Guido Santevecchi, Corriere della Sera 2/9/2008, pagina 10, 2 settembre 2008
Sala di un fast food, Kentucky Fried Chicken, periferia di Bangkok. Quattro uomini seduti a un tavolo
Sala di un fast food, Kentucky Fried Chicken, periferia di Bangkok. Quattro uomini seduti a un tavolo. Uno di colore, alto e atletico. Altri tre asiatici. il 25 maggio 2006. Obiettivo della riunione: truccare alcune partite dei Mondiali che inizieranno nel giro di quindici giorni in Germania. Alla fine si conteranno tre partite sospette: Brasile-Ghana, Ghana-Italia e Italia-Ucraina. Escluso qualsiasi coinvolgimento degli Azzurri e della Seleçao. Ma è una dimostrazione di forza scioccante: l’«attacco» delle mafie asiatiche al più importante torneo del calcio mondiale. Le locuste Una rete di faccendieri, affaristi, ex giocatori ed ex allenatori. Usati come intermediari per infilare bustarelle nelle tasche delle squadre europee. L’affare consiste nel controllare i risultati delle partite in Occidente per poi puntare (e incassare) dagli allibratori di Hong Kong, Singapore, Malesia. Là dove il calcio locale è stato travolto dalla corruzione. E dove milioni di persone tentano la sorte ogni giorno, su qualsiasi evento, dalla serie A italiana, alle divisioni minori di Romania e Bulgaria, alle corse di cavalli inglesi, al basket portoghese. Un esercito di scommettitori che tra circuito in nero e legalizzato alimenta un volume d’affari da 450 miliardi di dollari l’anno (stima della rivista americana Foreign Policy). Questo è il quadro: fiumi di denaro, organizzazioni criminali potentissime, corruzione. E poi Internet, che ha prodotto un sistema di scommesse globale, con procedure rapidissime. Le mafie asiatiche sfruttano su scala industriale la fame di azzardo e la tecnologia, spremendo il mercato legale e illegale nel quadrilatero d’oro Kuala Lumpur, Bangkok, Taiwan, Jakarta. E per moltiplicare i profitti, negli ultimi anni le Triadi hanno deciso di puntare al cuore del sistema calcio: l’Europa. «Arrivano le locuste», sintetizza Declan Hill, giornalista che racconta nel libro Calcio mafia (Rizzoli, in libreria da domani) i suoi anni di indagini sugli affari sporchi del pallone. Le infiltrazioni L’«attacco» ai Mondiali segue un decennio di avvicinamenti, macchinazioni e truffe nei campionati europei. L’inchiesta di Hill ha svelato due nuove partite truccate nel campionato tedesco (tra cui Hannover-Kaiserslautern del 26 novembre 2005). Al centro della trama, Bee Wah Um, malese, già condannato dal tribunale di Francoforte a due anni e mezzo di carcere per aver manipolato dieci incontri in Germania e in Austria. Le giocate su quell’incontro di Bundesliga avrebbero fruttato 2,2 milioni di euro. La rete è estesa e radicata. I primi arresti arrivano in Inghilterra, nel 1999, per la «truffa dei riflettori »: una gang di faccendieri asiatici fa spegnere le luci durante alcune partite in cui la squadra più debole è in vantaggio. E così incassa tutte le puntate sulla favorita nei mercati dell’Est. Scotland Yard ha arrestato due malesi e un cinese. Altra storia: tra 2004 e 2005, l’affarista cinese Ye Zeyhun acquisisce il controllo di due squadre in Belgio e una in Finlandia, truccando poi decine di partite. Il meccanismo: conoscere in anticipo il risultato per poi puntare sul numero esatto di gol (tipo di scommessa molto redditizia) in agenzie di mezzo mondo, moltiplicando così le vincite. Ancora: a fine 2007 l’Uefa consegna all’Interpol un dossier su 26 incontri di Champions League (turni preliminari), Coppa Uefa e Intertoto che sarebbero stati truccati dagli emissari delle mafie asiatiche. Coinvolte squadre di Bulgaria, Georgia, Serbia, Croazia, Estonia, Lituania, Lettonia. I Mondiali Le indagini di Declan Hill sulla Coppa del Mondo 2006 sono partite dalle confidenze di un faccendiere che il giornalista ha frequentato per settimane tra Kuala Lumpur e Bangkok: «Ogni giocatore – ha raccontato l’uomo – prende trentamila dollari... Io conosco la squadra del Ghana. Lui (l’intermediario, ndr) mi ha detto: "Ok boss, ora abbiamo otto giocatori"». In ballo ci sono i risultati di quattro partite che i mafiosi conoscevano in anticipo: tre assolutamente corretti, uno diverso per un gol. Truffe difficili da individuare: si corrompe la squadra più debole perché perda (il Ghana contro l’Italia e il Brasile, l’Ucraina contro l’Italia). Nessuno si stupirà del risultato. Ma se la combine riesce ad assicurare una sconfitta con più di 2 reti di differenza, i gangster avranno in mano puntate molto remunerative (scommettere sui gol di scarto rende molto di più che la semplice indicazione della squadra vincente). Il libro riporta un’intervista a Stephen Appiah, capitano del Ghana ed ex giocatore della Juventus, che nega di aver ricevuto denaro ma ammette di essere stato contattato da «mediatori» asiatici durante i Mondiali 2006. L’uomo di colore che il giornalista ha visto nella riunione al Kentucky Fried Chicken di Bangkok, indicato dai mafiosi come loro intermediario, era l’allenatore dell’Under 17 ghanese. Ha confermato di aver frequentato il ritiro della sua Nazionale in Germania e che lì un faccendiere orientale aveva avvicinato la squadra proponendo di perdere una partita. Guido Santevecchi