credo che la spinta dipenda dal cercare di emulare modelli estetici imperanti, come la linea filiforme delle indossatrici. Attraverso il controllo del corpo e dell’io si pensa di riuscire a contrastare la sofferenza interiore. Ecco perché c’è resistenza a recarsi ai servizi. Hanno bassa stima di se stesse, queste ragazze non si accettano ». L’unica cura efficace è la diagnosi precoce e l’avvio tempestivo di trattamenti integrati con psicologi, nutrizionisti, psichiatri. Rara la prescrizione di farmaci a meno che non emergano aspetti psicotici. Nel centro trevigiano la giornata dei pazienti seguiti in ambulatorio viene occupata da arteterapia, incontri di gruppo, equitazione, biodanza. L’obiettivo è la ristrutturazione interiore. Margherita De Bac