Pierluigi Natalia, L’Osservatore Romano 3/9/2008, 3 settembre 2008
Beslan. Una strage senza risposte L’Osservatore Romano, mercoledì 3 settembre A Beslan, in Ossezia del Nord, una delle Repubbliche caucasiche della Federazione Russa, si rinnova in queste ore il pellegrinaggio alle tombe delle vittime della strage di quattro anni fa, il 3 settembre 2004, una delle più atroci della storia recente e sulla quale non tutte le domande hanno trovato risposte
Beslan. Una strage senza risposte L’Osservatore Romano, mercoledì 3 settembre A Beslan, in Ossezia del Nord, una delle Repubbliche caucasiche della Federazione Russa, si rinnova in queste ore il pellegrinaggio alle tombe delle vittime della strage di quattro anni fa, il 3 settembre 2004, una delle più atroci della storia recente e sulla quale non tutte le domande hanno trovato risposte. Due giorni prima, durante una festa per la riapertura delle scuole, un commando di guerriglieri ceceni - 32 secondo le fonti ufficiali russe - aveva preso in ostaggio un migliaio tra alunni, genitori e insegnanti di un istituto secondario, la Scuola Numero 1, reclamando in cambio della loro liberazione il ritiro delle forze filorusse dalla Cecenia. L’esito del sequestro fu terrificante: secondo i dati ufficiali, 334 morti tra gli ostaggi, compresi 186 bambini, e oltre settecento feriti e mutilati. Dopo 52 ore dall’inizio del ricatto terroristico, ci fu l’intervento degli Omon, i reparti speciali delle forze di sicurezza russe, accompagnato da una serie di esplosioni (i terroristi avevano minato la scuola). Per uno dei tanti paradossi dell’informazione internazionale, nonostante la crisi attuale nell’altra Ossezia, quella meridionale dichiaratasi indipendente dalla Georgia e riconosciuta da Mosca, questo anniversario non ha suscitato una nuova e maggiore attenzione sui fatti di quattro anni fa, di quelle 52 ore drammatiche che imposero all’attenzione del mondo l’annosa e irrisolta vicenda caucasica. Molti avevano chiesto all’allora presidente e oggi primo ministro russo Vladimir Putin di evitare a ogni costo l’intervento delle forze speciali, di scongiurare un esito simile a quello nel teatro Dubrovka a Mosca. Anche qui, nell’ottobre del 2002, gli Omon intervennero contro indipendentisti ceceni che avevano preso in ostaggio ottocento persone. Il blitz portò alla liberazione di seicentocinquanta ostaggi, ma anche alla morte di altri centotrenta di loro, oltre che dei 41 sequestratori. Nel commando c’erano anche donne. Non era certo il primo esempio di terrorismo al femminile. Donne c’erano anche tra i terroristi del teatro Dubrovka. Due giorni prima dell’attacco a Beslan una terrorista suicida si era fatta esplodere davanti a una stazione della metropolitana di Mosca, uccidendo otto persone oltre a se stessa. La settimana precedente, due attentatrici suicide avevano fatto schiantare al suolo simultaneamente due aerei Tupolev, provocando novanta morti. Da tempo, il terrorismo, così come la guerra, non era più un’attività solo maschile. Ma suscitò ugualmente sgomento e orrore una tale ferocia contro dei bambini da parte di donne. Nei giorni immediatamente successivi e nei mesi seguenti alla strage di Beslan, la connotazione suicida del commando fu definita dal Governo russo una prova delle connessioni tra l’indipendentismo ceceno con il terrorismo internazionale di matrice fondamentalista islamica. Lo stesso Putin, pochi giorni dopo la strage, dichiarò tale equazione tra terrorismo e indipendentismo ceceno e ammonì che il Governo russo si riservava il diritto di assestare "colpi preventivi contro basi terroristiche", anche fuori dai propri confini, senza "avvertire nessuno". Una simile tesi è recepita anche nelle conclusioni del processo celebrato contro l’unico terrorista scampato al massacro, il ceceno Nur Pashi Kulayev, condannato all’ergastolo 1l 26 maggio 2006, senza che né l’accusa né la difesa avanzassero ricorso. Quella tesi non è mai apparsa sufficiente alle associazioni dei familiari delle vittime, alla popolazione di Beslan, come unica risposta alle loro domande sui comportamenti delle autorità federali russe durante il sequestro e sulla tempistica dell’intervento delle forze speciali. Del resto, le conclusioni ufficiali hanno lasciato perplessi persino coloro che le hanno tratte. Dubbi avevano già espresso alcuni esponenti della Commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Alexander Torshin, che condusse i suoi lavori in modo riservato, dopo che Putin aveva rifiutato, già tre giorni dopo la strage, l’eventualità di un’inchiesta pubblica. Dopo poche settimane, una parallela inchiesta militare aveva archiviato come "corretto" il comportamento degli Omon. La Commissione Torshin dichiarò terminate le indagini e presentò le sue conclusioni il 22 dicembre 2006, limitandosi a sostenere che erano state deficitarie le misure di sicurezza della polizia locale. Due mesi dopo, però, due parlamentari della Commissione denunciarono che le inchieste governative erano state una copertura e che la versione ufficiale dei fatti fornita dal Cremlino e sulla quale si era basata l’indagine era stata costruita. Alcuni mesi dopo, un tribunale locale garantì l’amnistia a tre poliziotti accusati di non essere riusciti a fermare l’invasione della scuola da parte dei sequestratori. La decisione fu duramente contesta. Un gruppo di donne di Beslan fecero irruzione nel tribunale, ruppero finestre, mobili e arredi, compresa la bandiera russa, sostenendo che l’inchiesta sui tre poliziotti era stata un mascheramento totale per evitare di incolpare i loro superiori. Dubbi su quella vicenda restano ancora in molti e soprattutto nelle famiglie delle vittime, come è emerso ancora nelle celebrazioni tenute a Beslan in queste ore. Pierluigi Natalia