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 2008  settembre 03 Mercoledì calendario

«Si vive solo due volte», avvertiva Ian Fleming nell´ultima avventura di Bond. Dunque si muore almeno due volte, come sembra confermare il destino di Yalta, o meglio della sua leggenda

«Si vive solo due volte», avvertiva Ian Fleming nell´ultima avventura di Bond. Dunque si muore almeno due volte, come sembra confermare il destino di Yalta, o meglio della sua leggenda. Secondo la quale nel vertice di Crimea (4-11 settembre 1945) Roosevelt e Stalin, notaio Churchill, si spartirono il mondo. Sicché quando il Muro di Berlino collassò, il 9 novembre 1989, ci affrettammo a celebrare il funerale dei blocchi militari e delle relative sfere d´influenza. Sono passati quasi vent´anni e Yalta è rimorta. Anzi «è finita», come stabilito da Nicolas Sarkozy al summit europeo di Bruxelles, lunedì scorso: «Il ritorno alle sfere d´influenza è totalmente inaccettabile». Fra Berlino e Bruxelles ci siamo forse persi qualcosa. Nell´entusiasmo della vittoria preferimmo trascurare che archiviando la guerra fredda non segnavamo la fine dei blocchi, ma la fine di un blocco. Quello perdente. L´altro, sotto forma di Nato, ha trascorso gli ultimi due decenni ad espandersi lì dove un tempo tiranneggiava il Patto di Varsavia. Né pare volersi arrestare. Certo non c´è più il Nemico a cementarlo. La nostra alleanza ospita una congerie di anime e pulsioni eterogenee, non solo sul versante europeo. Rifiuta di chiarire i suoi compiti, un tempo elegantemente riassunti nel postulato di Lord Ismay: fuori i russi, dentro gli americani, i tedeschi sotto. Ma non ha alcuna vocazione a sciogliersi. Washington non intende rinunciare alla sua sfera d´influenza europea, mentre i leader continentali, come a suo tempo il capo del principale partito comunista d´Occidente, continuano a sentirsi più sicuri sotto l´ombrello della Nato. Da qualche anno però l´impero sconfitto ha rialzato la testa. Dopo la fulminea spedizione punitiva in Georgia, Mosca appare talmente sicura di sé da avvertire che «vi sono regioni in cui la Russia ha interessi privilegiati» (Medvedev), ai suoi confini e oltre. In parole povere, rivuole la sua sfera d´interesse, dote d´ogni potenza che si rispetti. Un´area estesa a parte dei territori ex sovietici, tutti abitati da minoranze russe. Quando Sarkozy sancisce la «fine di Yalta» non parla di storia, ma di attualità geopolitica. Ammonisce Putin e Medvedev a non provarci. Pur evitando di spiegare come potremmo punire la Russia, se non ci ascoltasse, senza punire noi stessi. In attesa dei prossimi round del nuovo confronto russo-americano, con gli europei a fingersi uniti sotto le bandiere della Nato, converrà forse ricordare che cosa sia davvero accaduto a Yalta. Leggende a parte. Non la bipartizione del pianeta, ma l´ambigua intesa su questioni assai più cogenti, a guerra mondiale tuttora in corso. Primo: l´Urss assicurava che sarebbe entrata in guerra contro il Giappone, come richiesto da Roosevelt. Secondo: Stalin consentiva al battesimo delle Nazioni Unite, celebrato tre mesi dopo a San Francisco, cui alcuni americani s´illudevano di affidare la gestione della pace prossima ventura. Terzo: i sovietici promettevano che non si sarebbero «pappati» (come amava dire Stalin) i territori liberati/conquistati dall´Armata Rossa. Tutto codificato nella «Dichiarazione sull´Europa liberata», con cui i tre Grandi garantivano la democrazia ai popoli emancipati dal tallone nazista. Il ministro degli Esteri Molotov chiariva subito che cosa il Cremlino intendesse fare di quel pezzo di carta, bollato come «interferenza negli affari dell´Europa liberata». Tre settimane dopo Andrej Visinskij, plenipotenziario di Stalin a Bucarest, irrompeva nel palazzo di re Michele, gli dava due ore di tempo per allestire un governo filocomunista di «fronte democratico» e se ne andava sbattendo la porta. Dopo la Romania, fu la volta di quasi tutti i territori raggiunti dai soldati di Stalin prima della fine delle ostilità. Calava la «cortina di ferro». Le premesse della guerra fredda erano poste a guerra tuttora calda. In ogni caso le sfere d´influenza non sono state inventate a Yalta. Esistono da quando sulla scena mondiale agiscono le grandi potenze. Ossia quegli Stati che non s´accontentano di amministrare se stessi, ma vogliono educare gli altri a comportarsi. Dal trattato di Tordesillas (1493), con cui papa Alessandro VI tracciava il meridiano deputato a dividere l´orbe terracqueo tra spagnoli e portoghesi, alla pace di Augusta (1555) fondata sul principio cuius regio eius religio, che spartì la Germania in due sfere d´influenza, la cattolica e la protestante, la storia moderna è ricca di precedenti ben più concreti della Yalta presunta da Sarkozy - e da moltissimi altri. Fino al Lebensraum nazista o alla «sfera di coprosperità asiatica» di marca nipponica, abortiti o quasi mentre il conclave alleato si riuniva sulle sponde del Mar Nero. L´alternativa alle sfere d´influenza non è mai stato - finora - né il dominio assoluto di una singola potenza (il monopolarismo, negato dalle leggi della fisica quanto dalla prassi geopolitica) né tantomeno la democrazia mondiale. E´ stato e resta l´anarchia. Il basso continuo che modula qualsiasi tentativo di normare le relazioni internazionali, che diventa assordante quando muore un impero e gli avvoltoi accorrono a spartirsene le spoglie. Oggi quel che resta dell´Ovest e il risorgente ma sempre fragile impero russo sono impegnati in un braccio di ferro non più solitario. Le alleanze tralignano in esili allineamenti, a cominciare dall´Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, destinata a contemperare gli interessi cinesi e russi in Asia centrale. Per finire con la stessa Nato, il più potente blocco militare del pianeta, che non riesce a vincere la campagna di Afghanistan. Un giorno al caos succederà forse un nuovo ordine, o meglio il tentativo di definirne uno. In quel caso, chi siederà all´ipotetico tavolo della «nuova Yalta» (quella del mito, s´intende)? Stando all´attuale correlazione di forze, al rango di Roosevelt, Stalin e Churchill potrebbe ambire un triumvirato americano-russo-cinese: Bush (e presto il suo successore) come primo tra i pari, Putin (vestito da Medvedev) e Hu Jintao. In seconda fila, il trio europeo Sarkozy-Brown-Merkel - ciascuno rigorosamente per sé - più l´indiano Manmohan Singh e il brasiliano Lula, alfieri del Sud emergente. Forse un po´ troppi per concordare nuove sfere d´influenza. Ne riparliamo fra vent´anni, alle prossime esequie di Yalta. Lucio Caracciolo