Alfio Caruso, La Stampa 31/8/2008, pagina 1, 31 agosto 2008
In un signorile appartamento di Gorizia un anziano medico conserva i documenti scritti dal padre, ingegnere e ufficiale degli alpini, durante la missione nel deserto libico a caccia di petrolio
In un signorile appartamento di Gorizia un anziano medico conserva i documenti scritti dal padre, ingegnere e ufficiale degli alpini, durante la missione nel deserto libico a caccia di petrolio. Eravamo a metà degli Anni Trenta e le perforazioni di Ardito Desio nell’oasi di Marada avevano fatto intuire che sotto lo scatolone di sabbia esistessero giacimenti importanti. Ma, secondo Desio bisognava perforare fino a duemila metri per trovare il prezioso liquido. Tant’è vero che Mussolini aveva incaricato il presidente dell’Agip di trovare una soluzione con Balbo, governatore della Libia. Il duce, uomo del passato, anche con il petrolio si mostrò restio a capire i cambiamenti imposti dalla modernità come aveva già fatto con le portaerei, con i carri armati, con i radar, con gli aerosiluranti. Tutto quello che ci sarebbe mancato nella sciagurata guerra del ’40. Di conseguenza i rilievi dell’ingegnere sull’ottima qualità del petrolio (scarsi residui di zolfo) e sulla sua presenza a profondità molto più accessibili (intorno ai 1000 metri) rimasero inascoltati. Attualmente l’Eni compra oltre 500 mila barili al giorno dalla Libia. Per l’Italia rappresenta l’approvvigionamento più importante sia per la vicinanza, sia per quella purezza di cui eravamo già informati settant’anni addietro. Questa fondamentale risorsa non sfruttata allora rende adesso Gheddafi un partner obbligato della politica italiana. E sebbene il petrolio sia stato solo sfiorato da Berlusconi nello spiegare l’entità dell’enorme regalo che noi contribuenti faremo all’eterno colonnello, è arduo immaginare che abbia pesato meno dei disperati scaricatici giornalmente addosso. Ma i cinque miliardi di dollari, un regalo mai elargito da alcun Paese a un’ex colonia, basteranno a salvare le importazioni di petrolio e a bloccare gli sbarchi degli ultimi dannati della Terra? Il passato non offre motivi di conforto. Gheddafi è una sorta di nostra creatura. Il colpo di stato che nel ’69 gli consentì di spodestare re Idris ebbe la centrale più attiva a Palermo. Idris era stato imposto dagli inglesi, i quali, infatti, avevano ottenuto nel ’55 le concessioni che quattro anni più tardi portarono al primo pozzo della Esso a Zeltan in Cirenaica, non lontano dall’oasi di Marada. Ma le speranze che la riconoscenza di Gheddafi fosse di lunga durata s’infransero un anno dopo allorché 20 mila italiani vennero cacciati in poche ore dalla Libia perdendo ogni sostanza, benché spesso si trattasse di patrimoni accumulati in mezzo secolo di duro e onesto lavoro. Già al tempo Gheddafi parlò di dovuto risarcimento per i danni inflitti dall’occupazione, ma l’Italia in Libia ha più dato che ricevuto, a parte la gratuita ferocia esercitata nel domare la guerriglia in Cirenaica. Anche i tremila cittadini confinati nel 1911 nelle Tremiti ricevettero un buon trattamento e dopo qualche anno rispediti a casa. Il nostro atteggiamento con Gheddafi ha sempre avuto ampi margini di doppiezza. Da un lato sforzi continui di accattivarcelo con un’eccessiva libertà di azione concessa alla folcloristica associazione siculo-libica, che alternava la promessa di uno scambio alla pari tra un chilo di arance e un litro di petrolio alle trame per allungare le mani su alcune località strategiche dell’isola; dall’altro lato l’intenzione di liberarci di un vicino molto più bravo di noi a imbrogliare le carte: così nella primavera dell’80 in molti a Roma tennero la mano agli ufficiali dell’aviazione libica impegnati in una congiura, di cui forse l’abbattimento del Dc9 su Ustica potrebbe esser stata una conseguenza. E anche in quell’occasione sullo sfondo c’era il petrolio dei Banchi di Medina al largo di Malta in acque internazionali, ma Gheddafi le considerava libiche come considera sempre di sua proprietà la fetta di Mediterraneo in cui decide di sequestrare un peschereccio siciliano. Tanto per ricordare che sulla mitica quarta sponda si sentono e sono molto più furbi di noi. D’altronde, quando nell’aprile dell’86 decidemmo di dare una severa lezione al colonnello, ritenuto colpevole di aver tirato due misteriosi missili contro Lampedusa (probabilmente era stata una messinscena statunitense), tutto si risolse con il divieto di mandare in onda su Rai 1 un’intervista di Biagi a Gheddafi. Al ricordo il nero crinito Muhammar trema ancora. Alfio Caruso